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Il manager distruggi e scappa

Massimo Pizzoglio per il Simplicissimus

Nella vita, mi sono occupato professionalmente di molte cose diverse, dal punto di vista progettuale, produttivo e commerciale, ma c’è un personaggio in cui ho sempre inciampato nella mia strada:
il manager salva-aziende.
E’ un essere con alcune caratteristiche standard fondamentali, pur differendo per età, genere (anche se è quasi sempre maschio), fisico e provenienza.
In primis ha l’aria seria, anche un po’ triste, dà sempre l’impressione di esser preso da pensieri cosmogonici.
Poi sa sempre e comunque “come va il mondo”, cosa c’è dietro, “ha visto cose che noi umani…” tanto per restare nella guerra dei mondi. E questo indipendentemente dall’età: ho visto trentenni che se la tiravano da maestri zen con barba bianca pur avendo, di bianco, solo le macchie di latte intorno alla bocca.

Qui si gioca però una prima divisione di ruolo: il giovane, pur millantando esperienza di vita vissuta da centenario, rappresenta bene il “moderno”, la svolta, il mondo che si muove in fretta; il meno giovane può accampare una più credibile “storia personale” e millantare come già risolti in precedenza problemi mai visti.
Si è fatto conoscere sgomitando in aziende piuttosto grandi, facendo il primo della classe e attribuendosi meriti altrui, ovviamente scaricando sulle spalle di altri i propri errori, è un campione dell’«io l’avevo detto!» anche se, in realtà, non prende mai una posizione netta, per avere sempre una via di fuga. Ha sempre un’opinione (nebulosa) su qualunque cosa , sa sempre un retroscena che però non può dire, avrebbe sempre acquistato l’oggetto che voi avete appena comprato a meno e in modo più comodo, sempre! (Se vi sembra che la parola “sempre” ricorra troppo spesso, è vero, ma il manager in questione è abitudinario e noioso e la tipologia si ripete sempre uguale).

Normalmente viene assunto con un contratto per due anni, che è giusto il tempo minimo perché le conseguenze del suo operato siano visibili, e lui riesce a spuntare una retribuzione molto elevata promettendo risparmi, razionalizzazione e rilancio.
Passa il primo periodo del suo mandato a demolire tutto quello che aveva fatto il suo predecessore, pur continuando a lodarlo falsamente: ha fatto quel che poteva… forse non sapeva che adesso si fa così… in America, dove ho preso un master, da anni facciamo in questo modo… con il materiale umano che aveva a disposizione non avrebbe avuto modo di…
E’ normalmente detestato dai dipendenti, ma lui lo rigira come un merito, la dimostrazione che è un duro, che fa quel che si deve, anche se può richiedere sacrifici.

Cambia i ruoli dei subalterni come fossero fazzoletti da taschino, ovviamente forte con i deboli e zerbino con i capi, e attribuisce all’indispensabile “periodo di rodaggio” la mancanza di risultati positivi. La “fase di preparazione” è il tortuoso cammino che condurrà a Shangri-La!
In questa fase è ben attento a monetizzare per l’azienda impianti o partecipazioni “inutili”, in modo da far vedere un ritorno di cassa che lenisca gli scarsi risultati di produzione e le forti spese di “visibilità” dell’azienda, ma soprattutto sua personale.

Dopo il primo dei due anni di contratto, avendo rigirato la struttura come un calzino, inizia a guardarsi intorno per rivendersi all’esterno, magnificando i progressi fatti nell’attuale azienda, l’indispensabilità del proprio lavoro per raggiungere quei risultati che ancor non si vedono, ma partiva da talmente lontano…

Nel frattempo, i mancati risultati e alcune scelte azzardate o deliranti producono insoddisfazione nella proprietà, cui seguono discussioni, scarichi di responsabilità sugli altri ed altre amenità adolescenziali che tutti ben conosciamo.
Alle società cui mira può raccontare che gli insuccessi sono dovuti alle resistenze negative di buona parte della struttura, ma anche dell’azionariato, tacciato di miopia e ignoranza.
Quando un nuovo accordo sarà pattuito, potrà uscire dalla “vecchia” azienda sbattendo la porta e andare a creare danni altrove.

Di personaggi così ne ho conosciuti personalmente molti, un numero davvero sproporzionato all’evidenza del fenotipo e alla dimensione e struttura delle aziende. E molti li ho visti passare da una all’altra senza apparentemente accusare battute d’arresto: alcuni erano addirittura “famosi” come distruttori, ma continuavano a essere richiesti.

L’unica certezza sono le conseguenze del loro passaggio: spessissimo la chiusura, anche brutta, e sempre un grosso calo di produttività e rendimento.
Lascio a voi decidere quale dei personaggi che decidono della vita di tutti noi più si attaglia al “tipo” che ho descritto, sicuramente ci siete inciampati anche voi, spesso costretti a farlo.
Credo sia ora di smettere di credere a chi promette salvezze che non solo non potrà mantenere, ma che ci costeranno assai caro.
E, soprattutto, smettere di rassegnarsi all’idea che non ci sia alternativa: per fortuna nella mia vita di manager davvero competenti e con a cuore i futuro dell’azienda e dei suoi dipendenti, ne ho conosciuti un bel po’.

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