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Medicina, cura te stessa

Anna Lombroso per il Simplicissimus

A caldo propongo un caso di studio sulla qualità della medicina e sulla professionalità dei suoi sacerdoti da due anni promossi a simbolo dell’abnegazione disinteressata e dello spirito di servizio.

Il teatro della vicenda è la Capitale, gli interpreti sono una signora in piena attività lavorativa che soffre da qualche tempo  di alcuni problemi fisici, trascurati per via degli ostacoli che impediscono a un cittadino di accedere all’assistenza pubblica, e una dottoressa ospedaliera di medicina generale, che, dopo estenuanti trattative in merito a data, località, disponibilità di un parcheggio,  si rende infine disponibile ad effettuare una visita a domicilio.

La “paziente” dispone di una voluminosa documentazione frutto di accertamenti e analisi raccomandate dal medico di base che traduce la sua missione in epistolari virtuali tramite WhatsApp, con le prescrizioni del caso. La medico o medica, beh ci metto la shwa, medicƏ,  rivela subito di possedere una combinazione di qualità professionali e di genere, arrivando in ritardo, lamentandosi del sua lavoro estenuante: beata lei signo’ che se ne può stare a casa a riposa’ (dimenticavo di aggiungere nell’incipit che la coprotagonista con i suoi stilemi vernacolari, esce da un quadretto romano di quelli delle cronache in città del Messaggero), e dimostrando una riluttanza invincibile a effettuare quei controlli che richiedono un contatto fisico con il malato.

In piena osservanza del doveroso distanziamento profilattico si limita a scorrere i risultati delle analisi, pensosamente approva la diagnosi effettuata dalle amiche e parenti della signora che hanno cercato lumi in merito a alcuni disturbi su Mi Personal Trainer. it, si rifiuta categoricamente di esprimersi su patologie che esulano dalla sua specializzazione, cataloga gran parte delle affezioni di cui soffre il soggetto come inevitabili effetti collaterali, nell’ordine, dell’età e di abitudini e comportamenti insalubri.

E finalmente rientra nel ruolo con la potenza del sapere scientifico, della competenza e delle fertili esperienze maturate nello svolgimento della sua professione, non un lavoro, una vocazione! E, “signo’, esclama, ma lei se deve fa li vaccini, sennò per come è messa, je vie’ ‘na polmonite e va a fini’ in intensiva”.

Come è finita? Con 100 euro, consegnati nelle mani equipaggiate di french manicure creativa  e senza ricevuta.

Si lo so, adesso mi direte che è una mela marcia. Peccato che da due anni sono catalogate come mele marce da autorità, ordini professionali, stampa, scienziati sul red carpet, i medici che curano, che visitano, prescrivono protocolli terapeutici, cercano e studiano in risposta ai dubbi che costituiscono il pilastro delle discipline scientifiche.

Si lo so adesso mi direte che si tratta di una eccezione criticabile. È invece  esemplare del concorso di innumerevoli fattori non casuali e prevedibili: la retrocessione della medicina di base a pratica impiegatizia burocratica e amministrativa, l’eclissi della diagnostica sostituita dal ricorso a accertamenti che il personale sanitario non sa e non ha voglia di interpretare per non assumersi responsabilità, per incompetenza, perché spesso la sua esperienza clinica si riduce al veloce passaggio in corsia reggendo il camice del primario, la degradazione della sanità pubblica con i tagli, l’umiliazione del personale, in modo da costruire il mito dell’eccellenza privata, l’infiltrazione delle cupole farmaceutiche che promuovono patologie feconde di business, impongono i trend e le mode  medicinali.

Ci sarebbe da dire “medicina cura te stessa” dai virus tossici che ti hanno contagiata.

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