Site icon il Simplicissimus

Il tonfo del Tronfio

Anna Lombroso per il Simplicissimus

L’hanno proprio irritato sospettando che alberghi in lui un’ambizione che esula dall’aspirazione di prodigarsi per il bene comune e lo sviluppo del Paese che gli ha dato i natali e che ama non sufficientemente riamato.

Come non adontarsi delle accuse mosse  a leader che,  come ha avuto a scrivere   il sito  Linkiesta, ha generosamente intrapreso “la strada della piena riabilitazione dell’Italia dall’ubriacatura populista”, che ci ha restituito la reputazione grazie a un  ruolo egemonico nella gestione dell’ordine pubblico con una massiccia opera doverosa di discriminazione e repressione, in modo che scenda la conta dei contagi, che uno dei più esuberanti sacerdoti della scienza possa immortalarsi mentre lancia in aria la mascherina, mentre “ il Pil corre e il Pnrr pure” , con le connesse riforme, a cominciare dalla riforma della giustizia.

Era proprio stizzito quando un impudente in conferenza stampa ha avuto l’ardire di chiedere: “Lei esclude che nel 2023 possa essere il federatore di questa coalizione, di centro, che può nascere? “. E Lui,  caro lei, pare che dica nel  rintuzzare secco: “le rispondo in maniera totalmente chiara: lo escludo!”. Per continuare sarcastico: ” ho visto che tanti politici mi candidano in tanti posti in giro per il mondo mostrando una sollecitudine straordinaria nei miei confronti, io li ringrazio moltissimo ma tra l’altro vorrei rassicurarli che se per caso decidessi di lavorare dopo questa esperienza un lavoro me lo trovo anche da solo”.

A meno che la reazione non rientri in quella strategia comunicativa di umanizzazione del tetro robot mandato in Italia a liquidare in Paese, mortificandolo, impoverendolo, dividendo la sua popolazione, creando fratture insanabili, suggerendogli la petulante reazione della zitella brutta: chi non mi prende non mi merita, del regista che attribuisce l’insuccesso di cassetta alla qualità intellettuale e morale del suo capolavoro.

Acido, sprezzante, tagliente, in realtà è più probabile che a suscitare la sua reazione indispettita sia stata l’amara constatazione che ormai il suo trono è in bilico, la consapevolezza di aver passato il limite con l’autocandidatura al Colle, un’operazione condotta in maniera rozza da miserabile politicante, il sospetto che perfino la stampa cocchiera che ha provveduto a finanziare con grandiosità si sia accorta che i suoi piedi di argilla si stanno sgretolando e che ad assestargli qualche colpo siano proprio mandanti e padroni.

D’altra parte la missione è pressoché compiuta, l’ufficialetto del Britannia promosso a sicario con stellette e medaglie di infamità ha eseguito, addirittura con esagerata boria e eccessiva ferocia, gli ordini ricevuti, tanto da creare un clima sfavorevole e minare il consenso costruito ad arte e alimentato dai media, dal progressismo neoliberista, dalle frattaglie e dai ruderi della partitocrazia che ha finto acquiescenza subendo rimbrotti e umiliazioni, salvo rialzare la testa giusto in tempo per disilluderlo.

Si capisce che sia adirato, gli avevano fatto credere di essere il padre fondatore del Draghistan e si ritrova col cappello in mano a cercarsi una sine cura altrove presso padroni irriconoscenti che hanno già in animo di sostituirlo con un valletto altrettanto  pedissequo, ma meno posseduto dai demoni del narcisismo delirante e onnipotente quindi  più attento a conservare il minimo sindacale di prudenza per non suscitare moti di piazza e contrasti tra la servitù nei retrocucina del potere. E c’è da sospettare che anche Goldman Sachs dopo avergli fatto credere di ritenerlo insostituibile alla guida del governo fantoccio, si sia persuasa che è preferibile cercare macellai più freschi, palloni meno gonfi e tronfi.

Tanto quello che si doveva fare è stato fatto, il racket si è portato a caso il capolavoro del suo sistema di strozzinaggio e intimidazione, il Pnrr che deve applicare a tutti i livelli l’ideologia della distruzione creativa promuovendo, finanziando, sostenendo a norma di legge il dominio bulimico e megalomane delle multinazionali, delle grandi imprese a discapito del tessuto di quelle medie e piccole che erano il tessuto vivo del Paese, imponendo un regime di monopolio privato nei servizi, nello stato sociale, nell’istruzione, nella cura, anche grazie alle opportunità di profitto offerte al terzo settore.

Con un duplice intento, creare il clima favorevole all’attuazione delle riforme tutte impegnate a ridurre i diritti e le aspettative dei lavoratori e a contenere la spesa sociale, pensioni, scuola e sanità pubblica, retrocessa a colpevole finanziamento di attività parassitarie, e a promuovere un ruolo della Stato inteso come elemosiniere dei ricchi e esattore crudele dei poveri, ma anche a declinare la nuova austerità imponendo il regime fiscale necessario a ripagare i debiti contratti con la generosa Europa.

Al tempo stesso di è provveduto all’occupazione manu militari delle istituzioni, Colle, governo, Corte Costituzionale e Consiglio di Stato, che hanno subito dimostrato con festosa tempestività la loro adesione totale al credo dominante, facendo capire che la loro azione sarà quella notarile di certificazione e ufficializzazione delle decisioni di un esecutivo che ormai è abilitato a aggirare il Parlamento o a imporgli i suoi diktat in cambio di regalie in continuità con leggi elettorali che hanno stabilità la inamovibilità dei pupazzi dei ventriloqui.

Ne è conferma l’ultimo intervento sulla Costituzione per inserire una tutela dell’ambiente – e degli animali – che altro non è che la  traduzione in articoli della Carta del pensiero papalino e del credo della Commissione tradotto in strategia della transizione ecologica, quella Green che applica gli strumenti di mercato per risolvere i problemi creati dal mercato, che glorifica l’ex bambina prodigio stabilendo la sostenibilità del nucleare, che addossa colpe e responsabilità dei danni ai cittadini sporcaccioni in attesa di mettere in scena la nuova emergenza epocale con conseguente apocalisse, il riscaldamento globale.

È stata riconfermata la indeflettibile fedeltà euroatlantica nello scontro   con Russia e Cina, nelle politiche di approvvigionamento energetico, nella spesa in armamenti e nella partecipazione a campagne coloniali di sfruttamento e aggressione militare, con il sostegno di una informazione che da due anni partecipa a una narrazione epica come imposto dall’emergenza affidata a soggetti estranei al contesto democratico e parlamentare.

Ha ragione davvero di essere deluso e inviperito Mario Draghi, orgoglioso di aver sottoposto il suo Paese a un test sperimentale di declinazione di tutte le varie fenomenologie del capitalismo, a cominciare da quello delle catastrofi diventate elementi costitutive della sua attuale condizione, perfezionato rispetto ad esperienze nostrane collaudate con terremoti, crolli di ponti che fruttano formidabili risarcimenti ai colpevoli, crisi convertite in disastri provvidenziali per istituire autorità eccezionali e leggi speciali, o da quello della sorveglianza, messo a regime con un finto strumento di controllo sanitario destinato a diventare permanente, allargando la sua sfera di applicazione.

Gli italiani in loggione che fischiano al tenore aspettando che l’impresario  lo cacci via dal teatro farebbero bene a non accontentarsi, a scendere dalla piccionaia e occupare la scena: come al solito l’opera buffa sconfina nella tragedia.

Exit mobile version