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Il Draghi di carta

Anna Lombroso per il Simplicissimus

In un crescendo di collera dai toni sempre  più isterici Mario Draghi ha convocato i leader dei partiti per applicare con loro il suo sistema più collaudato, quello del ricatto e dell’intimidazione, redarguendoli in merito alle quattro votazioni nelle quali il “suo” esecutivo è stato battuto: “Ora basta, pare abbia sibilato, così non si va avanti. Questo governo esiste perché il Presidente lo ha voluto per fare le cose”. Con il candore dei cretini i commentatori di Repubblica ci vogliono credere: “Il premier ha dunque parlato sapendo di avere le spalle coperte dal Presidente Mattarella  vero ‘lord protettore’ dell’esecutivo”.

In realtà Draghi si era recato al Colle per esigere il pagamento del debito che Mattarella aveva contratto nel momento in cui l’uomo della Goldman dopo essersi autocandidato era stato costretto a tirarsi indietro.

E potremmo immaginare che anche in quel colloquio i toni siano stati sopra le righe: la collera contratta e velenosa del banchiere non può aver risparmiato il vecchio navigante nelle paludi machiavelliche della politica, nume tutelare dell’ipocrisia nazionale, che appena eletto, fin dal momento nel quale ha officiato la celebrazione di rito in quello che ha definito  «il luogo più alto della rappresentanza democratica, dove la volontà popolare trova la sua massima espressione» ( quel parlamento  eletto con una legge scritta da un altro parlamento che venne definito “incostituzionale”, a causa delle norme che ne avevano regolato l’elezione, proprio dalla Corte Costituzionale) è diventato l’autorità politica e morale cui fanno riferimento i partiti, ormai sfibrati e insofferenti della prosopopea accentratrice del sorvegliante dell’asse transatlantica. E che si fidano della continuità di un presidente del Consiglio Superiore della Magistratura che assicura che l’organismo resti arroccato e remoto rispetto al Paese in modo da tutelare con l’accidiosa indolenza le proprie aspettative di carriera.

Perfino Draghi avrebbe dovuto  capire certi avvertimenti trasversali presenti nel discorso di insediamento dell’alta carica, dalla raccomandazione a diffidare di un eccesso di tempestività,   in modo da evitare che «i problemi trovino soluzione senza l’intervento delle istituzioni a tutela dell’interesse generale» all’altro messaggio volutamente criptico sul quale gli osservatori si sono esercitati inutilmente con la preoccupazione che certi «poteri economici sovranazionali»,  «tendano a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico».

Ha dimostrato invece una certa ingenuità confidando che certe esternazioni del presidente uscente, che alla faccia della Costituzione si prestava alla rielezione,  facessero parte del doveroso repertorio retorico d’occasione, a cominciare dalla volontà di tutelare il ruolo del Parlamento e gli alti valori costituzionali, espressa da chi lo aveva  chiamato per affidargli il delicato incarico di restringere lo spazio democratico e delegittimare l’istituzione ampliando la funzione autocratica del presidente-premier. E c’è da immaginare che abbia ipotizzato che il suo rientro nei ranghi potesse essere a termine, che dopo una seconda dose di Mattarella, breve e grigia, si creassero le condizioni per l’auspicato presidenzialismo su misura per lui.

Si spiegano così la vibrante indignazione, la fiele amara che accompagna le espressioni della sua delusione per i tradimenti e i voltafaccia di quelli che pensava di avere per sempre in pugno, mezze figure, scrocconi, mangiapane a ufo, maschere della commedia dell’arte, scelte proprio per la loro rappresentatività dei vizi nazionali, che dovevano sancire la superiorità dell’algido competente culturalmente ormai apolide.

C’è da pensare che Draghi sia convinto che  proprio quel suo esercizio del potere  arbitrario e duro, lungi dal creargli problemi aumenti invece  la stima riservatagli, incrementi la sua autorevolezza severa temperata da quelle concessioni elargite secondo criteri premiali.

Si spiega così che dopo aver ribadito la sua intenzione di rivedere il metodo di confronto con i partiti,  ma “tenendo la barra dritta” e dopo aver ricordato a Mattarella  che lui esegue “il mandato del governo, creato dal presidente della Repubblica, per affrontare certe emergenze”, ha bonariamente trasmesso le bozze delle misure decise con i suoi fidi ai riottosi partiti, in modo che potessero dare il loro visto si stampi.

Si tratta dell’elargizione di 6 miliardi stanziati senza scostamenti di bilancio, per calmierare il rincaro delle bollette nel secondo trimestre 2022,  definiti “una cifra ridicola” dalle associazioni dei consumatori,  a fronte degli aumenti per imprese e famiglie, e la marcia indietro sul superbonus  in modo da “allargare le maglie alla cessione del credito fino a tre soggetti”, a condizione non sorprendente che si tratti di banche o istituti di credito.

In questi mesi gli stessi che non a caso hanno coperto di improperi e condannato all’ostracismo chi osava paragonare questa fase storica con altri processi addirittura più lenti che hanno determinato discriminazione, emarginazione e persecuzione, hanno messo all’indice con la stessa veemenza chi vede delle somiglianze esplicite tra i caratteri di questo con altri regimi autoritari, fondati anche quelli sulla creazione di uno stato di eccezione reso necessario dalla presenza di un nemico creato ad arte o artatamente esagerato per autorizzare misure straordinarie, l’aggiramento del Parlamento,  lo stravolgimento e la manipolazione della Costituzione.

Non stupisce che giuristi e costituzionalisti tacciano sulle affinità tra l’istituzione e l’attribuzione di poteri straordinari al Comitato Tecnico Scientifico, con un ruolo extra ordinem, e quella del Gran Consiglio del Fascismo, in veste di istituzione parallela e autocratica con competenze speciali, o che, nel caso delle sentenze della Corte Costituzionale o del Consiglio di Stato che ha smentito il parere del Tar del Lazio su tachipirina e vigile attesa, si appellino al primato irrinunciabile della “forma”: ormai cerchie e caste lontane anni luce dalla  dimensione reale  sopravvivono solo garantendo obbedienza e conformità in modo da non rinunciare a progressioni di carriera, benefits e visibilità,  assicurando così  che, anche grazie alla loro vidimazione culturale e accademica, proceda senza ostacoli il processo di instaurazione del regime.

Non consola che l’ira di Draghi denunci le sue difficoltà: il più è fatto.

Il prestito degli strozzini sarà garantito e rimborsato da noi, come succede quando ha successo l’azione di esproprio  della sovranità monetaria e economica di una nazione nelle spire di un debito  che si traduce  in ricatto, in perdita di autonomia politica, in cessione dei beni comuni e in privatizzazioni della stato sociale, mentre la cricca, con o senza di lui, si spartisce il bottino tra compagni di merende allietati dal pensiero che il popolino di oggi e di domani paghi il conto salato anche delle sue brioche.

Le riserve di vaccini si rinnoveranno contribuendo con dosi annuali alla progressiva medicalizzazione della società. Il Green Pass verrà esteso a altre funzioni di controllo sociale incrociato di enti e potentati.

A meno che, come vogliono farci dimenticare manomettendo la storia oltre alla cronaca, non decidiamo che è il momento di rovesciare il tavolo e togliere la sedia da sotto ai bari.

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