Anna Lombroso per il Simplicissimus

Che cosa fa di un modesto cronista un “grande” giornalista? Semplice, la capacità di tradurre plasticamente in un concetto semplice e icastico la sua interpretazione della realtà, correggendo il pensiero dell’opinione pubblica confusa da un eccesso di informazioni.

Pensate a Furio Colombo che per convincerci dell’obbligatorietà  di donare al governo ucraino e al suo esercito comprensivo del battaglione Azov, armi e dispositivi bellici, li chiama “fucili partigiani”.

E pensate a Lucia Annunziata quando a proposito dei 230 mila i cittadini ucraini residenti in Italia, quarta comunità per presenza nel nostro Paese,  li liquidò come “badanti e cameriere”.

Adesso  i fatti le danno ragione. Ieri, 8 marzo festa della donna, gli albergatori romagnoli aderenti alla rete “Riviera Sicura” hanno annunciato l’intenzione di assumere a breve 300  cittadine ucraine scampate alla guerra diversi hotel della riviera, con un contratto di lavoro a tempo determinato.     Le profughe potranno essere occupate, per un periodo variabile da 3 a 6 mesi, negli alberghi di Rimini e dintorni come cameriere ai piani, aiuto cucina e altre mansioni.

“Tutti i contratti”,  hanno spiegato compiaciuti,  “prevedono vitto e alloggio e questo consentirà un fortissimo risparmio di risorse economiche da parte dello Stato, riducendo, di fatto, il numero di alloggi da impiegare per l’accoglienza dei rifugiati“.

Ma non basta, sono previste forme di collaborazione con le associazioni delle altre categorie legate al turismo stagionale (ristoranti, stabilimenti balneari, etc.) per ampliare il numero delle assunzioni in modo da rispondere al bisogno di manodopera straordinaria per il lavoro stagionale, contando anche sulla possibilità concreta che il governo conceda sgravi contributivi per le assunzioni “umanitarie” per le quali saranno erogate remunerazioni per oltre due milioni entro settembre.

Riflettete  a quanti benefici si ottengono da questa azione compassionevole quanto lungimirante! In primo luogo si agisce per sottrarre i profughi al destino umiliante dei 2 milioni e 452 mila disoccupati e dei 5,6 milioni di italiani in stato di  povertà assoluta, arruolandoli nella più favorevole manovalanza dei precari incrementata dalla pandeconomia.

Si contribuisce alla ripresa del settore turistico così penalizzato aiutando i volonterosi imprenditori del settore, dagli albergatori ai gestori degli stabilimenti balneari, la cui reputazione di lobby è stata ingiustamente  macchiata da accuse di abusi e trasgressioni in materia fiscale, sindacale, edilizia, favoriti dalla concessione di favori e privilegi di carattere monopolistico. E non va sottovalutato l’aiuto morale e concreto che si offre al superamento di atteggiamenti discriminatori e xenofobi, promuovendo una fertile coesistenza di diversità, applicata alla retrocucina, alle pulizie di Pasqua, oggetto di interventi di formazione già previsti  con corsi di housekeeping, haccp e sicurezza sul lavoro.

Ma soprattutto viene alla luce, e dobbiamo apprezzare, l’intento educativo e pedagogico che  è alla base di queste iniziative. Ogni anno a primavera le offerte di lavoro di imprenditori turistici,  aziende agricole, ristoratori e esercenti vengono rifiutate da una generazioni di bambocci pigri e indolenti  viziati dalle paghette dei genitori, da indigenti marginali diseducati dal permessivismo del reddito di cittadinanza, da studentelli infingardi che non vogliono cogliere le opportunità dell’alternanza scuola lavoro, concordi nel non volersi accontentare di remunerazioni che considerano offensive della loro persona e delle loro prestazioni per una inaccettabile rivendicazione di dignità incompatibile con una moderna visione del lavoro.

Sono il prodotto di una cultura che ha alimentato un parassitario rifiuto del dovere e della fatica, alla quale oggi governi e padronato stanno restituendo la vocazione redentiva grazie all’ideologia secondo la quale bisogna scontare standard minimi di sicurezza, reddito, tutele con abnegazione, sacrificio, rinunce e obbedienza, mentre i criteri di merito vengono applicati per confermare quello dell’appartenenza a ceti superiori, della fidelizzazione, della trasformazione di vizi un tempo condannati in virtù irrinunciabili per la propria promozione, arrivismo, spregiudicatezza, indole alla sopraffazione.

Così adesso è venuto il momento della penitenza, che si presenta in maniera intermittente.

Prima ci hanno persuasi che era nell’ordine delle cose che varie tipologie di colonialismo ci esonerassero dallo svolgere mestieri degradanti, avvilenti, malpagati  delegati agli immigrati comunque poco tollerati e cui era sacrosanto negare i diritti che avevamo conquistato in anni di lotte.

Poi ci hanno spiegato che quelle prerogative in regime di semi-esclusiva per gli italiani erano troppo onerose per i datori di lavoro, legittimandone la limitazione, sottraendoli grazie a innumerevoli disposizioni in favore di precarietà e mobilità, congelando i salari mentre aumentava il costo della vita, alimentando così il rancore non contro chi aveva trasformato i valori del lavoro nella condanna a incertezza, ricatti e intimidazioni, bensì contro chi ci aveva rubato il posto e il salario, l’accesso ai servizi, alla sanità, alle case popolari, tutti beni comuni dei quali eravamo già stati espropriati senza che ne beneficiassero gli “ultimi”.

La stretta contro le invasioni, condotta a norma di legge, l’ideologia del rifiuto dell’altro molesto, costoso e pericoloso ha trovato terreno fertile anche tra chi aveva voluto mettere in guardia dal rischio che l’arrivo di eserciti disordinati e rabbiosi di merce lavoro disperata e ricattabile, di vite nude senza documenti, competenze e futuro, muovesse un guerra interna contro gli italiani, minando quello che si credeva acquisito e inalienabile, come se decenni di crisi degenerate in emergenze, di perdita di sovranità e obbedienza a regole autocratiche e antidemocratiche, di collaborazionismo sindacale non avessero già demolito lo stato sociale e lo stato di diritto.

Adesso grazie alla gestione della pandemia combinata come l’interventismo dissennato e suicida c’è una nuova evoluzione, quella che combina l’oscena professione della carità armata in sostituzione della solidarietà e della tutela del diritto internazionale, con il consolidamento della pratica di discriminazione nei confronti dei disubbidienti, che annovera ormai no-greenpass e “filorussi” disfattisti, resistenti alla fascinazione dello scientismo come restii al sacrificio in nome dei nobili principi dettati a con prudenza a Washington e  praticato con sciagurati toni estremi dal burattino affetto da personalità distruttiva.

Intanto si è cominciato, dopo la delazione, a promuovere l’istituto del crumiraggio, adesso si pratica in larga scala la sostituzione del personale con avventizi di ogni genere, trattati appena appena un po’ meglio di insegnanti, personale sanitario, impiegati, commessi, operai che hanno scelto di perdere tutto pur di non rinunciare al diritto di scegliere, di pensare, di dubitare, di criticare, di manifestare in nome e per conto di tutti, anche dei profughi che arriveranno in un Paese che predica la libertà togliendola ai sui cittadini.