Anna Lombroso per il Simplicissimus

Quanti ne abbiamo incontrati di ometti vanesi, interamente concentrati sui loro miserabili obiettivi, baciati dalla fortuna ma anche premiati dalla loro intemerata indole al servilismo, il cui cinismo è mascherato dall’ipocrisia che li rende graditi ai potenti, credibili presso i pii, empatici con i più sfrontati bugiardi.

Nella storia abitualmente si collocavano in posizioni intermedie, in funzioni organizzative: sbrigafaccende, colonnelli addetti alle salmerie, numeri uno della sbirraglia segreta,  o numeri 2 di leader tirannici e creativi ai quali aspiravano a segare il piedistallo marmoreo al fine di sostituirsi approfittando della confusione e ergendosi sulle macerie, riprendendo subito dopo però le loro fattezze grigie meno preoccupanti e più accettabili.

Adesso che tutto è visibilmente peggiorato, che ricoprono i vertici soggetti senza arte, salvo aver fatto i guitti, né parte salvo quella di primi attori nell’eterna commedia della corruzione, dello sfruttamento, della ruberia  meccanica del borsaiolo, hanno qualche chance in più di emergere sulla generale mediocrità, se entità sovranazionali decidono di farne i loro impiegati prestigiosi e influenti per condurre in porto operazioni distruttive, disastri insanabili e strategie rovinose sui cui ruderi dare corso alle loro ricostruzioni.

Ominicchi insomma che vengono autorizzati a diventare quaquaraquà e a imporre non solo le loro scelte avventate e i loro comandi insensati, ma anche a dispensare i loro canoni morali. Per questo è avvilente che un popolo sia soggetto agli arrivismi, incrementati da un susseguirsi di frustrazioni,  e alle bizze bambinesche di un  adulto invecchiato male e stizzoso, a seguito di una catena di insuccessi prodotti dalla smania di strafare, di acquisire una leadership maligna e autocratica, a coronamento del golpe bianco  del quale avrebbe dovuto essere l’artefice.

Eppure succede.

Succede che l’aspirante mammasantissima della cosca europea che pare non intenda servirsi dei suoi talenti, dopo aver perso la battaglia del Colle  per il quale si era spudoratamente autocandidato, dopo aver percepito che forse la ferma risoluzione a farlo restare al suo posto, incrollabile come un piantone nella garitta a guardia degli interessi di Goldman Sachs, altro non era che un riconoscimento della fedeltà, una promozione simbolica premessa della probabile rimozione, in preda all’incubo del contabile del quale sono stati scoperti i conti sbagliati e le marachelle, non domo e non arreso debba trovare una via d’uscita onorevole.

E d’altra parte capita  che alla fine venga abbandonato a un destino oscuro anche chi si è prestato a svolgere le mansioni più riprovevoli e abbiette su ordinazione: anche il capoccia  uso a essere infedele non si fida più nemmeno di se stesso e tantomeno dei camerieri quando vogliono farsi cavalieri e non vogliono più servir, come Leporello, incurante del pericolo che potrebbe rappresentare chi sa troppi segreti, quando, una volta messo ai margini, non gode più di visibilità e affidabilità.

Anche Draghi un domani, bilioso e rancoroso,  pubblicherà le sue memorie con la sua verità a uso delle colonnine del Sole 24Ore e delle riviste che danno sulle Freccerosse e negli aerei delle compagnie che ha provveduto a svendere.

Allora darà la sua versione della persecuzione che ha subito quando  gli indocili alleati di governo intralciarono i piani e lo costrinsero a recarsi dall’alta carica per chiedere il doveroso sostegno, come è successo ieri quando si è recato dal preside con la lista dei cattivi.

C’è che il soggetto in esame non è dotato di grande ingegnosità, a conferma del pregiudizio che è maturato in tanti che i cosiddetti competenti, i tecnici, gli specialisti siano degli imbecilli sottodotati a vedere il risultato delle loro azioni, le profezie smentite, le previsioni sbagliare, la strategie perdenti, le teorie e i dogmi fallibili, tanto da essere squallidamente prevedibile.

Lo dimostra il suo interventismo sfacciato e spericolato grazie al quale pensava di mettersi alla guida dei Nato Boy’s europei, dimostratisi più cauti e avveduti, sia nella richiesta di sanzioni sempre più severe e suicide – per noi – che nel marketing del brand degli armamenti, propedeutico alla sua nuova autocandidatura quella di Segretario Generale dell’Alleanza.

Accidenti se ci costa caro il suo sogno: c’è da immaginarlo mentre bisbiglia promesse di eterna fedeltà al nonnetto demente in predicato per l’impeachment, sistemandogli il plaid sulle ginocchia e dandogli la tazza con la camomilla, mentre si mette in prima fila tra i nipotini guadagnandosi meriti per aver distolto 6 miliardi dalla sanità italiana e altrettanti dall’istruzione, per indirizzarli sulle spese militari e gli armamenti in crescita dagli attuali 25 miliardi l’anno a 38 miliardi l’anno pari al 2% di Pil: un investimento a lungo termine necessario secondo il Ministro Guerini che ritiene – o spera?-  che il conflitto in Ucraina duri una ventina di anni.

E figuriamoci se con questa recondita ambizione, con le velleità dell’orfanello esentato dalla leva che sogna una divisa coi pennacchi, con le dimestichezze e  i commerci con gli stati maggiori assurti a istituzioni parallele, si sarebbe accontentato dell’invertebrato e neghittoso contesto europeo, senza un esercito e nemmeno una polizia comune, e che si è rivelato deludenti anche nella guerra profilattica dichiarata contro popoli sempre più renitenti alla sforzo bellico vaccinale.

Meglio puntare in alto, su un obiettivo che combina e rappresenta tutti i caratteri e le potenzialità più sciagurate, più feroci, più belluine dell’impero di Occidente, la proterva rivendicazione di superiorità accreditata e confermata dalla violenza, l’indole imperialista che si traduce in campagne di guerra, rapina, repressione all’esterno e all’interno dei territori controllati, l’istinto colonizzatore che si esprime con la coercizione ad assumere lo stile di vita americano come il modello da imitare pena il ritorno alla barbarie, la protervia con la quale diffonde il credo secondo il quale tutto quello che fanno gli Stati Uniti e i suoi satelliti  è giusto, razionale, moralmente corretto, mentre quello che fanno gli altri e deplorevole, sbagliato, irrazionale, incivile, selvaggio.

Sbaglia però chi pensasse di liberarsi così della molesta presenza, il sollievo di non leggere i peana di Stampa, Corriere, Repubblica non compensa il rischio che corriamo lasciando la miccia in mano a uno che cerca l’incidente per farsi bello, non risarcisce dell’obbligo di razionare l’energia, della corsa agli accaparramenti dell’olio di girasole, dei costi economico e ambientalo del gas made in Usa, della condanna a essere una plebaglia che a un certo momento estrae da dentro l’indole delle sue maschere della commedia dell’arte, servilismo  e fascismo, arroganza e codardia, virilismo e pavidità, furbizia e cinismo, Arlecchino e Pantalone,  Brighella e i dottor Balanzoni che per due anni hanno dettato legge e che ancora condizionano le nostre esistenze.

E poi non è mica detto che la sua chimera vada a buon fine, che la sua reputazione sia salva dopo la bella manifestazione di dissenso inscenata a Napoli, che l’altro nonnino, quello della alto colle, tuteli la sua immagine: già all’atto della rielezione aveva voluto mostrare di non essere così manovrabile come pensava il vile affarista che riteneva di possedere un superiore istinto di democristiano navigato.

E non è detto che una potenza che deve fare i conti con l’amara realtà, che teme le esuberanze di un vecchio demente, che comincia a rendersi conto di aver sbagliato i suoi calcoli, che ha avuto l’amara rivelazione che le sue minacce non mettono paura e i suoi ricatti non intimoriscono un fronte vasto di competitor agguerriti, forti e dinamici, non ritenga più opportuno affidare il prestigioso incarico a un soggetto più cauto del dottor Stranamore de noantri, a una personalità, cioè,  che abbia saputo valorizzare una rete di rapporti diplomatici e commerciali più razionale e lungimirante piuttosto che premiare un capitan fracassa sbruffone e gradasso, un re sciaboletta meschino e velleitario che si fa forte della sua spada di latta e dello scudo di cartone, senza accorgersi di essere stato disarcionato.