Il declino di potere degli Stati uniti si misura anche in questo, nella sempre maggiore difficoltà a far eleggere i “propri ” candidati nei Paesi sottoposti per qualche verso alla loro dittatura coloniale. Sono stati fatti sforzi enormi per far vincere nelle Filippine Leni Robredo, la candidata neoliberista a stelle e strisce che avrebbe dovuto troncare il dialogo con la Cina, ma non c’ è stato nulla da fare, è stata sconfitta senza appello.  Questa signora dal nome raro che ricorda quello della celebre regista di Hitler è stata supportata dall’ex giudice della Corte Suprema Antonio Carpio, e dall’ex segretario agli esteri Albert del Rosario, un uomo d’affari-milionario ovvero dai principali protagonisti della coalizione liberale anti-cinese” i quali hanno avuto il pieno supporto dei .media filippini finanziati dal National Endowment for Democracy (NED), il cui budget viene coperto in gran parte  al Congresso degli Stati Uniti: si tratta del diffusissimo sito online  Rappler ( facente parte dell’universo Soros)  , il Center for Media Freedom and Responsibility (CMFR), il Philippine Center for Investigative Journalism (PCIJ) e, in misura minore, Mindanews. Altri 4,5 milioni di dollari sono andati a decine di organizzazioni non mediatiche, inclusa la ‘Young Leaders for Good Governance Fellowship’  che ha incamerato 300.000 dollari. Ma tutto questo non è stato sufficiente perché è stato scelto l’avversario della Robledo, Ferdinand  Marcos, figlio del presidente delle Filippine dal 1965 al 1986 e sostenitore di una politica più equilibrata e aperta nei confronti della Cina. .

Il fatto che ha determinato la sconfitta è stata proprio l’individuazione di Leni Robledo come quella di un “manchurian candidate” di Washington, ovvero nel gergo politico americano che una volta tanto non è penetrato in Europa, un politico  legato a un Paese straniero. Guarda alle volte il caso: abbiamo adottato, spesso a sproposito, tante espressioni americane, ma non quella che definisce meglio tutte l’elite politica europea e dei singoli stati i cui leader sono tutti manchurian candidate deli Usa o se non lo sono in origine lo diventano ben presto. Ma torniamo dall’altra parte dell’Eurasia: pochi giorni prima di andare alle urne – questo è solo un esempio – l’editorialista del Manila Times  Rigoberto Tiglao aveva esortato a non votare un burattino degli Stati Uniti: “Nel suo servilismo nei confronti degli Stati Uniti, Robredo annullerà i guadagni del presidente Duterte (il presidente uscente ndr) nello sviluppo delle nostre relazioni con la Cina”. E un giornalista dello stesso quotidiano ha aggiunto: “Gli Stati Uniti si sono immischiati nelle elezioni dal 1948 e stanno interferendo attraverso la Cia anche su quelle del 2022″. 

Tutto questo accade perché le Filippine sono a poche centinaia di chilometri dalla Cina che è la maggiore potenza manifatturiera del pianeta , mentre ne distano 9000 dagli Stati Uniti  che ormai producono solo brand vuoti , armi, sanzioni e falsi presidenti in stato di Alzheimer: è ovvio che gli interessi di Manila non possono che essere prevalentemente diretti verso Pechino verso la quale c’è di gran lunga il maggior interscambio commerciale. Votare un candidato ” americano” significa dare il Paese in ostaggio alla guerra di Washington contro Pechino, e dunque andare in linea di collisione con gli interessi elementari del Paese. Non è certo un caso Se Rappler il media  sorosiamo nell’arcipelago dopo la sconfitta chiede una maggiore censura per evitare che  la prossima volta si sappia di avere a che fare con un candidato pagato a piè di lista dagli Usa. Probabilmente trent’anni fa questo darebbe stato avvertito come un vantaggio in molte parti del mondo, ma adesso la prospettiva di legarsi al carrozzone Usa imprevedibile e in furibondo declino comincia a fare paura per la prospettiva di essere coartati nelle decisioni, sfruttati per gli interessi americani e poi gettati via. Gli esempi sono ormai innumerevoli e l’Europa si appresta ad essere quello più clamoroso.  I filippini di certo non vogliono fare questa fine.