Anna Lombroso per il Simplicissimus
Chissà che contento Petrini che i suoi ispirati appelli a crearsi piccoli orti autarchici sul pergolo, per garantirsi prodotti a km meno di zero, freschi e indenni da micidiali diserbanti, abbiano attecchito con tanto insperato successo.
Perché rinunciare a pummarola frescchi, basilico fragrante, friarielli profumati, melanzane saporite, si sarà detto Fabrizio Vona, sovrintendente al Polo Museale di Napoli. Così pian piano, con operosa manualità e pazienza certosina (ça va sans dire) il bucolico funzionario pubblico ha privatizzato il tetto della Certosa di San Martino, installando una struttura in legno a protezione dei vasi con gli ortaggi per la sua parmigiana o la pizza Margherita o gli spaghetti pummarola ‘ncoppa.
La serra ad personam è stata fotografata, i controlli sono stati compiuti, l’abuso sarebbe di lieve entità: la struttura è mobile, ancorché insista su una costruzione sottoposta a vincoli severissimi. Intanto il Vona è irrintracciabile, ma possiamo immaginare la sua difesa: l’ho fatto per encomiabili motivi ambientali, per dare moderna vitalità a un sito consacrato alla memoria del passato, tengo famiglia, sono sottopagato e volevo assicurare ai miei cari una sana e corretta alimentazione.
Ormai sono ineffabili e improbabili impulsi umani e umanitari a spingere più o meno autorevoli esponenti del nostro ceto dirigente a commettere azioni inopportune se non addirittura illegali. A muoverli – chi affitta un ponte storico per una cena di prestigiosi famigli senza poi certificare la destinazione dei proventi, chi, come a Siracusa, mostra di essere di manica troppo larga con i signori del cemento, chi sottrae i preziosissimi libri della biblioteca dei Girolamini, chi si porta a casa opere e chi propone di affittarle a aziende e banche, chi cede per interi trentenni in regime di monopolio il Colosseo e il teatro di Marcello, chi concede a prezzo scontato aree archeologiche per convention e matrimoni, chi telefona per perorare la libertà di anoressiche e la protezione di puttanelle, chi si fa pagare i restauri di casa coi quattrini del Mibac e chi dal Viminale le siepi a protezione della privacy – è la convinzione che i beni comuni siano roba loro, che il mantra mille volte ripetuto a proposito della bontà delle privatizzazione cominci proprio da loro, dalla legittima prerogativa loro riconosciuta di usarne a fini personali, per lucrare, per riconfermare la propria superiorità, per tracotanza, per strafottenza, per hybris, per la convinzione tremenda e oscena di aver maturato insieme a un dominio, sia pure modesto, il diritto al possesso.
Duole ancor più e indigna che a farlo siano proprio coloro che del bene comune, dell’armonia, della bellezza, della cultura dovrebbero essere i custodi. Ma in loro alberga un’infamia in più, quella di pensare che la plebe ignorante, il popolino irriconoscente, la gente della strada non meriti quello che a loro invece spetta e che il loro diritto vada ogni giorno ribadito con arrogante puntualità perché loro sono loro e noi…noi non siamo un cazzo.
Lo chiamano abuso edilizio
Le foto della serra (?)
del sovrintendente amante della terra
fanno tenerezza,
sono la pagliuzza
che nasconde la puzza,
magari di una piazza
(grande ma non di Libertà).
Se un uomo di città, di nome Vona,
a Napoli coltiva la romana,
ben venga,
anche con l’indivia belga.
Solo in questo caso avrebbe senso
il silenzio-assenso.
E se la Prestigiacomo,
con gambe che non fanno giacomo giacomo,
ma “Omsa che gambe!”,
oggi solo l’INDA di Siracusa difende,
il resto dell’Italia offende.
E’ grave e seria la questione del Crescent,
quella della Certosa di San Martino non vale un cent!
E poi – evviva la fisiognomica –
guardate in foto Fabrizio!
Ha la bonomia di un signorile zio.
Vi sembra uno da abuso edilizio?
No. Altri “sgarbi “ sono stati sopportati,
e nessuno li ha notati.