Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nello spazio di qualche ora la santa inquisizione  impegnata a identificare, stanare e  bandire dal consorzio civile gli eretici e gli iconoclasti della scienza, si sono utilmente riqualificati come le bottiglie della minerale, per rimuovere, censurare e sottoporre a pubblico linciaggio i miscredenti della concezione del mondo secondo i criteri, i valori e gli ideali occidentali, che potrebbero essere rappresentati dallo slogan “meglio morti che russi”, imposto al suo popolo dall’irriducibile bullo di Kiev, adottato di columnist di Repubblica, dai pensatori di MicroMega, dei leader politici con la pistola in pugno.

Il Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS, Alessandro Orsini è stato epurato grazie a una ferma nota del vertice del libero Ateneo nel quale lo si invitava a  “attenersi scrupolosamente al rigore scientifico e all’evidenza storica, senza lasciare spazio  a pareri di carattere personale che possano inficiare valore, patrimonio di conoscenza e reputazione dell’intera Istituzione”.

Uno dei nostri maggiori esperti di politica internazionale, Dinucci, è costretto a dimettersi dal quotidiano il Manifesto cui collaborava da anni, che, pentito di averlo pubblicato, cancella il suo articolo dall’edizione online.

Lo storico Angelo d’Orsi che era già stato “allontanato” dalla Stampa all’arrivo di Molinari decide di rompere ogni rapporto con il giornale anche in veste di lettore, disgustato dalla “disonestà giornalistica” raggiunta con l’attribuzione ai russi della strage di Donetsk. Risposta di Giannini, che ha rimosso dall’archivio del giornale l’inchiesta sulle milizie naziste in forza al governo e all’esercito ucraino? “In prima pagina raccontiamo gli orrori della guerra, chi disinforma è la Russia!”  e addita al pubblico ludibrio i “miserabili del web” che lo hanno smascherato.

A vario titolo gli infingardi disfattisti vengono assimilati ai rincoglioniti, ai visionari da bar sport, ai deliranti da sottoporre a Tso sul banco degli imputati del tribunale pandemico, Agamben, Cardini, Montanari, Canfora, Barbero, Zhok, dileggiati e sbeffeggiati dal nonnismo da caserma di giornalisti e colleghi frustrati e invidiosi.

Proprio come è accaduto per due anni gli unici autorizzati a pronunciarsi sulla guerra sono i “competenti”, intendendo così quelli che abbracciano la religione di governo, con i dogmi che combinato la fede nella scienza e nei principi e canoni della superiorità sociale, culturale e morale dell’Occidente officiati dalla Nato e regolati dalle leggi della finanza e del mercato.

Men che mai è legittimata a prendere posizione la “gente”, promossa a popolo e nazione all’atto di sottoscrivere un patto etico con il governo, “investendo” responsabilmente in sicurezza, sottoponendosi volontariamente a razionamenti equi e sostenibili, aderendo con entusiasmo al doveroso dirottamento di risorse e stanziamenti destinati allo stato sociale, su un improrogabile riarmo nazionale e oggetto di compassionevole export.

Dagli impenitenti che si arrogano il diritto di discettare sulla decisione di entrare in guerra non solo virtualmente, si esige prima di tutto di esibire le proprie referenze che fino a un mese fa dovevano dimostrare l’avvenuta vaccinazione e che oggi  consistono nella dichiarazione di principio di militare intellettualmente e moralmente contro il tiranno del Cremlino, perché via via che passano i giorni non è più tollerata la formula né con… né con … ormai retrocessa a disonorevole manifestazione di codarda diserzione, come è successo per certi atteggiamenti fino a poco tempo fa oggetto di ammirazione, equidistanza, moderatismo, superati per ragione di necessità dall’obbligo di aderire e partecipare anche come semplice porta acqua e delatore contro il nemico, novax, no greepass, no guerra.

Ci sono canoni interpretativi precisi e irrinunciabili cui pare sia obbligatorio obbedire per avere uno spazio pubblico di espressione, così come l’approccio deve essere scientifico, in modo da applicare i dogmi delle discipline che in queta nostra contemporaneità solo le uniche a avere prestigio e autorevolezza.

La rivista che per anni ha preteso di rappresentare il pensiero libero, laico e progressista, MicroMega, esibisce trionfalmente una diagnosi antropologica della mistica e dell’anima russa incarnata dal nuovo Gengis Khan:  “la cultura politica della Russia  preclude ogni alternativa alla volontà del leader…Tutto dipende dalla sua personalità, molto meno dalle istituzioni”,  perché pare proprio che si tratti di  un Paese “la cui esistenza e il cui significato dipendono incomparabilmente più dal sentimento di dignità che dall’economia o dallo sviluppo” e dalla paura e dal rispetto che incute e ispira agli altri, sicché i russi “possono essere poveri, vivere vite più brevi, subire un numero qualsiasi di vittime in prima linea”, ma gli altri “devono temerli”.

Inutile chiedersi dove potrebbe portare l’applicazione di questa chiave interpretativa alla potenza occidentale che dalla fine della seconda guerra mondiale si conquista il “rispetto” il ricatto, la paura, l’intimidazione  e l’imposizione con le armi della sua concezione di vita, se il direttore della pensosa pubblicazione, autore dell’ardito paragone tra green pass e patente, ha affermato altrettanto spericolatamente che  l’America è una potenza imperialista, sì, ma ciononostante  democratica, come le sue guerre di conquista e sfruttamento in Irak, Afghanistan, Siria, Vietnam, Corea, e le sue campagne di rafforzamento istituzionale in Grecia o Cile.

Spopola l’approccio narrativo epico e eroico  che sostituisce l’esercizio storiografico:  quella che qualsiasi persona di buonsenso non esiterebbe a definire una carneficina senza senso, voluta da Zelinskji, sarebbe invece frutto di una scelta  unanime del suo popolo che si sta immolando convinto che sia “meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”, cito da Repubblica, come “i repubblicani spagnoli contro los quatros generales”, come  Zapata e soprattutto come i nostri Partigiani, e che è dunque obbligatorio equipaggiare replicando la generosità dimostrata dagli Alleati di allora con i lanci di armi.

Inutile far parlare la ragione e pure la storia, perché dietro a questa tesi irrispettosa si nasconde la stessa motivazione indecente che fa liberare Aushwitz agli americani in vista del premio Oscar, l’intento di affermare con violenta persuasione bugiarda che dobbiamo eterna gratitudine agli Usa e alla loro esosa somministrazione di qualche fucile condizionata all’obbedienza alle loro indicazioni strategiche, che senza di loro non ci saremmo affrancati e riscattati, in modo da ridurre la Resistenza a una miserabile controversia interna come vorrebbero i Pansa, i Bruno Guerra, le penne al servizio della pacificazione in ossequio alla equiparazione doverosa tra totalitarismi nefasti, quella che esonera il regime vigente.

A guardarsi intorno, ammettiamolo, al cospetto di tanta militanza, di un così tenace spirito missionario che esige l’arruolamento di sempre nuovi soldati  per le crociate a tutela e diffusione della parola dell’Occidente, viene proprio da rimpiangere gli odiosi indifferenti di prima.