Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ieri percorrendo i sentieri accidentati dei social mi è successo di imbattermi in alcuni elogi del Green Pass anche nella sua visione più severa: “lo ricorderò soprattutto per la sensazione provata ogni volta che mi veniva richiesto, scrive uno, la piacevole consapevolezza di aver fatto il mio dovere per preservare la salute di me stesso, quella dei miei familiari e della comunità tutta”. E tal Marco Gervasoni confessa il suo disappunto per essere entrato in palestra senza esibirlo, aggiungendo “grazie carta verde, hai consentito che non facessimo la fine di Shangai e hai permesso la libertà”.
Si è poi aggiunta una voce più autorevole, lo scrittore Piccolo idolo del progressismo illuminato, che si è lanciato in una ardita dissertazione contro la damnatio memoriae cui teme verrà sottoposto il lasciapassare salvifico da un popolo che preferisce la rimozione e l’oblio, riconfermando così la sua indole alla trasgressione e ai sotterfugi. Si interroga sull’atteggiamento di chi, quando vigeva l’obbligo, lo doveva richiedere, imbarazzato e inibito per l’invadenza e di chi lo esibiva, scontento di doversi sottoporre alla misura di controllo. Mentre tutti avrebbero dovuto compiacersi per quella “regola condivisa” introdotta per combattere “la fragilità cui ci aveva costretto la pandemia”.
È che si angustia, come uno di quei moralizzatori anni ’50 che si dolevano che non fosse rimasto qualcosa della sana disciplina del Ventennio a imbrigliare l’indole indocile degli italiani, perché scrive su la Repubblica, “tutte le regole in Italia vengono confuse con un piano emotivo, personale, irrazionale. Tu metti una regola, ma io non devo rispettarla, perché tu devi avere fiducia in me. Con questa teoria, il Green Pass non voleva mostrarlo nessuno: né quelli che non ce l’avevano, né quelli che ce l’avevano”. E poi si sa, tutti temiamo il controllo, ci preoccupiamo che il codice per il posto su Frecciarossa sia sbagliato, che ti venga contestato il pagamento con la carta o che all’atto del prelievo bancomat suoni una sirena e che la polizia ti becchi con le mani nel sacco come Abatantuono in Puerto Escondido.
“Quando invece oggi si capisce che è stato eliminato proprio grazie alla sua efficacia, non serve più, scrive, perché ha svolto fino in fondo la sua funzione”.
Ecco qua, incuranti dei dati sui contagi dei felici possessori di documento trivaccinati, i più pervicaci tra gli imbecilli di regime perseverano nella finzione che è stata ormai sgamata anche dai più impermeabili alla verità: il Green Pass costituiva la certificazione sanitaria dell’immunità e al tempo stesso la prova documentata dell’appartenenza al consorzio civile che aveva lanciato l’anatema contro i nemici della scienza, gli egoisti sociopatici, da sottoporre a Tso, squalificare in una colpevole marginalità.
Hanno l’impudenza sfacciata di volerci, perfino adesso, convincere che si trattava di un inevitabile provvedimento di salute pubblica introdotto a tutela di tutti, a cominciare dai soggetti fragili, quelli che sono stati conferiti nelle discariche delle Rsa, isolati in casa senza affetti e assistenza.
Rinnegano che il Green Pass sia stato introdotto come una forma di coazione pubblica per evitare la pubblica assunzione di responsabilità, quella dell’obbligo vaccinale inattuabile in presenza di prodotti sperimentali dei quali si conoscevano effetti avversi.
Disconoscono che si sia trattato di uno strumento di repressione e discriminazione rivolto a incrementare disuguaglianze e privazione dei diritti fondamentali, lavoro, scuola, istruzione, libertà di circolazione, imposto per costringere i refrattari a rientrare nei ranghi, pena la morte sociale, la condanna a un lockdown personale perenne dal quale era possibile uscire solo sottoponendosi all’insensato rito di obbedienza e umiltà.
E come se non bastasse adesso ci vogliono persuadere che è doveroso rimpiangerlo come strumento di garanzia e conformità ai canoni del viver civile, in modo che quando in coincidenza con le ottobrate e nuove interpretazioni statistiche ridiventi “obbligatorio” in feconda integrazione con le nuove certificazioni che attestano i meriti dei buoni cittadini in regola per accedere ai servizi pubblici.
È la stessa aberrante interpretazione che si dà dei diritti e dei doveri, ci ricorda Padoa Schioppa che ci ricordava l’appagante sensazione di soddisfazione che dobbiamo provare quando paghiamo le tasse, sentendoci in regola e moralmente superiori ai finanziatori della Leopolda con dimora alle Cayman, agli oligarchi nostrani che da noi vengono definiti però imprenditori dinamici, quando non filantropi, costretti, si sa, a certi espedienti giustificabili al fine di superare lacci a laccioli che ostacolano la libera iniziativa.
E si capisce così che ci hanno già abituato al regime della sorveglianza che fa accettare invadenza e controllo in ogni settore dell’esistenza, somministrati, dicono, per garantirci sicurezza, tanto che se al centro commerciale ti perquisiscono e frugano nella borsa, perché il detector ha segnalato un’appropriazione del rossetto o degli slip, invece di prendere per il collo il vigilante dovremmo essere soddisfatti che ci sia l’epifania della nostra onestà e integrità di consumatore.
E non stupisce: quando Jean Baudrillard scrisse che la ‘Guerra del Golfo non era esistita,’ non intendeva dire che non fosse esistita, ma che a quel teatro reale si era sovrapposto uno spettacolo più credibile e più vero, tanto da eliminare qualsiasi possibilità di relazionarsi con gli attori, la regia, le comparse e gli effetti collaterali. Si prendono per buono quel che succede, le voci fuori campo che ci danno dei comandi a nostra protezione, le immagini e le testimonianze false o vere che siano.
È successo con il Covid, sta succedendo con il conflitto che nessuno vuol far terminare, in modo da obbedire alle leggi del mercato e dello spettacolo. E così si conferma che è preferibile uniformarsi, per tutelarsi e per dichiarare la conformità con il format imposto per far parte della cittadinanza: se ci si comporta “civilmente” si potrà accedere a un riconoscimento, se si obbedisce a ordini ancorchè contradditori o autolesionisti si pretende una medaglia, magari sotto forma di Green Pass, di bolletta edulcorata a fronte del sacrificio per la patria degli altri, perché ormai dovere secondo i canoni imperiali è soverchiante rispetto al senso di responsabilità e di rispetto per sé e gli altri.