Anna Lombroso per il Simplicissimus

Quando il brillante e promettente dottor Dick Diver sceglie di dedicarsi interamente alla bellissima e inquieta Nicole che con lui forma la coppia più smart, invidiata e inimitabile,  spregiudicata e irridente, di quella specie di grande set, rappresentato da località famose della Costa azzurra, da Parigi e Roma e da cliniche svizzere adibite alla cura di nobili relitti troppo sazi, ingordi di piaceri e alcol e irrequieti fino al cupio dissolvi, che recitano la loro eterna commedia davanti alla macchina da presa dell’età del jazz, ha già capito che i ricchi sono diversi da noi.

E infatti la catarsi di lei si compie con la disfatta e la rovina di lui, con la fine delle illusioni, quel trattato di psicologia per psichiatri che la comunità clinica si aspetta,  affogate nelle libagioni di un demi monde che non si arrende alla perdita di status e rendite di posizione.

In altro libro di Fitzgerald, un altro folgorato dalla feroce e elegante avidità dei ricchi, dirà che l’altra fanciulla gardenia per antonomasia vive  la sua superiorità etnica immaginando che lunghi treni percorrano la nazione per trasportare le sue scarpette studiate per ballare lo shimmy, le sue gomme al sapore di lampone, quelle matite per le labbra che usa per scrivere il suo numero telefonico sui polsini immacolati di un Gatsby.

Di Gatsby, di uno cioè, che aspira alla loro capacità di esibire lusso dissipato senza peccare di volgare ostentazione, secondo modelli estetici e di comportamento in regime di esclusiva per chi ha frequentato le loro scuole, i loro maneggi, le loro piscine, i loro coiffeur, i loro college, i loro circoli, i loro golf, che li hanno forgiati e persuasi che a loro tutto è dovuto e concesso, quello che a noi è interdetto: impunità, immunità, indulgenza per i loro capricci,  le loro viziate debolezze, le loro nevrosi, nemmeno quelle consentite agli straccioni.

Non so quanto siano cambiati, da che sono diminuiti di numero mente si incrementavano i loro patrimoni concentrati in poche mani per via dell’espulsione dalla loro cerchie di interi ceti, quella scrematura alto borghese che si è via via impoverita, che ha perso lustro e beni per via di una selezione del personale sempre più severa e mirata alla cernita di un idealtipo preciso, interamente compatibile con un modello fidelizzato ai canoni e ai dogmi imperiali, che riduce la sua creatività e l’istinto imprenditoriale alla rapina, allo sfruttamento schiavistico, alla ripetizione su scala dei format imperialistici e coloniali, in una sostanza alla “guerra”.

Per chi vuole solo informazioni da fonte ufficiale e accertata vale la dichiarazione di Warren Buffett, Ad di Berkshire Hathaway, la più grande società quotata del mondo, prima nella graduatoria di Forbes Global 2022, e riportata dal New York Times quando ammise candidamente: “certo che c’è la guerra, una guerra di classe, della mia classe, quella dei ricchi che la sta conducendo e che noi stiamo vincendo”. E un paio di anni dopo, esultante, dichiarò “e adesso possiamo dire di averla vinta definitivamente”.

Per qualcuno, indovinate, la colpa sarebbe da attribuire all’eccesso di democrazia, che avrebbe dato spazio a una rivoluzione dal basso contro l’alto, ma anche a una rivolta dall’alto contro il basso,  almeno a dar ragione a Aristotele: “nelle oligarchie a ribellarsi sono i più, trattati ingiustamente perché pur essendo uguali non sono sottoposti a uguali trattamenti e a godere degli stessi diritti. Nelle democrazia sono i notabili a rivoltarsi perché vogliono e hanno gli stessi diritti degli altri, pur non essendo uguali”.

E di sicuro la tesi non solo è suggestiva ma anche credibile perché dietro l’etichetta di una democrazia ormai solo formale, si è coagulata un’opinione progressista che sottovaluta l’avversario di classe e derubrica ogni critica, ogni forma di opposizione, ogni fermento, come mal di pancia, ribellismo sterile, rancore ignorante e bestiale, delegittimandoli e raccomandando ragionevolezza, realismo e concretezza in modo da raccogliere i buoni frutti del benessere, che anche i sommersi e gli straccioni di Germinale possono meritarsi con assoggettamento, conformismo, obbedienza.

Troppi hanno risposto alla chiamata volta a impegnarsi contro l’ideologia che ispirava moti di consapevolezza e rivolta, tanto da condannare qualsiasi ideologia proprio per ostacolare la circolazione di idee, ideali, valori, in favore di una contro-intellighenzia dimissionaria da ogni afflato antagonista, retrocesso a velleitarismo infruttuoso dai tea party, dai think tank, dalle fondazioni dei filantropi che se di nazionalità russa vengono criminalizzati come oligarchi, dai pensato.

E, più modestamente da noi, da sardine, gretini, apparati che hanno fatto tesoro dei più provinciali esperimenti tradizionali (associazionismo cattolico, chiesa, scuola privata, indottrinamento militare), che oggi trovano nuova e più potente legittimazione nella delega offerta loro  in qualità di organismi del terzo settore incaricati di gestire secondo i canoni del “privato” ogni anfratto un tempo oggetto delle politiche dello stato sociale.  Secondo un approccio, è il caso di dirlo, applicato anche al governo della giustizia e della sua amministrazione, i modo che se ne organizzi la completa trasformazione in un mercato dei doveri, delle responsabilità, di quello che è quantificabile commercialmente in quanto lecito o illecito.

A 11 anni dal referendum tradito quando 26, dico 26 milioni di italiani  non si astennero per reclamare che l’acqua restasse un bene di natura esclusivamente pubblica e che da essa non si traesse profitto, si apprende che la Capitale, quella che lo fu di un impero che deviava fiumi, edificava dighe, realizzava acquedotti tanto che un segno di civiltà era collocare al passaggio delle sue milizie, terme sibaritiche, si divide in aree servite e aree escluse dal servizio idrico, che da via Polense a via Tiberina, migliaia di cittadini vivono con acqua di pozzo e, in molti casi, senza fogne, che – è questo l’oggetto di varie interrogazioni rivolte al sindaco – da Osa a Tenuta Piccirilli fino a Osteria Nuova, Cesano e Torre Jacona, nonostante gli abitanti abbiano condonato le loro case e pagato gli oneri per realizzare le opere di urbanizzazione, non hanno accesso ai servizi essenziali,  prima tra tutti l’acqua potabile.

Da tre mesi ci stanno persuadendo che esistono guerre giuste, quelle di loro generali d’armata, delle loro lobby, dei loro modelli esistenziali. Non badate loro, ne abbiamo una pronta di guerra giusta, la nostra contro di loro.