Anna Lombroso per il Simplicissimus

La cerchia progressista approdata all’adorazione della scienza, della tecnologia, dell’intelligenza artificiale che dovrebbe risparmiarci dalla fatica permettendoci di godere delle delizie della vita secondo Keynes, pensava di essere al riparo una volta accettati i canoni del pensiero neoliberista nella convinzione che non esistesse alternativa praticabile allo sfruttamento e all’oppressione: bastava costruirsi una tana di obbedienza, conformismo,  cura dei propri interessi individuali e si era salvi.

A poco a poco questo edificio incerto che si reggeva su principi morali intesi a dimostrare che una malintesa superiorità sociale e culturale abilitasse a stabilire i confini del bene e del male, i meriti accumulati come punti qualità, condizione per garantirsi standard di benessere e sicurezza, comincia a sgretolarsi, certezze consolidate vengono demolite insieme a convinzioni e schieramenti ideologici.

Se non fossero artefici dello loro ma anche della nostra rovina ci sarebbe da provare compassione per il susseguirsi di disillusioni, rivelazioni dolorose che stanno patendo quelli che si erano persuasi delle benefica fine delle ideologie e in particolare di quella penitenziale militanza a sinistra ormai dichiaratamente arcaica.

Così i convertiti al neolibersimo in mancanza di meglio, qualche attrezzo del movimentismo che esercita la sua critica di principio antistatalista e antipolitica hanno reciso i legami con gli interessi, i bisogni, le aspettative delle classi subalterne, indicando come fronte comune su cui battersi quello delle istanza di riconoscimento di diritti individuali e civili a tutela di soggetti privi di connotazione di classe, minoranze etniche, sessuali, religiose, delle quali  è doverosamente obbligatorio rispettare le scelte purchè non mettano in discussione il sistema.

Eh si, perfino le femministe in odor di neoliberismo che ritenevano che il riscatto dipendesse dalla sostituzione meccanica di donne ambiziose, determinate e già baciate dalla fortuna dinastica, di rendita o di affiliazione, degli maschi che ricoprono ruoli influenti nei posti di comandi, pronte a rompere il soffitto di cristallo in virtù di specifiche qualità di genere, non devono trovarsi a loro agio rappresentate come sono nella loro battaglia di affrancamento dallo stuolo di cretine europee.

Da anni veniva esibita la qualità politica e sociale costituita proprio dall’irruzione sulla scena di donne alcune ormai collaudate da un lunga esperienza altre nuove, coronate dai serti della inesperienza che per forza deve far rima con integrità, ingenua ma tenace innocenza. Le une appunto parte integrante di quella cupola di competenti, tecnici, manager, che hanno inanellato sconfitte, fallimenti, previsioni sbagliate, e che se vengono accusate di correità criminale, trasformano le denunce di vergognosi attacchi sessiste. Le altre come festose e garrule ochette la cui fama è incrementata dalle copertine di Vanity Fair, valorizzate da inclinazioni personali di tendenza e che ritengono che possa essere loro perdonata imperizia e opportunismo, avventatezza e irresponsabilità per via della giovane età e della scarsa dimestichezza con le regole della realpolitik.

Così non tocca battersi solo con i manichini impagliati del gallinaio di Schawb, con le segaligne virago che auspicano una soluzione finale che ci liberi da molesti parassiti, anziani, invalidi, marginali, con le portabandiere del conflitto di interesse per via coniugale o filiale, tutte ormai in mimetica e elmetto per difendere i valori dell’Occidente, sulle quali ripongono fiducia attrezzi arrugginiti del femminismo d’antan che si compiacciono che negli stati maggiori della guerra non ci siano quote rosa, come se non bastassero Condoleeza Rice, Hillary Clinton, Kamala Harris, la stolida baronessa von der Leyen, culosecco Lagarde,  la Metsola che abbiamo scoperto esistere davvero in occasione del  suo pellegrinaggio spirituale a Kiev.

Adesso l’insidia è rappresentata dalle sciacquette che si vogliono ritagliare un ruolo strategico in seno alla grande alleanza che potrebbe assicurare loro una carriera sicura, assistenza e aiuti nell’ambito di campagne elettorali sempre più formali, l’opportunità di erodere democrazie già sofferenti grazie all’obbligo di indirizzare misure, interventi e finanziamenti verso il consolidamento di un ordine globale. Costringendoci a riporre fiducia nel satrapo, nel necessario tiranno sanguinario che dopo aver lasciato in piedi la commissaria, minaccia di lasciar fuori della porte le due scapestrate sciocchine.

Sono le ambizioni sbagliate di quelle che sperano di ritagliarsi un posto da grandicelle in un contesto, l’Europa, che grande non è, che non ha la facoltà unitaria di individuare e difendere i proprio interessi strategici e nemmeno i propri fabbisogni, esposta al rischio di un eccesso di potere di uno dei suoi stati e al pericolo già esistente di subire il condizionamento e la pressione egemonica degli Usa, vaso di coccio che sta già pagando i suoi atti irresponsabili di suddito fedele penalizzato per la propria insensata servitù.

Sarà ora di demolire con certe leadership usurpate, anche i miti del destino biologico, della condanna alla gregarietà che appaga le obbedienti per via matrimoniale, grazie a protezioni che premiano il vassallaggio e la delicata resa al più forte. È il momento di trovare l’unità delle persone antagoniste in lotta contro un nemico comune, quel sistema di dominio e sfruttamento da sempre in guerra per toglierci libertà, diritti, dignità.