Anna Lombroso per il Simplicissimus

Vi ricordate quando eravamo minacciati da un virus maledetto del quale, si disse, non si sapeva l’origine e per il quale non esisteva terapia, quando per contrastarlo la Scienza applicata in laboriose e intrepide case farmaceutiche offrì a titolo gratuito la panacea sotto forma di “vaccino”? e di quando un insidioso nemico interno cominciò a contestarne l’efficacia nutrendo infami sospetti sui suoi ipotetici effetti dannosi? o di quando  per opporre una strenua resistenza a questi sociopatici, irresponsabili e violenti destabilizzatori, la brava gente poté  dotarsi di un marchio di riconoscimento che certificasse l’appartenenza  al consorzio civile?

Si è affermata allora la tendenza, che oggi ha trovato nuovo vigore, di esibire in premessa a ogni esternazione del proprio pensiero  e in ogni situazione pubblica e privata, le appropriate referenze a conferma dell’arruolamento nell’esercito che reagiva all’aggressione del  nemico e dei suoi supporter, annidati in tutti i contesti perfino all’interno delle famiglie.

Come al solito la storia si ripete, stavolta al contrario rispetto al famoso detto, così da farsa grottesca oggi si presenta in forma di tragedia, grazie all’obbligo morale di partecipare attivamente a una guerra, militando, in armi e con dispendio di beni e risorse, al fianco di uno dei due rivali che si propone come custode dei principi e dei valori che l’alleanza che lo sostiene disonora, offende e oltraggia nei suoi territori e in quelli che da tre quarti di secolo almeno, invade, depreda, oltraggia.

Anche in questo caso è severamente vietato disturbare con domande, dubbi o richieste di informazione il manovratore, che esercita un potere assoluto politico, economico, sociale e anche morale, trasformando le sue decisioni irrevocabili in comandi e comandamenti, scegliendo cosa è doveroso che la massa conosca o invece non sappia, come è successo con la secretazione di qualità e quantità di armi delle quali è eticamente necessario rifornire “il popolo ucraino diventato esercito”, compresi mercenari e contractor, battaglione Azov, supporto logistico della Nato.

E se prima i titubanti venivano immediatamente assimilati a sfiduciati e primitivi contestatori delle magnifiche sorti della Scienza e del Progresso e dei suoi sacerdoti, adesso a nessuno è consentito intaccare  con ambigui cedimenti il canone occidentale, neppure richiedere approcci informati e razionali compatibili con la complessità della situazione, meno che mai collocarla nel contesto storico, azione autorizzata solo nel caso di spericolati paragoni con la nostra resistenza, pena essere tacciati di vergognosa promiscuità con il demone russo.

Così chiunque voglia esprimere un giudizio, un parere, un dubbio a cominciare da quelli più disonorevoli che concernono i costi e i danni che le scelte di una maggioranza di governo che coincide con quasi tutto l’arco ex costituzionale, visto che si parla di decisioni che contrastano con la Carta, possono comportare sui cittadini, deve presentare l’attestato che certifica il suo odio per Putin corredato da certificazione nella quale conferma di non aver mai finito la lettura di Guerra e Pace, di aver  dormito durante la serata Končalovskij al cineforum e che la battuta più potente del cinema comico nazionale si debba a Villaggio a proposito della Corazzata Potemkin, sottoposta insieme a Odessa a virtuosi rimaneggiamenti grazie all’esercizi ucronico della stampa illuminata, che colloca la Rivoluzione e anche l’Ucraina dove tira il vento.

In questi ultimi giorni invece è decaduto l’obbligo di militare verbalmente per la pace, retrocesso a disfattismo e diserzione, grazie all’annessione tra i valori fondamentali del pensiero occidentale in elmetto, della belligeranza “giusta”, non solo ammessa, ma addirittura pretesa da quando, come i vaccini, è l’unica soluzione praticabile perché non c’è cura contro l’espansionismo e l’imperialismo che soffiano come un  furioso e belluino vento dell’Est, se non l’impiego democratico di bombe, missili, carri armati impegnati nella crociata della santa alleanza.

Ormai se non dici che sei contro vuol dire che sei “pro”, se non apri una sottoscrizione per l’onlus di Soros vuol dire che stai con Erode, se non metti il nastrino rosso ti piace l’Aids, perché così vuole la religione del politicamente corretto che, anche quella, dobbiamo agli Usa e che non a caso a partire dal crollo del Muro ha condotto una controrivoluzione culturale globale e all’affermazione violentemente persuasiva di una etica pubblica e individuale fondata sulla supremazia di uno “stile di vita” speciale, del quale era doveroso stabilire l’egemonia e che surrettiziamente faceva credere che potessero sussistere e convivere valori ambivalenti, conservatori o radicalmente “innovativi”, quelli legati alle inclinazioni, ai comportamenti personali, elargiti come concessioni in sostituzione di diritti fondamentali alienati. Il risultato consiste in una decostruzione della realtà e della verità: chi cerca di sollevare il velo di Maya steso sull’esercizio arbitrario del potere e sull’intolleranza diventa un pericolo sociale non solo per i potentati e le loro lobby, ma per la collettività che sta rinchiusa nelle sue gabbiette a difesa della sicurezza ormai garantita dalle sbarre, dai recinti e dai confini che ci difendono anche dalla fatica di pensare e poi di decidere.

Serve a questo l’inviolabilità dei tabù che nessuno osa infrangere. Uno di questi è la originale interpretazione della equiparazione stabilita dal totem inutile dell’Europarlamento tra i “totalitarismi”, comunismo e nazismo, che oggi rinnova la condanna per il primo nuovamente incarnato da Putin incarnazione dello stalinismo, mentre esercita una evidente tolleranza comprensiva per il secondo impersonato dalla nomenclatura ucraina.

Con lo stesso metro si misura la qualità dell’imperialismo, nefasto, tirannico,  intollerante, repressivo, ferino quello russo, mutazione fisiologica grazie alla conversione in leggi naturali delle regole del mercato della democrazia americana, intesa come determinazione benefica a far circolare principi di giustizia e libertà oltre che benessere e progresso, imponendoli munificamente per l’emancipazione di popoli e genti.

Che poi  solo alcuni si meritano il titolo di popoli, che si conquista solo grazie all’inclusione e alla fidelizzazione all’impero, come sta avvenendo per quello dell’Ucraina considerata una espressione geografica e oggi promossa a sacro suolo e santa patria, quindi finalmente ammissibile alle due emanazioni della cupola occidentale. E infatti è un tabù che è obbligatorio rispettare la promozione del leader ucraino a eroe e quella della sua nazione a popolo martire che si fa esercito pronto al sacrificio in nostro nome.

Non manca mai al nostro establishment il gusto del paradosso, pensando a noi come plebaglia ignorante, indolente e infantile che bisogna guidare e punire, per esaltare e mettere a frutto un’indole servile dalla quale ci saremmo affrancati grazie a un riscatto che oggi viene commemorato pudicamente una volta l’anno o estratto dalla naftalina come proficuo parallelismo con altra resistenza a norma di Nato.

E guai interrogarsi sulla qualità politica, sociale e eroica degli ucraini: la condizione di vittima è di per sé redentiva e non è lecito chiedersi se l’infiltrazione neonazista sia sopportata o invece favorita, se Piazza Maidan e i suoi morti sia una vergogna rimossa o una impresa bellica cui si guarda come al simbolo dei una riappropriazione identitaria, se il trattamento riservato alla “minoranza” del Donbass sia interpretato come una normale operazione di ordine pubblico doverosa per mantenere la stabilità e l’unità del paese.

Personalmente quando sento Draghi proclamare che anche io come italiana voglio l’Ucraina in Europa, vengo colta dlala tentazione di approvare: loro in Europa e in cambio noi fuori.