Anna Lombroso per il Simplicissimus

A volte per informarsi sulle nefandezze e i crimini di un apparato che ormai aggira regolarmente Parlamento, regioni e enti locali, basterebbe dare un scorsa alla Gazzetta Ufficiale che sigilla a cose fatte le decisioni autocratiche e gli abusi dell’esecutivo.

Si sarebbe potuto così apprendere il 23 marzo, come abbiamo fatto noi (qui: https://ilsimplicissimus2.com/2022/04/12/san-rossore-di-vergogna-161855/ ) e qualche comitato di cittadini vigili, come non hanno fatto stampa e partiti, che all’insaputa di tutti era stato firmato dallo stato maggiore del governo, Draghi e Guerini, il decreto per la realizzazione di una base militare   nelle campagne intorno a Coltano, un piccolo borgo rurale di appena quattrocento abitanti tra Pisa e Livorno, all’interno del parco naturale di San Rossore  in un’area protetta da vincoli paesaggistici e ambientali  e per giunta con i fondi del Pnrr, ovvero il prestito concesso dall’Europa per la “ricostruzione” del tessuto sociale e economico dopo la pandemia.

Non ne sapeva nulla il sindaco leghista di Pisa, i rappresentanti locali dei partiti, i parlamentari eletti nella circoscrizione, svegliati bruscamente dal letargo  garantito  loro della prosecuzione a tempo indefinito dello stato di eccezione, dalle proteste di associazioni ambientaliste e antimilitariste. Sono partite le  contestazioni organizzate dai comitati di base, le interrogazioni e perfino le timide obiezioni del partito della guerra, il Pd nazionale, emarginato dall’operazione non abbastanza opaca da assicurargli una partecipazione agli utili.

Così si è saputo qualcosa di più dell’intervento: la base, destinata ai reparti antiterrorismo dell’Arma dei Carabinieri, doveva sorgere in un’area di quasi 73mila metri quadri attorno al vecchio “radar di Coltano”, un’ex stazione radio utilizzata fino a una quindicina d’anni fa dai militari della vicina base statunitense di Camp Darby. Prevedeva  la costruzione di caserme, uffici, una pista di atterraggio per gli elicotteri, poligoni di tiro, centri di addestramento, laboratori, magazzini, una ventina di villette a schiera per un totale di circa 445mila metri cubi di cemento e pure un piccolo centro commerciale, abituale compensazione che i soggetti speculativi offrono come risarcimento alle popolazioni oggetto di abusi scandalosi.

Non deve dunque stupire che a fronte di proteste e denunce, una parte dei cittadini guardasse con interesse al progetto, alla creazione di “lavoro” subito promessa dalle autorità proprio come è d’uso quando si apre qualche cantiere a dispetto della qualità e della durata dell’occupazione prodotta, alle ricadute economiche e perfino alla possibilità che i civili potessero approfittare della disponibilità dei servizi offerti al personale della base, come è avvenuto per quelli di Aviano o Pratica di Mare che sono serviti per anni a consolidare un imprudente consenso all’occupazione militare americana in Italia.

Ma stavolta l’hanno fatta troppo grossa e forse le nostre autorità erano meno impegnate a obbedire ai comandi e alle pretese dei vertici militari nostrani e mostrano segni di ravvedimento che non avrebbero avuto nel caso di un nuovo intervento di colonizzazione bellica da parte dei padroni d’oltre oceano.

È però prematuro gioire: il pericolo non è scongiurato, infatti il Governo ha promesso che istituirà «un tavolo operativo composto da “task force immobili” del ministero della Difesa, Regione Toscana, Provincia e Comune di Pisa, Parco San Rossore, Migliarino Massaciuccoli e comando dell’arma dei Carabinieri», per definire meglio le caratteristiche del progetto  del sito che dovrà ospitare  i carabinieri del Gis, il reggimento paracadutisti Tuscania, il nucleo regionale cinofili e il nuovo reparto di tutela della biodiversità, un moderno “ centro polifunzionale di reparti specializzati” da collocare sul territorio, ma al di fuori del Parco, “a eccezione del borgo di Coltano che potrà essere inserito nel progetto attraverso rigenerazione urbana degli immobili di proprietà pubblica”.

Si salverà forse l’area protetta,  ma resta l’oltraggio, quello di dirottare risorse benevolmente concesse grazie al nostro doveroso contributo di appartenenza all’Europa per la realizzazione di opere incompatibili con i nostri bisogni, quello di stabilire definitivamente che le priorità della nazione espropriata di ogni facoltà di scelta consistono nella sua militarizzazione al servizio di una potenza esterna che ci tratta come un paese occupato da più di 70 anni, quello del  fronte dei nemici in casa che da altrettanto tempo ci vogliono convincere che vale la pena farsi soggiogare, derubare, confiscare di beni e dignità, in cambio di una sicurezza fatta di repressione, censura, limitazione dei diritti e della democrazia,  e che da “sanitaria” si è trasformata in  un ordine pubblico senza libertà pubbliche e individuali.

Unico conforto che ci resta è quello di una piccola sacca di resistenza che ci ha dimostrato che reagire – quali che siano i risultati – è possibile. Che se si moltiplicano queste forme di resistenza, potranno ridicolizzare e infine demolire le irragionevoli ragioni delle task force, altra declinazione vigliacca delle contro istituzioni create per affamarci, toglierci il respiro, vaccinarci e arruolarci.

A tutti quelli che non vogliono prendere atto del disonore di essere ridotti in servitù e vanno a cercare all’estero arrischiati paragoni che ci collocano tra i fortunati possessori di licenze e prerogative rispetto a più oppressi sudditi degli imperi di oriente, vale ricordare che in tutto il mondo circolano fermenti dai margini a conferma che non tutti si fanno comprare da promesse illusorie fatte a nome di qll’1 per cento o poco più di individui che controlla la nostra vita e ci prosciuga con le sue avide pretese parassitarie.

Nel 2013 Istanbul, nel cuore del regno ottomano di Erdogan, centinaia di migliaia di abitanti seguiti da altre centinaia di gente che arrivava da fuori ha dato vita a un protesta contro la sostituzione di Gezi Park con un monumentale centro commerciale, radendo al suolo   600 alberi secolari a ridosso di piazza Taksim il luogo simbolo dello Stato secolare in Turchia. Giorni e giorni di incursioni poliziesche, di rastrellamenti e violenze hanno innescato altre proteste in tutto il Paese, il parco sgomberato dopo un susseguirsi di truci brutalità è stato recintato, ma ogni contestazione in atto nel paese finisce per convergere là,   dove all’ombra degli alberi salvati dall’ingiuria si danno appuntamento minatori in lotta, studenti, ambientalisti.

Si può fare di salvare con i nostri beni comuni, la nostra dignità di cittadini.