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La russofobia a pagamento

In mezzo alle salve di russofobia spicciola mi  ha colpito la somiglianza incredibile tra la dinamica politica di due Paesi che potrebbero essere agli antipodi ovvero Pakistan e Germania: in entrambi il rifiuto di colpire direttamente la Russia o di non mandare armamenti pesanti in Ucraina ha suscitato una crisi parlamentare inaspettata che ha provocato la caduta del premier Imran Khan e ha rischiato di far cadere il cancelliere Scholz che poi ha ceduto sull’invio di carri armati. Come è possibile che in situazioni così differenti e in culture diverse le linee di azione dell’impero siano così standardizzate? Tutto questo mi ha ricordato una sera lontana in Bassa California, era se non sbaglio il ’93,  e in un albergo da dove si sarebbero dovute vedere le balene incontrai casualmente un personaggio abbastanza noto del dipartimento di stato americano: passando  salutò il personaggio con cui stavo parlando un banchiere di Città del Messico che cercava di convincermi che la pizza napoletana era americana perché tutti la conoscevano attraverso l’America, un pensiero così orribilmente coloniale che mi mise di fronte alla prima dimostrazione di globalismo acefalo. Nelle more della discussione che si aprì e visto che c’era in ballo la questione della Bosnia chiesi quanto fosse complicato per l’amministrazione americana organizzare il consenso attorno a queste operazioni. Ma lui rispose che in realtà era semplicissimo e che funzionava dovunque:  in caso di emergenza bastava pagare, portare borse di denaro per ammorbidire i critici e per corrompere  parlamentari oppure promettere brillanti carriere accademiche, giornalistiche, politiche al di fuori delle capacità di queste persone. Questo certo era possibile se si disponeva di una rete di informazione e persuasione la cui creazione era comunque una questione di denaro.

A quel tempo non feci fatica a crederci visto che sulla scena politica italiana era scoppiato l’affaire Gladio. Ma mentre probabilmente a quel tempo  tutto era ancora  gestito direttamente sai servizi segreti, successivamente si sono create reti ad hoc per occuparsi di un singolo problema. Normalmente si tratta di reti silenti che si attivano al momento opportuno. Per esempio dietro la propaganda antirussa e la “produzione” in serie di russofobia uno dei principali protagonisti è un think tank  chiamato Institute for Statecraft  fondato in Gran Bretagna nel 2009 e  guidato da Christopher Donnelly, un veterano militare che, tra l’altro, è stato consigliere speciale dei segretari generali della Nato per 14 anni. Qualche anno dopo, nel 2015 l’istituto ha fondato l’Integrity Initiative come fondazione sussidiaria il cui  obiettivo ufficiale era la lotta contro la propaganda russa, la disinformazione e le fake news. Tuttavia la sua prima campagna, evidentemente preliminare alle successive azioni, fu la creazione di una campagna mediatica preordinata contro Jeremy Corbin, leader del partito laburista che i sondaggi davano come probabile vincitore delle elezioni. Il fatto che avrebbe dovuto creare scaldalo ed è invece passato sotto silenzio è che nel 2018 si è saputo che per affossare Corbyn tra l’altro con assurde accuse di antisemitismo Integrity Initiative era stata finanziata da vari soggettti come per esempio Facebook, dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, dal ministero della difesa Britannico, ma principalmente dal Ministero degli Esteri: in parole povere, ciò significa che il governo britannico ha utilizzato il denaro delle tasse e il denaro di altri paesi della NATO per condurre una campagna diffamatoria contro un leader dell’opposizione, troppo critico nei confronti del sistema e dell’alleanza atlantica. Si tratta insomma di uno degli brogli elettorali preventivi di cui ho parlato in un post sulle presidenziali francesi.

Comunque il ruolo di questa fondazione è stato svelato solo perché nel novembre 2018 Anonymous  ha violato il server dell”Integrity Initiative, ha rubato documenti interni e li ha pubblicati a dicembre 2018 (vedi qui e qui ). L’autenticità dei documenti è stata confermata, ma il governo britannico non è stato troppo creativo, perché ha parlato (questo è di routine quando gli scandali diventano pubblici in Occidente) di un attacco hacker russo. I documenti hackerati hanno rivelato una rete internazionale di politici, giornalisti, accademici, ricercatori e militari, tutti impegnati in campagne di propaganda segreta contro la Russia dal British Foreign and Commonwealth Office (FCO), NATO, Facebook e istituzioni di sicurezza nazionale. I documenti pubblicati da Anonymous mostrano che  l’Integrity Initiative aveva, anzi ha il compito era formare gruppi di propagandisti anti-russi nei paesi dell’UE da poter mobilitare a seconda della necessità e che ci sono gruppi attivi in:  Francia, Grecia, Germania, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia, Serbia e Spagna, mentre altri erano in formazione e presumibilmente già operano Austria, Bulgaria, Canada, Estonia, Georgia, Lettonia, Malta, Moldova, Montenegro, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Svezia, Svizzera e Stati Uniti. Tutti hanno comunque il loro referente in agenti del MI6 nelle varia ambasciate di sua maestà. Naturalmente i nomi variano col tempo e finiscono per allargarsi: nel 2018 i nomi del gruppo o cluster italiano che comparivano nei documenti hackerati erano quelli di  Fabrizio Luciolli,  Vittorfranco Pisano, Jason Wiseman,  Beppe Severgnini,  Alvise Armellini, Jacopo Iacoboni.

E’ anche grazie all’opera di questi signori se abbiamo scartato le opzioni di pace, anzi non le abbiamo nemmeno prese in considerazione  e oggi siamo di fronte alla catastrofe.

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