La resistenza attiva delle  Brigate al-Qassam, l’ala militare del movimento Hamas  è più pericolosa di quanto non si pensasse: ieri sono stati distrutti parecchi mezzi israeliani, mentre 16 soldati sono morti. Certo tutto questo non basta a fermate le truppe di Tel Aviv, ma fa pensare che la resistenza potrebbe essere lunga, aggrovigliata, tenace e che il tempo non lavori per i sionisti. In effetti sia Israele che l’occidente complessivo si sono andati a cacciare nelle sabbie mobili dove più si muovono e più affondano: il mondo è inorridito da ciò che sta accadendo a Gaza con i bombardamenti indiscriminati e rifiuta ormai di tacere e di essere complice degli autori di questa sceneggiatura di morte: la maschera è ormai caduta e non potrà più essere recuperata. Ma  dobbiamo chiederci anche se Israele è davvero in grado di sostenere una guerra lunga dentro la quale le geometrie degli avversari possono rafforzarsi.

Tutte le sue folgoranti vittorie nei 75 anni di dominio  si sono realizzate in pochi giorni grazie anche una superiorità di armamenti e di tattica che oggi è stata largamente erosa, in un contesto nel quale  l’evoluzione della tecnologia e delle tattiche militari ha ampliato il potere di piccoli eserciti di liberazione come Hamas, Hezbollah o quello degli Houthi, in cui l’aiuto dell’Iran è qualitativamente su un altro livello rispetto al passato e in cui Russia e Cina hanno un ruolo strategico imparagonabile a quello di solo una decina di anni fa: una guerra lunga mesi o anni non solo finirebbe per demolire completamente ciò che resta del mito militare di Israele, ma avrebbe ripercussioni enormi sull’ economia del Paese  che a questo punto rischierebbe l’ucrainizzazione, per così dire. Che fine farebbero, tanto per dirne una  il turismo e la vendita di diamanti che costituiscono il 40 di entrate estere? E quanto durerebbe l’appoggio di parte delle opinioni pubbliche occidentali  politicamente più rozze di fronte a una strage quotidiana? Alla fine persino i tronfi idioti dei giornali, delle tv e i troll autorizzati in rete, cominceranno a sentire l’inconfondibile odore di chi ha pestato merda troppo a lungo.

Peraltro gli stessi Usa che sono stati per decenni  i tutori di Tel Aviv e allo stesso incubatori del sionismo non sono in grado di sostenere una guerra generalizzata in Medio Oriente e anche ascoltando ciò che dice il Pentagono lo schieramento navale nel Mediterraneo – che militarmente potrebbe rivelarsi una trappola – agiterà ulteriormente la situazione in Medio Oriente, creando ulteriore tensione che potrebbe  estendersi oltre la regione, senza essere concretamente di alcuna utilità nella battaglia per Gaza, ma solo un mero riflesso condizionato a mostrare i muscoli come un palestrato un po’ idiota. Di fatto la Casa Bianca, dopo aver approvato il piano segreto per la pulizia etnica nella Striscia, ha dovuto fare più di due passi indietro di fronte alla ferma volontà dell’Egitto di non prendersi carico dell’intera popolazione palestinese. La censura e la propaganda mediatica guidata da Israele e dagli Stati Uniti stanno nascondendo la portata dell’impatto della guerra contro la Palestina e le sempre più profonde debolezze militari ed economiche dello stato israeliano, ma diventerà chiaro che quanto più a lungo dura la guerra, tanto più Israele finirà con l’indebolirsi e con mettere a rischio l’aura di intoccabilità morale imposta dall’egemone: molti Paesi prima supini ora stanno condannando le stragi.

Insomma quanto più a lungo dura la guerra, tanto più c’è il rischio per Israele che si torni a parlare sul serio  della questione palestinese e dei furti territoriali  di Tel Aviv e che lo Stato israeliano sia costretto a ritirarsi entro i confini del 1967 con la creazione di un nuovo Stato palestinese con smilitarizzazione e garanzie di sicurezza internazionali . Una lunga guerra non favorirà per nulla Israele e il suo Golem americano. Del resto già ora la stampa israeliana e anglo-americana cerca di minimizzare o ritardare gli smacchi subiti: per esempio solo qualche giorno fa si è saputo dei 24 americani morti  a seguito degli attacchi di droni avvenuti intorno al 18 ottobre alla base di Al-Tanf in Siria e alla base di Al-Asad in Iraq; era stato detto che missili e droni degli Houthi sono stati tutti abbattuti dal cacciatorpediniere USS Carney e invece è risultato che parecchi sono passati indenni; né sono state rivelate le pesantissime perdite subite da americani e israeliani durante un raid comune a Gaza. Ma ci sono molti attacchi contro porti e infrastrutture militari che non vengono nemmeno riportati, così come il fatto che  la piattaforma di produzione di gas Tamar che fornisce il 70 per cento dell’energia elettrica di Israele sia stata chiusa per paura che qualche missile o drone possa colpirla.

Paradossalmente però questa situazione potrebbe alla fine potrebbe inaugurare una nuova Israele finalmente liberata dal peso del sionismo, dell’escatologia razzista che si porta dietro e che alla fine ha posto  le premesse di una sconfitta.