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Arte sott’acqua: pescecani in fila

Anna Lombroso per il Simplicissimus
C’è da scommetterci: anche dietro all’auspicabile restauro delle opere d’arte, d’arte del patrimonio bibliografico, dei tesori annegati nell’acqua in Emilia Romana, si muoverà quella trama di soggetti privati o diversamente tali, quella compagne di società commerciali, eletti senza titoli negli anti locali, controllori cui si è raccomandato di venir meno al mandato di sorveglianza, esperti col cartellino del prezzo ancora attaccato alla giacca. L’abiura dello stato all’obbligo di tutela e protezione ha lasciato il posto al potere sostitutivo di fondazioni, agenzie, S.p.A. , lobby, imprese che dietro il viluppo della pellicola con cui incartano i monumenti, occultano profitti dentro regimi fiscali illeciti. Direte che sono ossessionata ma dobbiamo al solito Veltroni aver concesso al ministero di costituire e partecipare ad associazioni, fondazioni o società anche con il conferimento in uso di beni culturali che ha in consegna. Perfino il suo successore, Urbani, riuscì a fare meglio di lui, cancellando dal regolamento attuativo le “società”: come osservò a suo tempo Montanari, avremmo gli Uffizi S.p.A..
Ciononostante si crearono così i precedenti per “persone giuridiche” di diritto privato cui conferire per un certo numero di anni la gestione e la “protezione” di parti rilevanti del patrimonio artistico e storico nazionale. Ci pensò poi una ulteriore manomissione costituzionale a perfezionare il processo di esproprio dei nostri beni comuni: la riforma del Titolo V e in particolare l’articolo 114 la Repubblica diventa uno spezzatino di enti e organizzazioni nei quali lo Stato ha minor rilevanza di città metropolitane e comuni grandi e piccoli, e assegnando alle Regioni i compiti di valorizzazione dei beni culturali e ambientali e l’organizzazione delle attività inerenti. Ma credevano davvero che privati, fondazioni, imprese, multinazionali, sarebbero di buon grado corse in soccorso di uno Stato inetto, impotente, impoverito senza chiedere niente in cambio, salvo qualche sala da tè e empori per il merchandising in aggiunta all’uso del marchio o dell’immagine del “prodotto”. In cambio della progressiva cessione di sovranità, potere decisionale, competenze pubbliche le fondazioni hanno ottenuto un rafforzamento del potere, una legittimazione sociale e culturale per le loro lobby di riferimento oltre al potenziamento delle loro oligarchie e del loro management. Però  il vero paradosso è che alla resa dei conti della loro attività non si ha conoscenza: da anni Montanari si chiede cosa abbia prodotto l’impegno, suffragato da ben due inaugurazioni ministeriali con nastri, forbici e pistolotti, nella quale si sono avvicendati i rappresentanti di istituti di credito in uno giro di poltrone, nelle porte girevoli di fallimenti, crimini, suicidi eccellenti, la fondazione che combinava enti pubblici e locali insieme Compagnia di San Paolo, Casse di Risparmio.
Non solo non ha assunto l’onere di gestire la biglietteria, ma è ancora lo Stato a svolgere tutti i compiti di gestione del Museo, non uno qualunque, proprio quel Museo Egizio vanto della città di Torino e del Paese. Invece molto hanno contato gli inetti consigli di amministrazione dell’individuare curriculum e identikit dei direttori di musei e istituzioni culturali, dando una esplicita preferenza a soggetti collaudati nei settori del marketing e della commercializzazione. È tragicamente lungo l’elenco di altri fallimenti: dalla fondazione che si era incaricata del governo illuminato della Pinacoteca di Brera grazie alla concessione di una onerosa dotazione pubblica di risorse, al tentativo per fortuna non riuscito, di alienazione della Reggia di Venaria, strappata in virtù di una mobilitazione popolare agli appetiti privati. Nella giungla delle fondazioni che rivestono benevolmente la funzione di mecenati, possiamo collocare alcuni casi campione: Brescia S.p.A. che fa il brutto e il cattivo tempo nella Pinacoteca, nel Campidoglio romano della città, nel sito di Santa Giulia. Oppure quella dei Musei Senesi che riunisce 45 musei delle Terre di Siena ma che ha esteso le sue competenza a archivi, biblioteche, monumenti. A suo tempo suscitò scalpore la partita di giro con la quale furono erogati 4 milioni alla fondazione Ravello di diritto privato, presieduta dall’illuminata figurina di Brunetta. Li chiamarono privati for profit, oggi declinati anche in forma di project financing nel quale l’impresa sostenuta da un forte accredito virtuale bancario, si assume il costo dell’esecuzione in cambio di entrate future, con interventi e opere che decide nella totale indifferenza per l’interesse generale e che verrà trattato con la dovuta indulgenza nel caso sfori i preventivi o venga meno alle promesse di compensazioni. Intanto il Ministero, qualsiasi sia il governo in carica, ha pensato bene di creare società per azioni delle quali potete avere notizia gironzolando in rete, perché di azioni concrete non ne troverete, nei vostri territori né altrove. Basta andare in ordine alfabetico: c’è l’Ales S.p.A., ente fantasma i cui servizi “sono volti a migliorare le esperienze di fruizione dei beni per i visitatori dei luoghi della cultura e prevedono l’accoglienza, l’assistenza al pubblico nel corso della visita e la vigilanza sui beni”. Mentre per alcune aree archeologiche, si occupa di servizi a supporto della manutenzione programmata, declinati sul miglioramento del decoro dei siti e il mantenimento dei manufatti archeologici in condizioni di integrità.
Chiunque abbia visitato la Valle dei templi, abbia fatto una lunghissima fila a Segesta, abbia inseguito un bus estemporaneo a Selinunte non può che lamentare la latitanza di LES. O quella di Arcus S.p.A. Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo “attiva” dal 2004 che agisce di concerto con i dicasteri dell’Economia e delle Infrastrutture, tanto per non lasciar adito a dubbi sui suoi reali interessi. Per non dire che lo Stato che ha formato e perfino assunto specialisti, storici dell’arte, archeologi, concede il governo del nostro bene comune a funzionari in libro paga di assessori che vogliono lasciare un’impronta, di critici di regime a mezzo servizio tra testate, talk show e organizzazione di eventi speciali a cominciare da sfilate di intimo nelle gipsoteche, cene aziendali nelle cattedrali, matrimoni in odor di mafia nelle basiliche. Il confronto tra pubblico e privato nella gestione del nostro bene comune si risolve come al solito, socializzando le perdite di un patrimonio in rovina e privatizzando gli utili a beneficio di clientele, lobby, imprese, banche in cerca di consenso. E d’altra parte sono questi i comandamenti della teocrazia del mercato. Anche in questo caso è doveroso essere eretici, miscredenti, dissidenti.
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