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Cgil, l’altra Camera dei padroni

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Il tradimento di un mandato politico e morale si consuma in molti modi. La Cgil ne ha ultimamente scelto uno che dimostra la sua soggezione completa e assoluta all’ideologia dominante e che si traduce perfino nel linguaggio impiegato per comunicare una decisione assolutista, accentratrice e antidemocratica.

A forza di intendersela coi padroni e con i sicari incaricati della soluzione finale del lavoro, indossate le belle braghe bianche di prammatica i vertici della Camera del Lavoro, che ha potuto fare un po’ di camouflage alla reputazione grazie al sostegno concreto e programmato di frattaglie del fascismo nostalgico, hanno prodotto  e fatto approvare dall’Assemblea organizzativa una norma perfettamente in linea con la  weltanschauung dell’oligarchia, per delegittimare e emarginare posizioni indipendenti, scomode e eretiche  incarnate dalle Rsu e costringere all’obbedienza di un comando somministrato dall’alto di una maggioranza dispotica.

Una volta firmato un accordo tra Cgil e controparte,  anche chi dissente dovrà adeguarsi e impegnarsi ad applicare i termini dell’intesa, con un atto di fede pubblico, volto a non ledere l’immagine dell’organizzazione ormai recidiva nella sottoscrizione collaborazionista di patti scellerati con Confindustria e padronato.

La montagna regressiva che ha partorito questo sorcio, l’Assemblea organizzativa che ha concluso  “un lungo percorso di partecipazione e condivisione che da settembre dello scorso anno ha visto lo svolgimento di 1.517 assemblee territoriali e di categoria, recava il titolo “Il lavoro crea il futuro” e per chi volesse proiettarsi il film di come immaginano occupazione e domani i rappresentanti degli sfruttati vale la lettura della sintesi delle proposte approvate.

Col più abusato impiego dello slang del marketing, con quegli stilemi e anglicismi irrinunciabili della comunicazione politica ad uso dei ministri del Draghistan, quelli del very bello, della transizione green, dello smart working in search of flexibility, i sindacalisti che da due anni inghiottono qualsiasi boccone amaro:  patti opachi per garantire immunità e impunità alle imprese che hanno dettato la sicurezza pandemica, divisione dei cittadini in esposti al rischio per la loro essenzialità e salvabili sul sofà, condanna degli anziani improduttivi alla selezione dolorosa ma necessaria, definitiva demolizione della sanità pubblica e della medicina di base anche grazie alla scelta di investire le risorse già ridotte in vaccini, sblocco dei licenziamenti e degli sfratti, green pass e vaccinazione obbligatoria per il personale sanitario e della scuola e infine supergreen pass imposto a tutti i lavoratori, divieto di manifestare in piazza, hanno disegnato la loro visione del futuro con i toni dei patron delle vendite piramidali.

Proprio come Draghi quando piazza i prodotti tarocchi del Pnrr, una particolare attenzione è rivolta ai giovani. Ma chi si aspettasse un ferma  vibrante condanna dell’alternanza scuola /lavoro/ morte sarà deluso, lo sforzo infatti è rivolto alla opportunità di fare proselitismo attraverso iniziative culturali e di coworking e rendere più diffuso l’accesso a progetti del Servizio civile,  prevedendo una forte sinergia con le associazioni studentesche  grazie a convenzioni con le associazioni del territorio e introducendo una Tessera Cgil – Studenti, in formato digitale e la cui quota potrà essere pagata presto con delega bancaria in virtù delle nuove frontiere della semplificazione,   che consenta l’accesso ai servizi della Cgil, agli studenti e le studentesse delle scuole secondarie di secondo grado e università, purché non lavoratori.

Uno degli obiettivi strategici è rappresentato dalle varie declinazioni di quella che è diventata la vera missione dei sindacati, fare consulenza nei patronati grazie a personale promosso a advisor, consuelor, coach, monitor e soprattutto  piazzista di servizi privati, fondi e assicurazioni integrative in larga parte gestite dalle stesse aziende che godono dell’opportunità di sfruttare due volte i dipendenti come lavoratori e come clienti.

Viene detto in maniera esplicita con la riconferma dell’impegno a  monitorare “servizi e tutele avanzate messe a disposizione degli iscritti da categorie e confederazioni territoriali in modo da renderle, laddove utili, generalizzate sia al fine di rendere sempre più efficace la tutela che per realizzare economie di scala”, con lo stesso spirito che anima la narrazione che raccomanda di diventare azionisti del sistema sociale invece che cittadini, consumatori al posto di elettori, dati al posto di persone e perfino manager di se stessi se si affitta una stanza di casa per arrotondare o se si gestisce in proprio orario e prestazioni  precarie dei lavoretti alla spina.

Si capisce così  la vera vocazione che anima il sindacato proiettato nel futuro, quella di prestarsi generosamente a realizzare un’alleanza profittevole “con i datori di lavoro che offrono un sostegno concreto ai dipendenti per  la concorde creazione di una forza lavoro più resiliente, con un conseguente miglioramento delle performance aziendali….”, come si legge in un report del  World Economic Forum che esulta per le ricadute positive della gestione occidentale del Covid che ha portato alla luce la centralità del benessere nelle richieste dei  lavoratori e la volontà di corrispondervi degli imprenditori sempre più rivolti a investire in welfare aziendale.

E volete che la Cgil non si collochi all’avanguardia di questo processo che accelera il definitivo smantellamento dello stato sociale e anche dello stato di diritto, aggiungendo discriminazioni a disuguaglianze, dividendo la popolazione in ceti che  dispongono di mezzi per garantirsi le prestazioni private e risorse accessorie per integrare pensioni sempre più remote e ridotte,  ed altri, precarizzati e proletarizzati, a disposizione dei quali restano le frattaglie cannibalizzate della sanità pubblica, offerte in forma di carità al posto dei diritti.

Perché la compassione al posto della solidarietà ispira anche la filosofia sindacale che si concede la doverosa pietas del politicamente corretto in sostituzione della solidarietà. Così proprio loro che hanno dovuto concordare sulla obbligatorietà della reintroduzione dei dogmi della Legge Fornero, si preoccupano della tutela individuale  per le fasce più vulnerabili della popolazione, purché si tratti “di  lavoratori e lavoratrici migranti” attraverso servizi di mediazione culturale, di “disabili, precari/e ed lavoratrici e lavoratori atipici” e come? ma “attivando sportelli contro le discriminazioni di genere e quelli antimobbing, garantendo sempre l’inclusività dei nostri servizi tutelando concretamente tutte le soggettività (orientamento sessuale, genere, identità di genere) e sostegno delle famiglie omogenitoriali”.

Ormai la principale virtù di chi aspira a far parte anche in posizione servile dell’oligarchia deve essere l’indole a tradire principi e valori, insieme all’ipocrita rinuncia volontaria a dignità e reputazione. Lo dimostra l’esibizione delle credenziali per favorire forme di contrattazione inclusiva che si traduce poi con la misura liberticida del dissenso,  espresse con i toni e le proposte usate dagli speaker per galvanizzare le convention “al fine di favorire il presidio, il reinsediamento e il proselitismo”, con  le “salette sindacali”   nelle periferie e aree interne e montane, nei luoghi di aggregazione sociale, nei luoghi pubblici. Escluse le piazze, quindi, interdette per ragioni sanitarie, o schifate per via di presenze incompatibili, i cancelli delle fabbriche occupate, lasciate a crumiri e vigilanti, i centri e le associazioni di chi lotta contro l’esproprio dei beni comuni, l’oltraggio e l’occupazione militare del territorio, per la casa e per il sapere, arma imprescindibile di riscatto e libertà.

 

 

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