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Dovremmo di nuovo liberarci, non festeggiare

Da tempo immemorabile il 25 aprile e il Primo maggio sono soprattutto date da incastrare nei “ponti” che il popolo dei coletti bianchi ancora si concede. Ma siccome non c’è alcun anelito alla libertà e nessuna concezione che colleghi il lavoro ad essa benché il primo articolo della Costituzione  parli di una repubblica fondata sul lavoro, non ha molto senso  festeggiare una Liberazione che oggi capiamo non essere del tutto avvenuta,  nonostante la guerra partigiana che non fu affatto un intervento marginale e subalterno alla guerra americana, ma una battaglia politica dentro un Paese occupato e condotta principalmente dai lavoratori. Sono soltanto cambiati i fili che muovono il notabilato gattopardesco di questo Paese il quale di anno in anno ha sempre tentato di erodere i significati politici della Liberazione del Paese e di quella dell’Europa dal nazismo che tra l’altro si era realizzata solo grazie all’Unione Sovietica e non al tardivo intervento alleato messo in piedi non contro la Germania – peraltro foraggiata dalle stesse famiglie e centri di potere che oggi ci impongono le loro agende – ma  proprio per evitare che l’Urss arrivasse al cuore stesso del continente.

Davvero non avrebbe senso parlarne se non fosse che questo 25 aprile è un po’ diverso dagli altri perché – ironia della sorte- le nostre armi sono di nuovo laggiù nella grande pianura sarmatica  dove si è consumata fino in fondo la tragedia della guerra fascista e sono laggiù per la nostra vergogna sotto insegne naziste. Cosa allora dovremmo celebrare  se non la nostra monumentale ipocrisia? Perché farlo visto che 80 anni dopo ripetiamo lo stesso errore e sempre al seguito di un padrone? Se per tre anni buona parte delle persone hanno acconsentito alle rapine di di libertà senza alcuna volontà di resistere?  E poi vedere i sedicenti antifascisti di oggi  recitare da buoni chierichetti del neoliberismo un antifascismo biascicato in nome del fascismo portandosi dietro l’olio di ricino del politicamente corretto oltre che le bandiere ucraine. è davvero troppo penoso perché è l’immagine perfetta della schiavitù inconsapevole. Gli unici che potrebbero festeggiano concretamente il 25 aprile sono coloro che si oppongono all’invio di armi all’Ucraina: essi fanno l’unico antifascismo possibile, contro quello fossile e disarmante degli ucraini rimasti indietro di un secolo, ma soprattutto contro quello molto più pericoloso di coloro che spingono i primi a fare da carne da cannone in nome del loro Reich millenario, che in questo caso si chiama “destino manifesto”  ed “eccezionalismo”, due paroline che dalla liberazione ad oggi hanno fatto – secondo un recente studio – 20 milioni di morti in via diretta e almeno il doppio  in via indiretta. Ma si tratta solo di stime molto prudenziali. In realtà non dovremmo festeggiare un bel nulla, dovremmo invece, di nuovo,   liberarci

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