Pochissime persone al di fuori dell’Ungheria parlano il magiaro, quindi come per tantisssimi altri luoghi del mondo, ma in questo caso proprio nel cuore dell’Europa, praticamente tutte le notizie quotidiane da quel paese ci sfuggono oppure provengono da fonti ong che “spiccano” solo inglese e sono dunque nella quasi totalità dei casi inquinate alla fonte . Così non sappiamo che  ultimi mesi si è sviluppato una sorta di scandalo sui generis in merito alle elezioni di aprile che hanno visto una decisiva vittoria di Viktor Orban e del suo partito: diverse organizzazioni hanno criticato le elezioni sulla base del fatto che  Orban, ha utilizzato elementi dell’apparato statale per promuovere il proprio partito, ma poiché questo accade sempre e dovunque possiamo dire che si tratta di critiche pretestuose tanto per trovare qualcosa che non va. E’ invece l’opposizione guidata da  Péter Márki-Zay ad essere in qualche modo nei guai: il leader anti Orban in estate  ha dichiarato che il suo movimento aveva ricevuto denaro “dall’America”, che è stato utilizzato per pagare alcuni dei conti elettorali . Il denaro, ha spiegato, era arrivato attraverso un’organizzazione chiamata Action for Democracy, creata appena a febbraio.

Queste parole hanno suscitato polemiche, dal momento che la legge elettorale ungherese vieta ai partiti di ricevere denaro dall’estero. In Ungheria, i finanziamenti per le campagne elettorali sono forniti a ciascun partito attraverso il bilancio statale. Sono ammesse anche donazioni da parte di privati ​​cittadini, sebbene al di sopra di un certo importo, il nome del donatore deve essere reso pubblico. Dunque è stata aperta un’inchiesta la quale è arrivata a determinare che il movimento di opposizione ha ricevuto una somma di denaro molto maggiore di quanto inizialmente pensato – 1,8 miliardi di fiorini (circa 4,5 milioni di dollari) – e che  si hanno buone ragioni per ritenere che questo denaro non sia riferibile ad Action for Democracy appena nata ma direttamente al governo Usa: lo si potrebbe ipotizzare e sospettare per il fatto che molte persone nel consiglio consultivo di questo organismo sono  collegate al famigerato National Endowment for Democracy, un’organizzazione finanziata dal governo degli Stati Uniti, principale protagonista del cambio di regime in molti Paesi  e che da tempo ha dichiarato di voler cambiare le cose in Ungheria. 

Non si sa come finirà la questione, ma è fuori di dubbio che Action for Democracy, peraltro presente anche in Italia, Brasile, Polonia e Turchia, sia uno strumento atlantista, anzi rappresenti come dire l’archetipo delle ingerenze elettorali e politiche Usa: il presidente è  la scrittrice e attivista americana di lontana origine magiara  Kati Marton, che è anche l’unico tenue aggancio con l’Ungheria. Tutti gli altri sono la solta compagnia di gito anglosassone tra cui spiccano l’ex comandante supremo della Nato, generale Wesley K. Clark, Il politologo americano Francis Fukuyama, Evelyn Farkas, ex vice segretario alla difesa degli Stati Uniti per Russia, Ucraina ed Eurasia sotto l’amministrazione Obama, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Ungheria  Eleni Kounalakis, e l’ex ministro degli Esteri britannico David Milliband. Insomma tutti insieme appassionatamente. Naturalmente Action for Democracy nega di aver elargito tutti quei soldi ben sapendo che non sarebbe credibile per un organizzazione fondata appena due mesi prima delle urne aver messo insieme tanti soldi e che naturalmente farebbe subito sosettare la sua natura di cinghia di collegamento con Wshington.  Tuttavia  le tracce del denaro ci sono tutte ed è probabile che alla fine Action for Democracy dovrà  andarsene dall’Ungheria. Cosa che di certo non accadrà in Italia dove per ora tiene un profilo basso e totalmente ambiguo nel quale spiccano gli inviti all’accoglienza indiscriminata dei migranti, a difendere i diritti umani in Iran, le esortazioni alla nazionale di calcio per la difesa dei diritti Llgbtqi + e persino a difendere Saviano dalle cause per diffamazione della Meloni. Insomma un quadro molto chiaro e molto “amerikano”.