Non ci è voluto molto alla Fsb, il servizio di sicurezza russo per individuare gli attentatori che hanno assassinato Darja Dugina, la figlia el filoso e politologo Alexander Dugin: si tratta di tale Natalia Vovk, membro del battaglione Azov che è arrivata in Russia con la figlia il 23 luglio, dopo aver fatto la nazi rifugiata in mezza Europa e che adesso si è di nuovo nascosta  in Europa, ovvero in Estonia. Quindi non è più soltanto un’anonima rifugiata, ma un’assassina protetta, visto che difficilmente verrà concessa a Mosca l’estradizione. Assassinare un cittadino russo in Europa è un atto perfettamente lecito: questo è l’occidente delle regole. Però una scia di sangue e di fanatismo globalista si dipana da questo omicidio politico maturato contro un pensatore colpevole di ritenere  che ogni popolo ha diritto a vivere i propri valori, le proprie tradizioni e la propria identità senza disperdere se stesso dentro un magma nullificante e incoerente che tuttavia alla fine non rappresenta alcun internazionalismo reale  ma solo gli interessi e l’oppressione di una ristretta fascia di super ricchi incistati nel Nord America.  Questa prospettiva può piacere o meno, ma dal momento che Alexander Dugin non aveva alcuna entratura al Cremlino e presso il potere russo, più che un colpo contro Putin, qui si tratta di un colpo contro chi osa pensare contro il globalismo. Solo in occidente, per motivi di bassa polemica, si è fatto di Dugin una sorta di profeta del putinismo.

Comprendere la differenza tra la realtà e ciò che dice un’informazione che gronda ignoranza e malafede diventa centrale  in questa vicenda perché permette di comprendere chi siano i mandanti remoti, quelli che stanno dietro le imprese dell’agonizzante regime ucraino come ispiratori . Stranamente in questo caso abbiamo un reo confesso, ovvero un tale  Ilya Ponomarev che in almeno due video ( qui e qui )ha inneggiato felice all’omicidio e ha annunciato che che un gruppo russo da lui sostenuto e finanziato chiamato “ROSPARTISAN” (“partigiani russi”) aveva pianificato l’attentato. Tra l’altro il logo di questa presunta organizzazione è molto simile a quelli usati in diverse occasioni da gruppi vicini alle ong di Soros. E non è un caso a quanto pare: benché in un primo momento si possa pensare che questo Ponomarev sia un mitomane, è invece un verme che vive da anni nel formaggio miliardario di Soros e dei suoi amici. Ex politico e uomo d’affari russo, nel 2014  – pochi giorni prima di andarsene negli Usa – è stato l’unico deputato della Duma a votare contro la riunificazione con la Crimea. Ma era molto tempo che si apriva il suo cunicolo:  già nel 1998 aveva  ricoperto una posizione manageriale nella compagnia petrolifera Yukos di proprietà dell’oligarca russo Michael Khodorkovsky , che è stato successivamente condannato per frode, ma è stato inquadrato in Occidente come una “figura dell’opposizione russa” benché la Corte europea dei diritti dell’uomo avesse per due volte dato ragione al governo russo e sentenziando che l’uomo era un comune delinquente, sia pure i lusso, e non una vittima politica. Ponomarev è stato anche uno degli sponsor di Navalny, che fin dall’inizio è stato anche lui finanziato e controllato da Khodorkovsky  oltre che da Soros  ma è venuto allo scoperto in prima persona organizzando le proteste del 2011 e del 2012 promosse sottraendo i fondi alla fondazione per la quale lavorava in quel momento Quando questo furto è stato smascherato, ha rifiutato di rimborsare i danni causati e alla fine del 2014, è fuggito negli Stati Uniti, dove ha lavorato e scritto per il think tank transatlantico CSIS, finanziato dall’industria della difesa Usa.

In seguito, vista la sua esperienza in campo petrolifero è andato in Ucraina ove ha aiutato Geroge Soros a prendere il controllo di gran parte dell’industria del gas di fracking nel Paese insieme a un socio di nome Joe Biden che adesso è il presidente Usa che sta facendo la guerra contro la Russia. Ponomarev non nega affatto questi legami con Soros di cui si è detto amico da molti anni e anzi rivela di aver dato una mano alla Fondazione Soros sia in termini culturali, sia perché essa avesse successo nell’imporre la legge sull’energia che serviva per impadronirsi del settore. Per chi sa leggere il russo una lunga intervista a Ponomarev sulla vicenda petrolifera ucraina è illuminante da questo punto di vista. Ora  non è che Soros abbia telefonato a Ponomarev ordinandogli di uccidere Dugin o la figlia che forse aveva saputo troppo riguardo ai pasticci di Bellincat o comunque di dare una mano ai servizi ucraini per questo “lavoro”. Le cose non funzionano certo in questo modo nemmeno nella più scalcagnate delle mafie, ma se per anni si diffondono veleni ideologici, si crea e si gestisce l’odio contro alcuni personaggi e ci si circonda di loschi figuri che vengono lautamente ricompensati per fare da interfaccia, i risultati non possono che essere questi. La demonizzazione di Dugin in occidente come ideologo contro il globalismo nonché quale ispiratore dell’operazione in Ucraina, portata avanti con forza dalla costellazione di ong, uomini e fondazioni sorosiane e dintorni, ha finito poi per produrre questo attentato che nelle intenzioni dei suoi diretti organizzatori doveva essere un colpo al cuore dell’operazione russa. E’ stato invece solo un assassinio che è servito a convincere ancora si più i russi che bisogna estirpare la mala erba piantata in ucraina. E, voglia il cielo, anche a  capire che bisogna dare qualche lezione a certi giardinieri che piantano solo veleni e virus.