Anna Lombroso per il Simplicissimus

In poco più di un mese l’etica pubblica, secondo i canoni elaborati in una federazione di stati costituitasi grazia all’immigrazione di manigoldi, criminali, donne di malaffare, che preferirono l’esilio e perfino il lavoro nei campi alla galera e che furono autorizzati dall’Europa a massacrare le popolazioni indigene per portare la civiltà e le religioni che avevano legittimato crociate e massacri, Inquisizione e roghi degli eretici e  delle streghe, ci ha dimostrato che esiste l’istituto morale e giuridico della guerra giusta per non dire “santa”.

Distinguerla da quelle inique, empie e ingiustificate è semplice, basta che a condurle e a parteciparvi siamo noi, le etnie e i governi dell’Occidente, sempre quello dei conquistadores, delle missioni per portare il Verbo a ogni costo, dell’imperialismo più feroce e cruento, delle campagne coloniali trasformatesi via via esportazioni umanitarie di democrazia e rafforzamenti istituzionale di poteri tirannici affidati a satrapi e despoti sanguinari.

Si vede che non bastava però a rafforzare l’approccio manicheo che dovrebbe aiutarci a distinguere il Male e il Bene e a scegliere la  parte in cui vogliamo militare, presto certificata da una app che potremo esibire sullo smartphone per accedere a servizi, opportunità, concorsi a premi: adesso ci viene data l’occasione per distinguere fascisti e nazisti buoni e giusti, aggressioni legali e sacrosante, stragi ragionevoli e giustificabili e macellerie ammissibili.

Con 189 voti favorevoli, nessuno contrario e un solo astenuto, il 5 aprile il Senato ha approvato in via definitiva, il disegno di legge n.1371 che “riconosce il giorno 26 gennaio di ciascun anno quale Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, al fine di conservare la memoria dell’eroismo dimostrato dal Corpo d’armata alpino nella battaglia di Nikolajewka durante la seconda guerra mondiale, nonché di promuovere i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano”.

Ormai ogni occasione è buona per dimostrare consenso incondizionato all’interventismo belligerante dell’establishment e del governo che ha rinunciato non solo a qualsiasi margine di manovra rispetto ai diktat dettati dalla Nato e dall’oligarchia europea, ma anche alla opportunità di assumere una leadership in un ipotetico tavolo della pace.

E poco importa se appena si va a testare quel che resta di un’opinione pubblica manovrabile e manipolata, si scopre a sorpresa che la maggioranza si dichiara contraria alla guerra, all’invio di armi e preoccupata per gli effetti delle sanzioni magnificate in ogni discarica mediatica: basta riesumare i miti eroici dei sussidiari e le figurine del libro Cuore, la penna nera che ha decretato il successo di immagine dell’attaché militare del presidente e nessuno oserà contestare le generosa iniziativa.

Per dir la verità ci ha provato Patria Indipendente, la rivista dell’antifascismo e della Resistenza, ma quella è edita dall’ANPI, dunque è per sua natura al servizio della propaganda putiniana  come dimostrano i suoi comunicati definiti “osceni” da qualche esegeta kantiano alla pari con i comandanti dell’Azov, che in un suo editoriale ha voluto collocare storicamente (e già questa ormai è una colpa)  l’episodio di Nikolajewka, l’attuale Livenka, che  nel 1943 si trovava in URSS, poco distante dal confine odierno tra Russia e Ucraina e   dove gli alpini combatterono  per forzare il blocco dell’Armata rossa e permettere ai resti del Corpo d’armata alpino e alle residue unità tedesche di superare l’accerchiamento e ritirarsi.

Coerentemente con la narrazione epica e con l’impronta marziale dei nostri giorni, l’intento pare sia quello di esaltare l’unica vittoria sul campo di una campagna segnata da umiliazioni, sconfitte, lutti, di una epopea straziante, quella di un corpo di spedizione istituito da Mussolini per appagare in suo presenzialismo delirante, mandato a morire a tremila chilometri da casa con armi inadeguate, pochi viveri, nessuna formazione e gli scarponi di cartone, malgrado l’opposizione degli alti comandi tedeschi  che conoscevano l’inadeguatezza logistica e tecnica di quell’Armata italiana  sul fronte russo.

Erano 230 mila uomini quei combattenti italiani, alpini compresi, che prendono parte a questa guerra, distinguendosi in azioni di repressione, inclusi saccheggi e fucilazioni, anche in maniera autonoma dall’alleato tedesco.

Informa Patria Indipendente che qualche giorno prima della battaglia di Nikolajewka, in una località vicina il Comando del Corpo d’armata alpino  ordina il massacro di una trentina di prigionieri, mettendo in guardia dalla tentazione, oggi così diffusa  di usare “l’epos del sacrificio” per  coprire crimini e misfatti compiuti da eserciti di invasione.

I primi a non voler partecipare di questa mistificazione dovrebbero essere proprio gli appartenenti al corpo degli alpini, che poi si è distinto  durante la Resistenza al nazifascismo, dovrebbero “inorridire all’idea di passare alla storia, celebrato dalla memoria pubblica, attraverso uno degli episodi più vergognosi della già spaventosa storia dei fascismi europei”, come farebbero il tenente colonnello Odasso o Nuto Revelli che proprio in quella tragica ritirata elaborarono una consapevolezza a una avversione per i nazisti e per i fascisti italiani che li avevano mandati al macello, che li persuase  a scegliere di combatterli armi in pugno.

Dopo anni di denigrazione del sovranismo, inteso come una arcaica rivendicazione di valori patri desueti e deplorevoli, il ceto politico scopre l’orgoglio nazionale da celebrare con le parate ideologiche che glorificano la violenza armata e aggressiva e imprese belliche delle quali si rimuovono opportunamente le motivazioni e gli effetti, al fine evidente di redimere il fascismo di ieri e legittimare quello di oggi.

Così si costruisce un “ricordo” in modo da offrire  una “ragione”  che autorizzi il conflitto e perfino l’aggressione di un regime totalitario efferato e bestiale, oggi soggetto a un revisionismo non casuale cominciato con la teoria delle Pacificazione, diventata un caposaldo del pensiero del Pd.

Fascisti brava gente, oligarchi che predicano il sacrificio e la rinuncia, neonazisti encomiabili, pronti al sacrificio estremo per liberare l’Ucraina,  macellai pensosi che leggono Kant come i gaulaiter dei lager che recitavano Schiller e ascoltavano Beethoven tra un’ammazzata a l’altra, stanno diventando il nuovo pantheon offerto all’adorazione dei fedeli della religione occidentale dal cuore di tenebra.