20131109_56884_ce8Anna Lombroso per il Simplicissimus

Chissà che contento Petrini che i suoi ispirati appelli a crearsi piccoli orti autarchici sul pergolo, per garantirsi prodotti a km meno di zero, freschi e indenni da micidiali diserbanti, abbiano attecchito con tanto insperato successo.

Perché rinunciare a pummarola frescchi, basilico fragrante, friarielli profumati, melanzane saporite, si sarà detto Fabrizio Vona, sovrintendente al Polo Museale di Napoli. Così pian piano, con operosa manualità e pazienza certosina (ça va sans dire) il bucolico funzionario pubblico ha privatizzato il tetto della Certosa di San Martino, installando una struttura in legno a protezione dei vasi con gli ortaggi per la sua parmigiana o la pizza Margherita o gli spaghetti pummarola ‘ncoppa.

La serra ad personam è stata fotografata, i controlli sono stati compiuti, l’abuso sarebbe di lieve entità: la struttura è mobile, ancorché insista su una costruzione  sottoposta a vincoli severissimi. Intanto il Vona è irrintracciabile, ma possiamo immaginare la sua difesa: l’ho fatto per encomiabili motivi ambientali, per dare moderna vitalità a un sito consacrato  alla memoria del passato, tengo famiglia, sono sottopagato e volevo assicurare ai miei cari  una sana e corretta alimentazione.

Ormai sono ineffabili e improbabili impulsi umani e umanitari a spingere   più o meno autorevoli esponenti del nostro ceto dirigente a commettere azioni inopportune se non addirittura illegali. A muoverli – chi affitta un ponte storico per una cena di prestigiosi famigli senza poi certificare la destinazione dei proventi, chi, come a Siracusa, mostra di essere di manica troppo larga con i signori del cemento, chi sottrae i preziosissimi libri della biblioteca dei Girolamini, chi si porta a casa opere e chi propone di affittarle a aziende e banche, chi cede per interi trentenni in regime di monopolio il Colosseo e il teatro di Marcello,  chi concede a prezzo scontato aree archeologiche per convention e matrimoni,  chi telefona per perorare la libertà di anoressiche e la protezione di puttanelle, chi si fa pagare i restauri di casa coi quattrini del Mibac e chi dal Viminale le siepi a protezione della privacy – è la convinzione che i beni comuni siano roba loro, che il mantra mille volte ripetuto  a proposito della bontà delle privatizzazione cominci proprio da loro, dalla legittima prerogativa  loro riconosciuta di usarne a fini personali, per lucrare, per riconfermare la propria superiorità, per tracotanza, per strafottenza, per hybris, per la convinzione tremenda e oscena di aver maturato insieme a un dominio, sia pure modesto, il diritto al possesso.

Duole ancor più e indigna che a farlo siano proprio coloro che del bene comune, dell’armonia, della bellezza, della cultura dovrebbero essere i custodi. Ma in loro alberga un’infamia in più, quella  di pensare che la plebe ignorante, il popolino irriconoscente, la gente della strada non meriti quello  che a loro invece spetta e che il loro diritto vada ogni giorno ribadito con arrogante puntualità perché loro sono loro e noi…noi non siamo un cazzo.