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Un anno di green pass

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Mi concedo una digressione personale: è che me la ricordo bene la prima sera di applicazione integrale della tessera d cittadinanza che permetteva a chi aveva scelto la sottomissione a un atto che non possedeva nessun carattere di tutela sanitaria, di godere dei benefici di una sottovita di lavoro e relazioni interdetta agli altri .senza denunciare la nostra condizione di reietti avevamo prenotato in un ristorante che ci parve caldo e accoglinete proprio mentre sulla costiera romagnola si stava per abbattere un fortunale che passò alla storia per veemenza degli effetti estremi e per i danni che comportò.. certo mi stupì vedere che nel passaggio coperto tra le sale e la cucina era stato allestito un tavolino da campeggio dove infreddoliti sostavano due avventori davanti a un’esangue tagliata di polipo, ma lo attribuii a una maledetta nostalgia dell’estate. Però però proprio allora una svelta figuretta mi oltrepassa. È una donna di mezza età targata Pd dalla testa ia piedi, abito sobrio ma informale, zazzeretta rigorosamente brizzolata, repubblica arrotolata sotto al braccio vedi mai che si perda l’ultimo Galimberti. Si presenta all’ingresso e festosamente sventola davanti all’attonito cameriere un fogliettino proclamando fiera: Green Pass. Lui lo gira e rigira poi convinto dalla perentorietà del messaggio l’accompagna a un tavolo invidiabile, ben illuminato dove si attendono altri “regolari”. Noi ce la diamo a gambe vergognandoci di esserci illusi in un angolino dell’anima che tutto si sarebbe risolto in un ballon d’essai, che il buonsenso avrebbe avuto ragione di una menzogna infame confezionata per introdurre nuove e più feroci discriminazioni e disuguaglianze. Quella sera come carbonari trovammo ricovero – e così i giorni successivi fino alla partenza – in un baracchino dove il gestore spinto a confidarci i suoi effetti collaterali alla prima dose ci ammannì due piadine al biondo dio.
Dovevamo capirlo invece che il test sarebbe riuscito più che le la potenza virtuale dei sicari, per la concreta impotenza della gente, persuasa di contribuire a un rito collettivo di appartenenza a un ceto moralmente superiore e responsabili.

Pare che le quarte dosi siano disertate, che il velo che ha coperto crimini e misfatti politici e industriali si stia alzando, è successo che la potente mediatrice di posizioni privilegiate nel talamo del vecchio satrapo venga penalizzata malgrado la sua fedeltà alla causa vaccinale e repressiva.
Ma il danno è stato fatto, per mesi si è lavorato per costruire un capro espiatorio che autorizzasse la emarginazione e criminalizzazione di chiunque professasse un pensiero critico e si ponesse i relativi interrogativi, in modo da delegittimare tutti coloro i quali che erano restii a sottoporre sé o i propri figli alle inoculazioni anti-Covid per creare una categoria di nemici pubblici contro i quali era doveroso mettere in campo tutte le armi poliziesche, “culturali” e sociali. Perfino adesso che si hanno tutte le conferme sulle caratteristiche di quei sieri sperimentali, perfino adesso che è palese la portata tossica di una narrazione orchestrata ad arte, per strada, al supermercato si parla con disprezzo di “No Vax” per identificare individui genericamente avversi alla pratica della vaccinazione in quanto tale e alla potenza benefica di scienza e medicina, facendone un termine pesantemente denigratorio e infamante, nei confronti di egoisti tuttora pronti a non tutelare se stessi e gli altri contro i prossimi e già minacciati rischi pandemici. Il fatto è che la verità è troppo debole e osteggiata per fare presa, che malgrado le bufale siano state rivelate, che la prospettiva dell’immunità di gregge sia evaporata da tempo, che sia universalmente noto che i vaccinati diffondono il virus, in forma ancora più virulenta, pare non abbia sortito effetti concreti sull’opinione pubblica, la quale ha ormai maturato uno stigma irreversibile nei confronti degli untori, annettendo alla loro cerchia quelli che contagiano gli altri con il dubbio. Non a caso ogni giorno si registra una non singolare coincidenza tra gli affetti dalla sindrome di Stoccolma nei confronti dei signori della medicalizzazione totale come dei padroni della guerra, che con doviziosa generosità investono in farmaci dannosi e armi letali, imponendoci la pratica della rinuncia e del sacrificio, a diritti, prerogative, garanzie e libertà.
Per più di un anno in tanti inascoltati e sottoposti ad anatema, abbiamo ricordato che l’abiura volontaria a un diritto non ne riabilita o restituisce uno cancellato, che non esistono ordine e disciplina erogati dall’altro arbitrariamente, che non richiedano la dismissione da conquiste del sapere e della conoscenza che ha bisogno di essere libera.

Per un anno gente come noi, amici di un tempo, famigliari, hanno perso lavoro, dignità, garanzie. Molti vivono tuttora una precarietà ormai irreversibile che era poi una delle finalità dell’indegno passaporto, ci siamo abituati addirittura a considerare che quella forma di controllo sociale possa offrire opportunità, al pari di una tessera fedeltà per la raccolta di punti per l’ammissione alla cittadinanza, così come troppi avevano accettato a torto l’inesorabilità del Green Pass, la sua obbligatorietà che non era stata confermata in via di legge da nessuna misura.
Eppure gliene venne riconosciuto quel valore passando dalla gentile pressione all’obbligo surrettizio fino alla imposizione obbligata e imprescindibile, facendo dell’Italia l’unico Paese al mondo a estendere il Green Pass ai luoghi di lavoro, mentre solo quattro Stati avevano imposto l’obbligo vaccinale direttamente per legge: Indonesia, Turkmenistan, Tagikistan e Micronesia.

È vero, è l’Ue che l’ha voluto e che ha probabilmente scelto l’Italia come laboratorio di un test dell’obbedienza cieca: entra in vigore il primo luglio 2021 e viene presentato come una “facilitazione” per i viaggi tra Paesi all’interno della Ue, perché elimina quarantene e tamponi e lo legano all’accesso a ristoranti, cinema, musei ecc. Tra il 22 luglio e il 16 settembre il governo Draghi approva una serie di decreti legge – convertiti in legge dal Parlamento con una rapidità che raramente si è registrata – che lo rende obbligatorio prima per ristoranti al chiuso, cinema, musei ecc., poi per treni a lunga percorrenza e università, infine per i luoghi di lavoro, pubblici e privati. Si basa su una tecnologia che consente di collegare determinate ‘condizioni’ a un individuo, il quale, scaricando il Pass, apre la propria identità digitale e dischiudendo la propria sfera privata alla relativa piattaforma di rete.
Sono colpe delle quali vi siete macchiati contro voi stessi, vergogne che non cancellerete quando ve ne sarà chiesto conto e il disonore consiste nel fatto che anche chi ha già pagato, continuerà a scontare la vostra codardia.

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