Anna Lombroso per il Simplicissimus
È datata il 9 marzo la circolare diffusa dallo stato maggiore dell’esercito nel contesto della crisi ucraina. Oggetto: Evoluzione dello scacchiere internazionale, testo infarcito di stilemi dello slang imperiale che per tradizione si rivela il più adatto alla fiera comunicazione strategica.
Scottati dalla mancanza di un piano di emergenza pandemica, ridicolizzati per quello di gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, con tanto di pillole di iodio e vigile attesa, i vertici della difesa si sono dunque prodotti in un documento secco e perentorio a firma del Generale di Brigata Bruno Pisciotta (alla guida fino a due anni fa della Brigata Aosta impegnata con successo in Libano, Kosovo, Somalia e Gibuti).
Declinata in quattro punti la lettera, che è stata poi definita “a esclusivo uso interno di carattere routinario“, predispone la parziale interruzione dei “congedi anticipati”, quelli in forma di pensionamento; trasferimento prioritario del personale in “ferma prefissata”, i volontari cioè da uno a 4 anni, presso i reparti operativi; prevede “tutte le unità in prontezza”, pronte all’impiego, alimentate al 100% in modalità “ready to move”, a muoversi immantinente, e infine l’“orientamento di tutte le unità addestrati, anche quelle minori, al warfighting”, al combattimento da scenario di guerra. Si richiede inoltre l’immediata manutenzione e messa in efficienza di tutti “i mezzi cingolati, gli elicotteri e i sistemi d’arma dell’artiglieria” e l’immediata disponibilità “operativa” del 52º reggimento di artiglieria di Torino e dell’8° reggimento di artiglieria Pasubio.
Stupisce sempre la candida sorpresa dei nostri concittadini che hanno consegnato la loro salute all’organizzazione soldatesca quanto arruffona di un generale, che hanno costretto alla leva vaccinale i loro figli minori, che si sono fatti galvanizzare dalla propaganda e arruolare nell’esercito in trincea contro il virus, accettando tribunali militari, leggi marziali, coprifuoco, cella di punizione e bullismo e nonnismo nei confronti dei disertori e che adesso vengono repentinamente assoldati per una guerra “vera”, con tutti i rituali di complemento, dono dell’oro alla patria, carte annonarie aggiuntive del Green Pass, razionamenti, accaparramenti subito prima della borsa nera, veline dal fronte.
Eppure non dovrebbero meravigliarsi: nel solco della tradizione e in perfetta continuità prosegue la militarizzazione che non si limita al territorio, al sistema di controllo e sorveglianza dei comportamenti antipatriottici, all’identificazione e criminalizzazione del nemico anche in veste di insalata o musicista, filosofo o soprano, cocktail o gattino da compagnia, e che da due anni investe le facoltà cognitive e l’immaginario, grazie al dominio di una comunicazione caratterizzata da toni epici e eroici, dal continuo richiamo al dovere, dall’elogio delle virtù dell’obbedienza, dalla celebrazione delle divise, da quelle di Figliuolo, la sobria mimetica o l’alta uniforme, ornate comunque da un poderoso medagliere a quelle dei martiri del pronto soccorso e dei prodi controllori del lasciapassare.
In lungimirante previsione della possibilità non remota che il conflitto a carattere profilattico si estendesse per contrastare le altrettanto venefiche mire espansionistiche di un agente patogeno feroce e intenzionato a abbattere il nostro edificio di valori e principi e a insidiare il nostro stile di vita, giornali, televisioni, istituzioni e autorità avevano già impresso un’accelerazione semantica e linguistica per adattare la comunicazione alle esigenze della propaganda bellica e interventista.
E in effetti da anni il nostro immaginario è posseduto dall’idea del conflitto, trasformando la faziosità, la polemica sopraffattrice in qualità professionali e talenti indispensabili a bucare lo schermo, definendo “guerra” qualsiasi operazione -peraltro infruttuosa – di contrasto istituzionale a fenomeni e comportamenti illeciti, e quella all’evasione, e quella ai parcheggi selvaggi, e quella all’abusivismo, e “battaglia” qualsiasi fermento, ecologista, emancipazionista, di genere, autorizzato e normalizzato allo scopo di renderlo accettabile e funzionale al discorso pubblico che teme l’unica lotta che minaccia il potere, quella di classe.
C’è da sospettare che anni di uso improprio delle bombe, si tratti di notizie o di soffici dolci alla crema, sia servito a sdrammatizzare gli effetti della minaccia atomica, che pare non preoccupare i partner europei, pronti a immolarci con iodio e vigile attesa in nome dei diritti che negano ai loro popoli.
D’altra parte da anni ogni problema è stato retrocesso a questione di ordine pubblico, da affrontare con la repressione, che oggi può contare sulle magnifiche opportunità della tecnologia, come nel caso del taser, che sedono l’Onu è assimilabile a uno strumento di tortura e che avrebbe causato oltre cento decessi nelle carceri Usa, oggetto di una feconda sperimentazione in sei città italiane.
Va in quella direzione quello che i Pangloss col culoalcaldo intendono come un ravvedimento l’ultimo provvedimento che ipotizza un calendario di dismissione del super green pass, ma la continuità con ulteriori estensioni del lasciapassare di base, mentre invece il Mastro Titta è stato esplicito nel dichiarare che “uno degli scopi del DL di oggi è proprio di non smantellare tutta la struttura esistente, anche perché siamo consapevoli del fatto che un’altra pandemia potrebbe rivelarsi importante anche tra un qualche tempo e quindi vogliamo costruire una struttura permanente“. Eccola pronta la struttura permanente a partire dal 31 marzo 2022 e fino al 31 dicembre, intanto, per il completamento della campagna vaccinale, ma dotata di adeguate capacità di risposta a possibili aggravamenti del contesto epidemiologico nazionale in ragione della epidemia da COVID-19, il cui ordinamento è definito dal Capo di stato maggiore della difesa.
Si tratta di alcuni dei tanti effetti della militarizzazione in corso da anni e che ha fatto del nostro paese una dependance della Nato adibita a test e sperimentazioni belliche, a poligono di tiro e trampolino di lancio a hangar e deposito di materiali e attrezzature, e un laboratorio dell’asse Usa-Europa per mettere alla prova la concretizzazione definitiva del totalitarismo liberale nel cui ambito l’Europa ritiene di svolgere una missione civilizzatrice oggi armata fino ai denti per esportare i valori, oltraggiati all’interno.
La fortificazione dell’Unione i cui confini sono disegnati, recintati e sorvegliati dall’apparato della Nato a nostre spese si traduce anche nella mobilitazione bellica dei cervelli che suggerisce performance situazioniste, da Casarini che si propone per costituirsi come Fly Zone a Kiev opponendo ai missili russi il corpo suo insieme a quello di Letta, a Serracchiani e Scilipoti già sul piede di partenza a fertile supporto dell’invio di armi destinate ai resistenti compresa Nonna Fucile, icona irrinunciabile della lotta di popolo ucraina, dagli opinionisti che piantano el bandierine sulla cartina a segnare i teatri propizi alla comunicazione del dolore e che dirigono la loro rivoltella virtuale verso i disfattisti renitenti perfino a introdurre in casa le regole dell’economia di guerra abbassando il termostato, agli agiografi del bullo immortalato in veste di influencer sulla copertina di Vanity Fair, che lo descrivono con gli stilemi del repertorio eroico pre risorgimentale, Ferruccio Ferrucci o Pietro Micca, quando non ripiegano sull’immancabile Davide alle prese con un Golia belluino, assetato di sangue e insaziabile di delirante suprematismo.
Tutto questo apparato dichiara ogni giorno la sua volontà di consolidare a ogni costo una benefica emergenza in modo da vaccinare le popolazioni contro il rischio che trovino in sé la forza di reagire a decisioni e azioni che possano rivolgersi contro il suo stato maggiore, che si ribellino all’obbligo di rinunciare allo stato sociale frutto di anni di lotte, conquiste e imposte per contribuire alla manutenzione di uno stato di diritto in regime di esclusiva di chi rivendica quello di sfruttare, depredare, soggiogare grazie a una pretesa superiorità morale professata con le armi e la tracotanza.