Anna Lombroso per il Simplicissimus

La semantica resta una delle chiavi di interpretazione della realtà più efficaci,  perché  l’analisi dei ‘simboli’ linguistici d’uso comune e i processi che subiscono per adattarsi ai disegni del ceto dominante sarebbero sufficienti a spiegare le tendenze in atto.

Basta pensare agli equilibrismi acrobatici per  demonizzare inclinazioni, convinzioni e comportamenti trasformando valori e principi elementari in fenomeni perniciosi, come è successo per il populismo, che   altro non è che la manifestazione dello scontento nei confronti dei poteri forti (espressione denigrata ma che in realtà è insostituibile per indicare chi esercita autorità assolute e facoltà di persuasione incontrastabile)  quando effettuano scelte e compiono azioni che vanno contro l’interesse generale.

E si sa che fino a un mese fa il cancro della politica, il male del secolo era infatti costituito dal sovranismo, che, secondo l’imperativo politicamente corretto delle élite intellettuali mainstream doveva essere disprezzato e deriso perché faceva da motore e collante dei fermenti dei margini, sinonimo di passatismo, tribalismo, razzismo in controtendenza rispetto alle magnifiche sorti della globalizzazione e del cosmopolitismo che avevano cancellato confini e abbattuto recinti ideologici arcaici.

Chi senza dover ricorrere a Schmitt tentava di spiegare che il concetto di sovranità prende atto della necessità di comporre le contraddizioni del vivere individuale e in “associazione” con gli altri, ricordando che chi ne nega la funzione per sostituirla con altre riconducibili a un ordine armonioso, il progresso, la tecnologia che ci farà superare la fatica, la governance combinata di pubblico e privato si trova poi a fare i conti con l’inopinabile, con il disordine, la violenza, la sopraffazione e la bulimia accumulatrice insaziabile e perfino le epidemie che ne sono il frutto.

La sovranità per il soggetto politico, stato, governo, consiste nella capacità di organizzare l’interdipendenza di corpi, ceti, autorità garantendone l’autonomia e esaltandone la responsabilità che riguarda le decisioni cruciali, pace o guerra, alleanze e spazi di partecipazione, costruendo una Identità che sappia essere articolata, differenziata e dialettica, non tribale e “naturale”, ma relazionale tanto da poter essere coesa e solidale.

Ma chi si sottrae allo stereotipo del sovranismo come archetipo  della neo barbarie e allegoria dei mali dell’ignoranza cieca e bestiale  è guardato con l’infastidita compassione che si riserva, come ha scritto Carlo Galli, agli anziani che chiamano i figli dalla cabina col telefono a gettone. Perchè l’unico sovranismo autorizzato è quello delle élite contro la sovranità del popolo.

Meglio quindi, più sbrigativo e fruttuoso confonderlo con nazionalismo, limitatezza degli orizzonti ideali, “codinismo” ottuso e parruccone per contrastare il quale si è costituita una corporazione di addetti ai lavori nel cantiere del riformismo neoliberista che ha creato le condizioni per la presa del potere dei “tecnici”, idraulici o cucinieri in forza al totalitarismo economico e finanziario che a stati, nazioni e soprattutto democrazie sia pure in stato di sofferenza preferiscono il regime imperiale.

Da un mese però ecco che si è assistito a una mutazione nell’interpretazione  e nella critica alla sovranità, grazie al fatto che la sinistra in anni e anni non è stata capace di elaborarne una lettura che aiutasse a costruire un progetto di società capace di consolidare una idea  egemonica dello Stato che non fosse quella nazionalista.

L’Ucraina, un territorio che è diventato Paese grazie a un processo largamente artificiale, è  oggi il laboratorio sperimentale per la difesa di valori che fino a ieri erano stati demonizzati come ingombrante memoria del secolo breve da rimuovere:  madre patria, rispetto dei confini, appartenenza e attaccamento alle radici e tradizioni, promossi ora (ma il processo era  stato preparato e favorito dalla comunicazione pandemica) a patrimonio comune della civiltà occidentale, dopo che per anni erano considerati incompatibili con i principi condivisi dell’Europa e dell’alleanza che ne garantisce la “sicurezza”, pilastri ideali dell’edificio di diritti e prerogative della civiltà e dello stile di vita che da quasi ottant’anni sono stati imposti grazie a modalità imperialistiche che in quest’occasione vengono annoverate tra le procedure necessarie per la circolazione di democrazia e capitali.

Anche questo fa parte della guerra all’ideologia intesa come impalcatura di idee, ideali, valori e principi condotta dalla teocrazia neoliberista, che dopo aver demolito canoni e codici di riferimento, ora ne reintroduce alcuni funzionali  a stabilire il dominio del pensiero unico che ha espropriato delle loro convinzioni, dei loro slogan e delle loro bandiere gli sfruttati, i sommersi, i ribelli per addomesticarle e adattarle al programma di conquista e assoggettamento: diritti, libertà, autodeterminazione, internazionalismo, fratellanza, antifascismo.

E difatti al fine di legittimare il nazionalismo ucraino, oltre che il doveroso sostegno armato a Davide e all’impari lotta contro Golia, ci si è adoperati per dimostrare che si tratta di un virtuoso sentimento identitario di appartenenza, spontaneo e non infiltrato dagli apparati neo nazisti, che, si ricorda, nelle loro forme organizzate hanno ricevuto un consenso limitato alla urne, come se risultati elettorali e influenza ideologica fossero soggetti alle stesse regole, potessero essere indicatori del pensiero comune e soggetti a una conta numerica.

Qualcuno ha commesso la colpa di effettuare un confronto storico proibito – a essere tollerato è solo quello tra l’esercito ucraino con tanto di Battaglione Azov e i partigiani – paragonando la componente ideologica che connotò la presa del potere di Mussolini e del suo movimento a forte componente militare, e di quel blocco sociale che lo sosteneva, antiproletario e anticomunista, quello delle rendite, degli industriali, dei latifondisti e agrari,  banchieri, da monarchia, liberali, nazionalisti,  cattolici, con il peso che hanno i fascisti nel governo e nella nazione ucraina.

Un peso che non è elettorale ma – con tutta evidenza – fortemente ideologico e culturale, se al presidente martire è stato permesso di legalizzare e autorizzare il Battaglione Azov, mescolando le sue falangi coi mercenari e l’esercito “regolare”, ha lasciato inalterato lo status e il prestigio  dell’Eiu,  l’Esercito Insurrezionale Ucraino, colpevole di milioni di morti nella seconda guerra mondiale sotto la guida del criminale genocida nazista Stepan Bandera, abbia calato un velo di disonorevole silenzio assolutorio sul massacro di Odessa  i cui responsabili fanno parte della sua cerchia di consiglieri militari.

Se ancora ci verrà concesso di celebrare il 25 aprile in piazza, sarebbe raccomandabile che tutti quelli che sono stati alla finestra per timore del contagio di chi non avevano insignito del patentino di antifascismo, che coincide con il Green Pass, facciano attenzione a chi manifesta accanto a loro, con la benedizione del governo che ci porta in guerra, che impone sacrifici economici e umani, che è irriguardoso dei bisogni e della memoria, che intende patria e nazione come territori per libere scorrerie e  repressione.