C’è chi si è inventato la trappola di Tucidide per rivestire di una confezione accattivante una banalità, ma potremmo con molta più ragione parlare della trappola di Netanyahu che consiste nel cacciarsi in una situazione dalla quale non si può uscire e comunque non uscire vittoriosi . Quali che siano state le cause e gli attori nascosti di questa nuova esplosione tra palestinesi e sionisti israeliani è del tutto evidente che Israele ha perso la patina di totale superiorità militare ovvero la sua deterrenza nel momento in cui Hamas ha inflitto in un solo giorno, più vittime di quante Israele ne avesse mai subite in qualsiasi guerra precedente. Quindi adesso Netanyahu deve ripristinare la deterrenza per fornire nuovamente ai sionisti un sentimento di superiorità. Ma non può farlo.
Qualsiasi attacco terrestre a Gaza significherebbe una guerra urbana in una città già distrutta e per giunta con grandi strutture sotterranee il che vuol dire che l’esercito israeliano subirebbe comunque una marea di vittime che ne ridimensionerebbe l’immagine creatasi nel tempo, anche grazie alle opportune omissioni della narrativa occidentale. Oltre a questo ci si può aspettare che Hezbollah e altri gruppi di resistenza, possano attaccare Israele dal nord se Tel Aviv decidesse di entrare a Gaza. Si tratta di forze che posseggono circa 100 mila missili più che sufficienti a raggiungere qualsiasi città di Israele e a esaurire molte volte le difese che peraltro si sono rivelate assai meno efficaci del previsto. La guerra in Libano del 2006 ha dimostrato che Hezbollah è trincerato e molto capace di difendersi. Da allora ha acquisito maggiore esperienza combattendo l’Isis in Siria. Né gli attacchi aerei statunitensi né un’invasione terrestre possono impedire a Hezbollah di lanciare i suoi missili.
Dunque Netanyahu deve attaccare Gaza per ristabilire la deterrenza costituita dalla invincibilità di Israele, ma allo stesso non può farlo perché proprio questo distruggerebbe il mito dello stato superiore, ancor più di quanto Hamas abbia fatto finora. Israele, con l’aiuto degli Stati Uniti, ha cercato di spingere la popolazione di Gaza verso l’Egitto e dal punto di vista del Cairo questa sarebbe una soluzione umanitaria, almeno finché altri ne pagheranno le conseguenze, ma causerebbe un serio problema strategico: la resistenza di Hamas e altri contro Israele continuerebbe indefinitamente e l’Egitto che non può e non vuole assumersi tale onere, ne sarebbe ritenuto responsabile.
Per uscire da questa trappola Netanyahu ha pensato di affamare Gaza, ma la perdita di simpatie verso Israele e il suo tutore americano sarebbe soverchiante se davvero andasse fino in fondo: persino il Segretario Generale dell’Onu che è un infame servo di Washinton ha smosso il suo culone ispanico per andare a visitare il valico di Rafah, mentre altre organizzazioni come l’Oms e l’Asean hanno espresso perplessità verso questa azione: le immagini di persone che muoiono di fame renderanno impossibile per l’occidente sostenere questa tragica “soluzione”. Già ora i coloni che in Cisgiordania stanno uccidendo palestinesi naturalmente con l’aiuto dell’esercito che li copre, stanno suscitando emozione in tutto il mondo, tranne che da noi dove l’informazione non osa descrivere davvero queste cose. Il processo decisionale di Israele è alla fine realmente paralizzato: per ora si continuerà a parlare di un’invasione di terra che tuttavia non sarà lanciata mentre si continuerà a far morire di fame Gaza.
Tuttavia qualcosa prima o poi si spezzerà, da un momento all’altro potrebbe verificarsi una nuova grande atrocità a Gaza ( il tentativo di scaricarsi la coscienza sull’ospedale di Gaza sta naufragando tra fatti indiscutibili) o un pogrom in Cisgiordania: qualsiasi errore di calcolo nel nord potrebbe lanciare quel fronte in una guerra calda. Hezbollah potrebbe iniziare a invadere “preventivamente” il territorio israeliano. Però l’opinione pubblica israeliana continua a chiedere una guerra di vendetta, ha ancora bisogno di ripristinare la sua deterrenza e superiorità e non ha ancora compreso che questo non è più possibile. A ben pensarci è la stessa situazione che abbiamo in Ucraina dove è andata in pezzi l’invincibilità della Nato e degli Usa: continuare la guerra significa rischiare (anzi è una certezza) di rendere la sconfitta ancora più evidente persino alle opinioni pubbliche in salamoia che si aggirano in occidente, ma finirla qui significa comunque ammettere irrimediabilmente la sconfitta. E dunque Washington fa come l’asino di Buridano che non sa cosa scegliere tra le due cose. prende tempo e attende attende un qualche miracolo che la tolga dai pasticci.
Quando si screpola aura invincibilità… nemico si fa più intraprendente!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
Si può leggere (!) :
https://www.lastampa.it/economia/2023/10/22/news/guerra_medio_oriente_bollette_gas_aumenti_salasso-13802004/?ref=twhpv
Beh,khaled meshal, uno dei leader di hamas, la racconta in modo un po’ diversa, la faccenda. Oltretutto rischiando il ridicolo quando afferma che hamas concentra la sua resistenza sulle forze di occupazione,sui soldati.
Quanto alle vittime civili non siamo responsabili noi per loro.( insomma, sono danni collaterali. Peccato la enorme sproporzione tra vittime civili e militari. Anche fra i rapiti.) Naturalmente Israele dovrà svuotare le carceri se li rivuole indietro.
Da intervista sulla TV al arabiya fatta da rasha nabil al succitato meshal.
Dai rapporti dell’Azione umanitaria polacca (a sostegno dei palestinesi): La mattina del 5 luglio, i soldati israeliani sono entrati nel villaggio palestinese di Amniyr con attrezzature pesanti. L’esercito ha distrutto nove petroliere. Una settimana dopo, i soldati hanno distrutto pompe e pozzi nei villaggi palestinesi della Valle del Giordano: Al-Nasarya, Al-Akrabanya e Beit Hassan. A Betlemme la mancanza d’acqua ha provocato rivolte nei campi profughi.
Inoltre, il controllo dell’acqua è un business redditizio, anche se moralmente discutibile; la popolazione palestinese occupata è costretta ad acquistare acqua da un fornitore israeliano e, anche se le risorse idriche si trovano in aree abitate da palestinesi, devono pagare tariffe gonfiate per la sua fornitura. La politica di vendita dell’acqua è accompagnata da rigide restrizioni sullo scavo di pozzi, costringendo i palestinesi a pagare le tariffe dettate da Israele. Qualsiasi pozzo costruito senza il permesso delle autorità di occupazione è considerato illegale, il che comporta il suo riempimento. I permessi vengono rilasciati raramente. Il problema della distruzione dei pozzi colpisce molto spesso i residenti che vivono vicino agli insediamenti ebraici, alle popolazioni rurali o ai beduini stanziali. Vale la pena aggiungere che le direzioni principali dell’insediamento ebraico sono aree fertili grazie alle risorse idriche, e gli stessi coloni pagano una tassa simbolica per l’acqua.
I palestinesi percepiscono la mancanza di accesso all’acqua come una delle manifestazioni più dolorose dell’occupazione.
La discriminazione è illustrata dalle statistiche: il limite d’acqua per un palestinese è di 50 litri al giorno, e il limite per un colono ebreo è di 280 litri. In alcune zone, il consumo medio palestinese è di 20 litri, il minimo richiesto dall’OMS per dichiarare la necessità di un intervento umanitario.