Anna Lombroso per il Simplicissimus

Incaricata di effettuare l’editing per dare una forma più ragionata alla relazione conclusiva della commissione d’inchiesta sul Cermis, era stata una mie amiche più care.

A volte le telefonavo nel bugigattolo allestito per lei nei meandri degli uffici parlamentari delle commissioni d’inchiesta e il centralino si dichiarava alla risposta: Stragi!!! Come altri: Incendi boschivi, o attività della n’drangheta in Lombardia, con lo scopo forse di dare una parvenza di normalità ai tanti armadi della vergogna e dei misteri irrisolti italiani che albergano in lunghi e bui corridoi impolverati.

Ma era solo in quel caso che   veniva definito strage quel macabro contrattempo, un incidente attribuibile a innocenti trastulli e a competizioni di baldi giovanotti annoiati dall’astinenza di giochi bellici. E  in fondo possiamo immaginarlo a ricordare gli eccessi di zelo nel contrasto alla pirateria di marinaretti  messi a guardia di imbarcazioni private, esposte a rischi nelle loro scorrerie commerciali nei  mari di Oriente.

Difatti Wikipedia, la fonte del vostro sapere online, continua a chiamarlo “incidente, spesso definito dagli organi di informazione come la strage del Cermis”, riferendo i  fatti avvenuti il 3 febbraio 1998 quando un aereo militare statunitense Grumman EA-6B Prowler della United States Marine Corps, “ volando a una quota inferiore a quanto concesso e in violazione dei regolamenti”, tranciò il cavo della Funivia del Cermis, facendo precipitare la cabina e provocando la morte dei venti occupanti.

Malgrado la prontezza dei magistrati trentini, che sequestrarono immediatamente l’aereo incriminato nella base di Aviano, che impedì che l’aereo venisse smontato e riparato evitando l’accertamento della verità, malgrado i pm italiani avessero preteso di processare i quattro responsabili in Italia, la giurisdizione su caso venne riconosciuta alla giustizia militare statunitense in forza   della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951 tardivamente e inutilmente desecretata da D’Alema   proprio mentre l’Italia partecipava della macelleria balcanica,  sullo status dei militari NATO, imponendo che la giurisdizione sul caso dovesse riconoscersi alla giustizia militare statunitense.

Inutile ora ricordare il clima di intimidazione di fonte garantista contrapposta a  istanze forcaiole all’improvviso che ha accompagnato l’inchiesta alle presunte responsabilità di Amanda Knox, poi interamente scagionata, malgrado molte perplessità, film, sceneggiati, instant book, memoriali, prima, durante e dopo il processo per la morte di una giovane studentessa dell’Erasmus avvenuta qui in Italia.

Come ha denunciato la mamma di Giovanni Zanier,il quindicenne travolto e ucciso su una pista ciclabile dove sostava in chiacchiere con gli amici,  daJulia Bravo, la militare ventenne della base di Aviano, che per il troppo alcol aveva avuto difficoltà a mettere in moto la sua Polo, che poi però ha guidato zigzando fino a abbattere le transenne, travolgendo il  povero ragazzino, tutto fa sospettare che anche questa volta la potenza dell’insostituibile alleato abbia la meglio e che l’assassina, che ora chiede scusa e si rammarica, venga protetta dal Grande Paese che provvederà a servirsi della solita procedura per avocare a sé il giudizio.

D’altra parte  si sa che Aviano è intoccabile: gli Usa non comandano solo all’interno della base ma hanno via via condizionato e corrotto tutta la zona intorno, in cambio di compensazioni che sono state accettate con gratitudine dalla popolazione.

L’esempio è seguito e si sa da chiunque metta in moto una macchina di occupazione di suoli, militare e non solo, come sta accadendo in Sardegna dove agli emirati viene concesso di acquisire a prezzi stracciati tratti di costa, terreni, antiche dimore in cambio della promessa di costruire una clinica ove ospitare i “loro turisti di élite” ma aperta anche a pazienti indigeni.

Negli anni settanta, una fonte non sospetta, Susan Sontag, scrittrice, saggista, filosofa e storica nata a New York nel 1933, aveva diagnosticato che gli Usa avevano diffuso nel mondo la loro Peste e che probabilmente di quel contagio tutto il mondo sarebbe morta, culturalmente, socialmente e fisicamente, di inedia della critica, per il rifiuto della propria autodeterminazione in cambio di ordine e benessere, per il dominio di uno stile di vita presentato e poi rivendicato come superiore, ancorché  imposto con le armi, la rapina, la ferocia dell’avidità.

E dobbiamo a Wim Wenders la folgorante denuncia: gli americani hanno definitivamente colonizzato anche il nostro immaginario.

Sono stati profetici, se addirittura il contagio è avvenuto perfino per le vie tradizionali, grazie a una “malattia” costruita a tavolino e fatta circolare in giro in modo da favorire il dominio di multinazionali del farmaco in grado di subordinare e vincolare governi, amministrazioni, enti pubblici, organizzazioni globali, e di creare un perenne stato di minaccia che favorisse un perpetua emergenza sanitaria, di controllo e repressione e che rendesse tutti potenziali malati in una società da medicalizzare.

Come avevano ragione: spetta agli americani il tetro primato di aver obbligato popoli e nazioni alla rinuncia di tradizioni, lingua, identità, per ottenere ciò che forse volevano, una servitù addomesticata  e confortata da consumi, distratta e appagata dalla continua produzione e proiezione di film che i media in modo ossessivo, come le musiche dei supermercati, riproducono invadendo lo spazio pubblico come la sfera privata, facendo dell’american way of life, un pensiero unico, totalitario, dove l’individuo sparisce e viene resuscitato solo nel momento in cui compra o diventa un numero di matricola da mandare a compiere esportazioni della loro democrazia.

Hanno stravolto il diritto internazionale per adattarlo alle leggi delle loro lobby e per creare un quadro inattaccabile a difesa dei suoi cittadini, bianchi, divoratore di spazzatura, ignoranti e tracotanti, sempre incolpevoli per via del marchio di origine. Ormai le leggi che regolano il mercato e dunque l’intera società vengono scritte sotto dettatura delle corporation e delle multinazionali agli addetti degli studi legali collocati agli ultimi piani di torri di cristallo che abbiamo conosciuto su Netflix, dove caimani e marpioni fanno scricchiolare le loro scarpe italiane su lastre di marmo pregiato, disposti a tutto anche al crimine per accontentare la clientela più esigente. E figuriamoci se pro bono non sono pronti  a prestare consulenze generose per tutelare gli interessi di una connazionale sottoposta a tribunale militare per via dei capricci di una remota provincia che reclama di esercitare il suo stato di diritto.

Hanno completamente rovesciati i cardini e i valori della comunità riducendo la solidarietà a carità officiata dalle sue camarille che hanno insegnato al mondo i benefici di donare in cambio di prodigiosi profitti, di fama e reputazione, restringendo il concetto  di compassione  a una pietà sempre ripresa dalle telecamere.

Non occorre nemmeno parlare di decenni di guerra, invasioni, sopraffazione guerre predone, per dimostrare che a fronte di insuccessi e sconfitte sul campo, hanno vinto annettendoci all’impero, anche senza versare una goccia di sangue, comprando a basso prezzo etnie pronte a offrirsi all’utilizzatore finale, persuase alla rinuncia e guidate da un personale politico che vuol far parte delle loro élite, “divertirsi” e guadagnarci in funzioni, ruoli, benefici direttamente dipendenti dai livelli di obbedienza raggiunti.

Ormai i dadi sono truccati e noi abbiamo permesso ai bari di ridurci a servitù, siamo correi delle loro imprese, ci sacrifichiamo per loro in nome di valori che non ci appartengono, abbiamo assecondato e accettato che qualsiasi evoluzione al nostro interno debba richiamarsi al loro modello ricattatorio. Ci hanno convinto che le idee sono armi, pericolose per la stabilità come la critica, e che perciò bisogna utilizzare ogni arma contro di esse.

E forse è ormai troppo tardi.