Anna Lombroso per il Simplicissimus

Fino a qualche giorno fa i paragoni storici erano proibiti, allo scopo di evitare che ricevesse un qualche consenso lo sciagurato confronto, popolare presso sociopatici, rincoglioniti e terrapiattisti, tra il processo di discriminazione che aveva portato alle leggi razziali, alle persecuzioni e alle deportazioni e l’imposizione di misure straordinarie volte a criminalizzare e espellere dalla società civile una minoranza dissenziente.

Ora la campagna interventista riconferma  l’inutilità della Storia (ne ho scritto ieri qui https://ilsimplicissimus2.com/2022/03/11/la-storia-messa-al-bando-160576/ ) a meno che, ma non è certo una novità, non venga utilmente manipolata e impiegata in funzione di propaganda bellica, grazie a un attento dosaggio di testi, informazioni, testimonianze,  in grado di selezionare, resettare, rimuovere moleste responsabilità e crimini riconducibili a una parte e perciò da archiviare frettolosamente come superflui e incompatibili con una realistica soluzione del problema.

In questo caso, come in quello del Covid, il problema è un virus, un bubbone da eliminare chirurgicamente, un Male da scorporare da un continente i cui confini ormai “devono” coincidere con quelli dell’Unione Europea e disegnati dalla Nato, incarnazione degli alleati doc che liberarono noi e i lager come dimostrato dagli sceneggiatori premio Oscar.

Qualora non l’aveste capito questa tumefazione violentemente tossica si chiama Russia e i nostri pensatori  rimuginano sul fatto che, cito da Marco D’Eramo,  “quand’anche Putin fosse caduto, l’avventura militare ucraina stoppata, resterà comunque un problema enorme: il problema Russia. Qualcosa che l’Occidente non ha mai affrontato dopo il crollo dell’Unione Sovietica”.

Ed esigono che si maturi una condanna condivisa da parte di chi, prendendo atto dell’insuccesso del socialismo reale, ha abbracciato il riformismo neoliberista realizzato dal sogno europeo, invitando certi cattivi maestri o neo professorini in fregola di visibilità a mettere al bando ogni eco nostalgica, per isolare, cito tal Federica d’Alessio nell’house organ del Ministero della guerra, MicroMega, quelli che mentre “chi pensa  al popolo ucraino ha in mente la resistenza antifascista,  hanno invece in mente i carrarmati a Budapest nel ’56, e loro stavano con i carrarmati”.

Vien proprio voglia di riprendersi un po’ di soddisfazione con un altro paragone proibito, mettendo a confronto le preoccupazioni dei pensatoi mainstream con tanto di sacchi alle finestre e di elmetti,  con la propaganda della guerra ideologica che preparò la  “campagna di Russia” tenacemente voluta da Mussolini a dispetto delle riserve avanzate dall’alleato, e che doveva  concretizzare  la missione di fondare una nuova Europa “debolscevizzata” con  la mobilitazione generale contro il pericolo rosso.

Anche in questo caso, in particolare oggi che le guerre sono diventate posteroiche secondo la definizione di Mailer, con i piloti di droni che davanti al pc schiacciano un tasto per sganciare bombe sugli inevitabili “danni collaterali”, gli scarponi di cartone li indossiamo e li indosseremo noi italiani chiamati alla leva per la difesa di diritti che abbiamo permesso ci venissero tolti, mentre decisori e intellettuali pronti a giurare fedeltà al partito fascista europeo e a firmare con sangue il manifesto della difesa della razza occidentale,  si interrogano su che posto, in mancanza di una soluzione finale, si potrebbe ragionevolmente ritagliare per la Russia in un ordine mondiale stabile secondo il canone geopolitico garantito dalla Nato a difesa della superiore civiltà.

Ieri ho visto in giro ben due dotte citazioni del  Brzezinski pensiero riecheggiato nelle fantasiose esercitazioni di Luttwak che avevano consigliato di sottoporre l’ex impero sovietico al trattamento chirurgico, come i bombardamenti in Irak, dei filetti di manzo trasformati non a caso in “tartare”, le cui identità tritate e ricomposte secondo l’interesse dei vicini le rendessero più disponibili a cessioni di sovranità in cambio dei benefici economici e democratici prodotti dal gradimento per lo stile di vita “europeo”.

Peccato non essere intervenuti in tempo, dunque. E per fortuna che sia pure in ritardo e senza i rimpianti cancellati dalla comune convinzione che la Storia è finita per lasciate il posto a un tempestivo realismo,  il totalitarismo che ha fatto piazza pulita di quelli condannati dall’Europarlamento mette riparo sia pure con qualche limite, a dispetto degli auspici dei belligeranti che lietamente sono tornati in gita a Versailles in una  scampagnata fortemente evocativa, delle pastorali di Letta vergognose alla pari con i picnic di Salvini, suggerito dalla stessa cerchia imperiale preoccupata dall’esuberanza degli idioti ormai diventati inutili che non vogliono convincersi che l’ordine di scuderia è mollare il molesto bullo di Kiev.

Ormai sono le intendenze, gli addetti alle salmerie che non si accorgono che hanno fatto finire i viveri e compromesso i rifornimenti, e con loro i frustrati, quelli che una volta avrebbero definito i riformati ansiosi di indossare la tuta mimetica, a volerci far scendere in trincea per difendere dalla prepotenza bruta dello zar – ormai circola un’antonomasia: cattivo come Putin – i sacri valori di giustizia e libertà oggetto del vademecum che guida al rispetto del primo comandamento della teocrazia capitalistica, trarre sempre e a qualsiasi costo il massimo profitto.

L’intento è prolungare la guerra per motivi immaginabili, distrarre con un salutare choc dal susseguirsi di emergenze, ostacolare irrealisticamente e dissennatamente l’irruzione di nuovi competitor incontrastabili, combattere le tentazioni “populiste” e “sovraniste” autorizzate solo in regime di esclusiva a segmenti di pubblico e domini sovrani autoreferenziali e autonominatisi.

A farne le spese sono i popoli, condannati da oligarchie – ma attenti a usare questo termine legittimato solo per definire nomenclature e lobby russe, mentre omologhi occidentali sono promossi a arditi creatori di benessere e filantropi –  e sicari criminali che, nel nostro caso, hanno concesso l’uso del territorio a una occupazione militare e l’impiego della loro gente in funzione ancillare e servile.

E come se non bastasse queste procedure illegali, illegittime, anticostituzionali vengono applicate con l’abuso sciagurato di slogan, principi, valori che dovrebbero motivare e accreditare le nostre rinunce e i nostri sacrifici ed insieme con il benestare a estrarre da dentro umori, risentimenti, vigliaccherie e insoddisfazioni tossiche.

Adesso ci è concesso in cambio delle privazioni il piacere dello sberleffo, il gusto del linciaggio, la felice sintesi degli anatemi promossi dalla discriminazione pandemica applicati alla guerra, il diritto all’odio, esemplarmente ammesso da Facebook-Meta che deve conquistarsi favori fiscali e prebende in cambio del ruolo guida e di indirizzo del pensiero servo e imbecille: “A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, abbiamo temporaneamente concesso forme di espressione politica che normalmente violerebbero le nostre regole. Ad esempio, post violenti come l’invocare la ‘morte agli invasori russi’”, grazie a eccezioni permesse  “rigorosamente nel solo contesto della difesa dell’Ucraina“.

Che ne dite, possiamo essere ottimisti, potrebbe questa decisione aprire nuove frontiere per l’esercizio della libertà personale e collettiva? I miei detrattori potranno finalmente scrivere che sono una troia? Agli omofobi sarà consentito di scrivere “frocio” a commento della denuncia delle violenze commesse ai danni di una coppia omosessuale?  E forse ci si potrà  prendere il gusto di dare dello sporco negro all’idolatrato attore afroamericano in cima ai successi di cassetta?

Dobbiamo anche questo all’empio Putin che ha segnato gli originali confini del diritto e della giustizia? oppure se prima o poi la strada del negoziato avesse successo, sarete tutti costretti al revisionismo e al ravvedimento operoso, pena il blocco dei like come meritano gli Idioti senza Dostoevskij che non si accorgono che i demoni sono dentro di loro?