Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ieri Netflix   mi apostrofa perentorio via mail: perché non hai finito di vedere la serie xzy?

Esige una motivazione che spieghi perché non ho rispettato il contratto che ho stretto con loro e che in cambio dell’abbonamento mi fornisce gli strumenti a sostegno dei miei schieramenti confessionali, grazie alla fruizione  di operette a alto contenuto morale e pedagogico che mi permettono di distinguere tra buoni e cattivi, giusto e ingiusto, corretto e scorretto.

Avessi cercato una allegoria dell’America nessuna sarebbe altrettanto efficace per interpretare la potenza della determinazione imperialistica a infiltrare e occupare il nostro immaginario e per avere coscienza di quanto questo processo abbia avuto successo a pensare all’influenza che subiamo attraverso i loro prodotti  creativi che ci proiettano in una realtà parallela nella quale chiunque dotato di buonsenso dovrebbe augurarsi di vivere. E difatti chi non preferirebbe essere guidato nelle scelte cruciali da personalità autorevoli e competenti, delegare decisioni ardue a chi sa, sentirsi parte di una comunità maggioritaria dotata di valori condivisi nei quali riconoscersi e dai quali trarre la forza necessaria a spendersi personalmente e collettivamente per farli circolare e imporli  con varie forme di generosa persuasione.

L’arroganza del vecchio continente, le sue radici, la sua cultura, non hanno avuto ragione delle bolle imperiali che dettano legge dal 1945 e che ricordano la macchia di sangue che arrossa la sua cartina in forma imperitura per rammentare a chi dovremmo la libertà sia pure condizionata, i fasti della ricostruzione e il benessere di un boom concesso grazie a prestiti ricattatori e alla  cessione di sovranità e territorio che ha obbligato a offrire “ospitalità” a basi militari, poligoni, siti per esercitazioni, laboratori sperimentali in nome dei doveri che comporta l’adesione a una alleanza che si è autonominata garante della sicurezza dell’Occidente, gli stessi che hanno costretto paesi che in nome della loro Costituzione ripudiano la guerra a partecipare a missioni belliche di aggressione perfino nel cuore dell’Europa.

Sempre di più la smania di dominio è diventata così delirante da assumere il carattere di una religione alla quale aderire perché la sua etica confessionale è diventata pubblica, perché i suoi dogmi aiutano a discernere il Bene dal Male con gli stessi canoni con i quali i suoi decisori e i suoi generali stringono alleanze con despoti sanguinari, creano incidenti che legittimano la riduzione di democrazia in paesi satelliti, manomettono la verità con l’ostensione di magiche ampolle che testimoniano di progetti diabolici per minare la sicurezza del mondo. E allo stesso modo i suoi sacerdoti si sentono investiti della funzione di indicarci i comportamenti corretti, le inclinazioni ammesse e sopportabili, in nome di una aberrante decodificazione dei limiti e dei criteri plausibili della “tolleranza”, la loro, è ovvio, che distingue tra guerre maledette e sacre crociate, discriminazioni necessarie e anatemi ingiusti.

Inutile dire che come al solito dietro a ogni dogma si nascondono interessi, così è possibile che le sfortune del grande filantropo che a Est verrebbe indicato come oligarca, Bill Gates, come quelle di Al Capone col fisco, comincino con le pruriginose denunce dalla ex moglie che ha sollevato il velo sui suoi commerci deplorevoli con Epstein, le cui sordide influenze pare proseguano anche dopo la sua morte controversa, a conferma della labilità discrezionale e arbitraria con la quale si emettono giudizi. E sicché la strage di milioni di cavie, la creazione e l’abuso di una emergenza che ha prodotto lutti e rovina, la preparazione dichiarata e rivendicata di altre apocalissi dalle quali trarre vantaggi e profitti, potrebbe diventare secondaria rispetto alla possibile partecipazione a riti satanici e ammucchiate ripugnanti.

Perché se il minimo sindacale della giustizia terrena dovrebbe assicurare al giudizio dei tribunali  anche le melliflue star della carità  per i reati finora permessi solo a gerarchie ecclesiastiche, ma per crimini contro l’umanità non basta la Corte dell’Aja sulla cui indipendenza è lecito sollevare qualche dubbio, bensì  un aggiornamento appropriato dei codici di Norimberga.

Intanto a suggerirci cosa è lecito, cosa è legittimo, cosa è naturale, cosa è certificato dalla Scienza,  ci pensa sempre l’America. Non sono una biologa, ha risposto  una giudice della Corte Suprema in risposta alla richiesta di dare una definizione della parola “donna”, temendo le reazioni delle frange fanatiche della cancel culture che portano all’estremo la concezione ragionevole che  i “generi”  sono anche un costrutto socioculturale,  e che a ciascuno  è consentito di   scegliere il suo, per legittimare tutte le possibili variazioni dell’opzione in una molteplicità indefinita da aggiungere all’acronimo LGBT, Q, I,  con l’effetto di resettare qualsiasi riferimento a leggi naturali, ormai sostituite da quelle del mercato, e di offrire illimitate opportunità a applicazioni della Scienza che esaltano la qualità commerciale della merce uomo o donna, come succede con l’utero in affitto.

Con esultanza la Repubblica nei giorni scorsi  ha annunciato la svolta arcobaleno della Disney: entro la fine dell’anno almeno il 50 per cento dei suoi personaggi apparterrà a minoranze etniche o alla comunità Lgbtq: avranno, insomma, caratteristiche etniche e gusti sessuali espliciti. A rivendicare la scelta cruciale Karey Burke, presidentessa della Disney’s General Entertainment Content, madre entusiasta di “due splendidi bambini Queer”, rassicurandoci che la coppia gay Bucky e Pronk di Zootropolis avrà nuovi amichetti,  che vedremo nuove avventure della poliziotta lesbica Specter di Onward e  di Greg, protagonista di Out il corto dove si racconta la difficoltà di un giovane a dire ai genitori che è omosessuale, “senza dimenticare l’inventore Phastos di Eternals, la comandante Larma D’Acy in coppia con la pilota Wrobie Tyce in L’ascesa di Skywalker (protagoniste del primo bacio omosessuale Disney) e l’ambiguo Artie di Crudelia”.

È’la declinazione “carina” di ben altre decisioni come quella di eliminare la parola “donna” dalle campagne angloamericane per il pap test e la diagnosi del papilloma virus, sostituendola con “persona con la cervice tra i 25 e i 64 anni”, o quella di definire le consumatrici di assorbenti interni con “menstruator” appartenenti a “all gender” ai quali Procter & Gamble dedica un prodotto specifico per clienti che “mestruano” ma non si identificano come “femmine”. Altrettanto hanno stabilito alcuni reparti di ostetricia che hanno lanciato l’anatema contro la formula “future mamme”, così incresciosa e discriminante per quegli “uomini intersex o per i trans che possono essere gravidi”.

Tutto bene insomma, gli unici esclusi da questa grande missione di riscatto, di inclusione e uguaglianza sono gli straccioni, i poveri negri, i froci da dileggiare perché non sono stilisti, i trans costretti a vendersi, insomma la maggioranza, i sommersi che devono tornare alla più elementare delle lotte, quella di classe.