Anna Lombroso per il Simplicissimus

A compensazione della mesta constatazione che ci fanno diventare sempre più cretini e che vogliono che un popolo di creativi, artisti, architetti, poeti si converta in una provincia di scialbi esecutori,  l’Osservatorio   Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano esulta: l’intelligenza artificiale nel 2021 vale in Italia 380 milioni di euro, con una crescita del 27% in un anno soprattutto in alcuni settori di punta progetti di algoritmi per analizzare ed estrarre informazioni dai dati (Intelligent Data Processing), con il 35%, soluzioni per l’interpretazione del linguaggio naturale con il 17,5% del mercato e algoritmi per suggerire ai clienti contenuti in linea con le singole preferenze (Recommendation System) con un’incidenza del 16% (+20%).

A confermare che queste nuove frontiere tecnologiche sono dedicate alla sostituzione dell’intelligenza naturale negletta e non coltivata, ma perfino il sapere maturato con lo studio, la competenza e l’esperienza professionale uno dei campi più incoraggiati è quello dell’applicazione della telemedicina, in modo che a medici già esautorati e sempre meno autorizzati ad azzardare diagnosi e prescrivere terapie, meglio impegnati in mansioni impiegatizie ed amministrative oltre che in quelle di piazzisti di vaccini, subentrino  tecniche automatiche o semi-automatiche sviluppate grazie al machine learning.

Come nel caso molto propagandato dalla stampa dell’Hackathon “Covid Cxr”, organizzato da Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), Fondazione Bruno Kessler (FBK) e Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore) che applica i software e i modelli di analisi più avanzati di Intelligenza artificiale  per  l’interpretazione dei dati clinici legati alla pandemia da Covid con l’obiettivo di aiutare i medici a distinguere tra i pazienti che possono essere trattati in sicurezza a casa, e quelli che potrebbero richiedere una terapia intensiva in ospedale.

Che peccato che sia sperimentale e non averlo avuto in questi due anni nei quali la selezione si basava su criteri legati all’età, alla produttività del malato, al censo e all’appartenenza a cerchie e ceti da privilegiare. Però possiamo sentirci rassicurati a vedere la scalata borsistica delle major della telemedicina, Teladoc società multinazionale di telemedicina e sanità virtuale con sede negli Stati Uniti. I servizi primari includono telemedicina, pareri medici, intelligenza artificiale e analisi, dispositivi di telemedicina e servizi di piattaforma con licenza, o OPKO Health, azienda specializzata in diagnostica virtuale, o   Sysmex Corp, giapponese, che fornisce analisi ematologiche e sviluppa tecnologie e software.

Dopo due anni nei quali qualsiasi decisione, qualsiasi misure repressiva e discriminatoria veniva sponsorizzata come manifestazione di doverosa “responsabilità” che deve sovrintendere ad azioni, facoltà e opzioni,  e anche alla manutenzione di relazioni compatibili con la situazione di emergenza che non permette di coltivare sentimenti che non siano quelli della paura e dell’obbedienza, il futuro che si prepara al lavoratore, al tecnico, al professionista e anche allo scienziato è segnato dall’esclusione totale dalle  scelte che avvengono a monte e alla cui esecuzione deve applicare le sue risorse di capitale umano, che per mantenere posizione, salario e opportunità di carriera dovrà sempre più assomigliare a un robot bene accetto nel sistema globale dell’algocrazia.

L’alienazione prodotta dalla rivoluzione artificiale a prima vista sembra promettere   il superamento della divisione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale e la cancellazione definitiva della fatica fisica.

Pare di no secondo un che consiglio di leggere ai fanatici del Muovo Mondo, Né artificiale, né artificiale di Kate Crawford, anche se basterebbe il retro di copertina: Chiunque acquisti su Amazon, interroghi Alexa, ricorra  a Siri….  interagisce con l’intelligenza artificiale, non un raffinato software immateriale, bensì una megamachine che saccheggia risorse naturale. Lavoro umano, privacy e compromette l’uguaglianza e la libertà.

La produttività si deve accrescere per incrementare i profitti di pochi ma grazie all’illusione che con la tecnologia e il progresso che ne deriva si possano mutare i rapporti di produzione e perfino quelli umani, sono cadute troppe resistenze e lo sanno bene gli operai della Gkn, i rider, i pony di Glovo, le vittime del caporalato agricolo e i free lance a cottimo, i licenziati con un sms , i precari in subappalto ma pure quelli delle catene in fabbrica anche loro comandati e sorvegliati da un algoritmo.

Insomma l’intelligenza artificiale  non è una tecnologia immateriale che non esercita pressione alcuna e dunque “sostenibile”, ma una sistema complesso  che prosciuga e sfrutta  risorse naturali, combustibili, contributo umano, infrastrutture, logistica, dati, azioni, emozioni, desideri e consumi, in una parola le nostre identità umane.

La sua realizzazione comporta  l’esaurimento energetico e minerario del pianeta, l’impiego di  manodopera a basso costo e l’espropriazione dei dati e delle informazioni per ogni uso, come fanno gli algoritmi di Spotify o Netflix, per indirizzare inclinazioni, aspettative, consumi e preferenze, o come intendono fare gli strumenti che incrociano le attività di sorveglianza sanitaria prese a pretesto in virtù della pandemia con quelle di controllo sociale. E quindi secondo il libro  “nasce dai laghi salati della Bolivia e dalle miniere del Congo, ed è costruita a partire da set di dati etichettati da crowdworkers che cercano di classificare azioni, emozioni e identità umane. Viene utilizzata per guidare droni nello Yemen, per guidare la politica migratoria degli Stati Uniti e per definire, in tutto il mondo, le scale di valutazione del valore umano e del rischio”.

Viene bene il paragone con cani sapienti e cavalli esibiti nell’atto di risolvere problemi, guidati a comando dall’allevatore e dall’imbonitore di piazza, se viene meno il contributo creativo ed elaborativo del lavoro cognitivo, retrocesso a raccogliere, immagazzinare e trattare prodotti intellettuali allo scopo di governare e avviare trasformazioni materiali realizzate da macchine e da energia artificiale, comandate da una oligarchia che da anni ostacola sapere, conoscenza, ingegno e consapevolezza per proibire la libertà.