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La reinvenzione del razzismo

Uno degli argomenti preferiti dagli agit prop del cosiddetto razzismo sistemico, esploso negli Usa l’anno scorso e ovviamente subito importato in Europa, è che studi e indagini non danno sufficiente peso al fatto che le “minoranze razziali” non sono invitate per i colloqui di lavoro allo stesso ritmo della popolazione principale  evidenziando dunque una discriminazione di fatto. Una critica che sta sommergendo anche il rapporto della “Commission on Race and Ethnic Disparities” britannica e la sua prudenza nel richiedere che le domande di lavoro siano presentate in forma anonima per evitare che pregiudizi radicati finiscano per influire sulle scelte dei curriculum vitae. Ora non si può negare che tale pericolo esista, ma di certo le posizioni i come queste si fondano su un evidente errore di fondo che le trasforma da giuste istanze a facile pretesto per tenere vive ostilità vuote e ottenere trattamenti premiali: richiedere che il numero dei colloqui di lavoro sia uguale per le minoranza etniche che per la popolazione prevalente non sta né in cielo né in terra perché per l’appunto si tratta di minoranze. Per esempio i neri americani costituiscono il 13% della popolazione contro quasi il 60% di quella bianca: aspettarsi che nei colloqui di lavoro o anche nelle assunzioni ci sia una equivalenza è del tutto incoerente, anche se alla maggior parte delle persone sembra sfuggire questa elementare ovvietà.

Si potrebbe anche dire che i neri “godono” di redditi mediamente molto inferiori e dunque anche di cattiva istruzione e  pessime scuole come accade in un sistema quasi totalmente privatizzato dove l’ascensore sociale è ormai fermo e non si cerca di recuperare nessuno:  tutte condizioni sistemiche che non si vogliono affrontare e che nascondono dietro il razzismo questioni di classe e di disuguaglianza sociale per cui si potrebbe dire che la disuguaglianza provoca la discriminazione non viceversa. Tuttavia con la cosiddetta wokeness c’è stato un ambiguo risveglio verso il passato e non verso il futuro come si pretende che sia : la richiesta di equità non verso le classi sociali più povere o verso gli individui più deboli, ma verso gruppi razziali è innanzitutto una riaffermazione di fatto della teoria razziale, mentre la pretesa di risolvere tutto non attraverso riforme sociali che riducano le differenze di partenza , ma con un sistema premiale di quote, reintroduce il concetto di inferiorità razziale. Insomma i discriminati sono realmente inferiori e per questo non ci può attendere un loro riscatto, non si può lavorare perché questo sia facilitato, ma occorre semplicemente aiutarli: è per questo che molti intellettuali neri sono letteralmente furibondi.  Davvero gli Usa sembrano essere sotto l’effetto di un sortilegio da questo punto di vista. Infatti l’ideologia del razzismo sistemico che è in costruzione dal 2019, probabilmente in preparazione della campagna elettorale, propone una storia alternativa degli Usa, i quali avrebbero lottato per l’indipendenza non tanto per una questione di tasse, ma per salvaguardare il regime schiavista.

Si tratta come al solito di una teoria narrativa all’americana piuttosto stravagante che tra le altre cose confonde razzismo e schiavitù con una straordinaria superficialità, ma a parte questo è notevole come, nel tentativo di superare il supposto razzismo sistemico si ritorni mani e piedi nella teoria razzista e trasformi la posizione preminente dei bianchi da fatto che riguarda la struttura e le modalità sociali in una sorta di peccato originale da scontare con qualche penitenza, ma senza prospettare veri rimedi che non siano quelli di una banalissima legislazione premiale. In un certo senso dunque la tesi si auto dimostra senza che i suoi sostenitori se ne accorgano. Si tratta come ha fatto osservare qualcuno di una reinvenzione del razzismo, questa volta in chiave globalista che pare avere caratteri più che altro  compassionevoli e nasconde la sua natura sotto il politicamente corretto. In realtà è vero invece l’esatto contrario di tutto questo, Prendiamo ad esempio questo istogramma

vediamo chiaramente che gli asiatici hanno redditi assai superiori a tutti gli altri. E’ una questione razziale come parrebbe di dover desumere dal neo razzismo bideniano o non è piuttosto dovuto al fatto che quella asiatiche sono comunità  molto coese, con una cultura distante dall’individualismo ossessivo della società bianca e neoliberista e spesso dotate di proprie strutture, specie quelle scolastiche che in qualche modo fungono da stato sociale suppletivo? Lascio aperta la domanda che per quanto mi riguarda è semplicemente retorica: in definitiva la wokeness non è che un gattopardismo di stampo anglosassone nel quale si chiede di cambiare tutto per non cambiare nulla.

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