Site icon il Simplicissimus

Il populismo della paura

Anna Lombroso per il Simplicissimus

“A un professore i ninnoli di una giovane operaia possono sembrare il sintomo di una comportamento irrazionale, spiegabile solo con le arti di un pubblicitario. In realtà possono essere tutto quello che lei sogna”
Schumpeter interpreta così l’approccio spocchioso di chi immagina che una felicità alla portata di moltitudine non possa superare la soglia svilente del benessere, una gratificazione dei bisogni materiali che genera una soddisfazione mediocre, volgare.

È che la crisi economica e morale non ha solo dissolto modelli di eudaimonia come elaborazione intellettuale di privilegi selettivi appannaggio di élites schizzinosi per le loro versioni di massa, ma ha eroso beni accumulati, evaporato vantaggi e prerogative ereditate o conquistate, cancellato concessioni che si pensavano esclusive. E arrivano disperati più disperati della giovane operaia che non può più permettersi i suoi ingenui ninnoli, che anche loro desidererebbero. E quei diseredati diventano i nemici, incutono sospetto, diffidenza, paura alimentata da un allarme artato di autorità incapaci di fronteggiare problemi preventivabili in società democratiche e civili, ma ingovernabili laddove ha la meglio l’incapacità di comprendere e gestire la complessità, la predilezione per scorciatoie e misure emergenziali che aprono le porte a repressione e iniquità.

“Speriamo che viene Hitler che ti mette nel forno crematorio a te”. anche Repubblica.it pubblica il video shock ripreso in un vagone delle Ferrovie Appulo Lucane dove si assiste all’aggressione verbale di un controllore che insulta un gruppo di migranti, dei ragazzi di colore che vengono offesi pesantemente.

Alcuni lo chiamano il “populismo della paura” che incardina il populismo di territorio leghista, xenofobo razzista localista in quello berlusconiano, edonista egoista costumista. La combinazione è orrenda: giustizialismo e ferocia, marchiati dai segni dell’invidia, del risentimento sociale anche nei confronti di chi ha meno, ma in virtù di questo accede a beni elementari, dell’inclusione in schemi difensivi territoriali o corporativi.
La globalizzazione ha apparentemente avvicinato, ma nel momento in cui l’ha fatto, mantenendo l’esclusione e le differenze, le ha rese insopportabili. Ha creato una linea di conflitto che attraversa le città, i quartieri, i flussi umani, culturali. Da un lato produce disaffezione per il proprio territorio, sradicamento, asocialità, dall’altro esalta la comunità solo in chiave della contrapposizione amico/nemico. L’arrivo in casa di “altri”, ma anche l’irruzione virtuale di immagini medianiche di “altri”:culture, religioni, usi che appaiono ostili per quanto lontane creano un senso di ansia e insicurezza, da noi inesorabilmente alimentata come minaccia cui rispondere con la violenza, l’espulsione, l’esclusione e l’ancoraggio ottuso ed egoista a una supposta identità patria, peraltro anche quella a rischio divisione e polverizzazione di valori e appartenenza.
Non so chi e come troverà una cura. Pare che i ragazzi che anche oggi hanno manifestato, non abbiano ben compreso che ai territori della disperazione non possono guardare solo con compassione e solidarietà, perché c’è da temere che siano loro i sommersi di domani, che nella tremenda spirale della storia il bisogno si arrotolerà anche intorno alle loro vite e al loro futuro.
Pare che la restante sempre più ristretta opulenza di alimenti solo per nutrire il nostro dolore.

Exit mobile version