Anna Lombroso per il Simplicissimus
Vediamo un po’ di rispettare la prassi. Ci aspetta un bel discorso alle Camere con relativo liscia e bussa ai riottosi rappresentanti del popolo che non hanno trovato un accordo, sebbene con toni meno vibranti e sdegnati del monarca reinsediato nell’aprile 2013. E con lo stesso “spirito di sacrificio” che portò re Giorgio a prestarsi generosamente in considerazione “del rischio ormai incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune……nella impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell’elezione del Capo dello Stato”.
I toni saranno meno drammatici, un po’ per l’esangue personalità dell’alta carica, un po’ perché in fondo era già capitato, e se un evento succede due volte mette meno paura segno che si è già sopravvissuti, anche nel caso di guerre mondiali.
E poi proprio come certi alunni scapestrati, forze politiche e eletti sono sollevati dalla risciacquata che precede il perdono, istituto irrinunciabile grazie alle comuni radici cristiane, che viene concesso insieme alla restituzione della buona “reputazione” sullo scenario internazionale che aspetta solo di potersi trastullare con la conferma di ogni stereotipo e pregiudizio sugli italiani così fedeli alle loro maschere nazionali, Arlecchini pronti a servire ogni padrone Pantaloni pronti a pagare.
Allora l’uscente che rientrava dalla porta girevole lamentò la mancata riforma della legge elettorale, oggi non ci sarà bisogno di ripetere questa lagnanza.
Senza nemmeno guardare al passato, a quei promotori dei referendum elettorali che strombazzarono la loro avversione al porcellum mirando a restaurare il fratello gemello: il mattarellum, Mattarella si è fatto interprete e patron di quel referendum burletta sul taglio del numero dei parlamentari, lasciandone inviolata la qualità oggi ulteriormente messa alla prova, ultimo atto prima che il Parlamento venisse definitivamente esautorato, espropriato anche di poteri formali, grazie a uno stato di eccezione che anche grazie alla permanenza dello spaventapasseri della democrazia impagliato a guardia del sacro colle, durerà a tempo indeterminato anche dopo l’ormai proclamata fine della pandemia.
Quello che pare il Burian è invece il vento dei respiri di sollievo bipartisan della destra e della diversamente destra, quella Große Koalition di sciagurati impotenti interessati a mantenere le loro rendite di posizione a costo della rinuncia all’onore e alla dignità personale e del Paese. Adesso sono legittimati alla politica del lasciar fare di superficie, sotto il quale possono continuare i loro miserabili affarucci sottobanco, dai quali traggono quel poco che serve a accumulare un po’ di respiro prima di essere travolti da ben altra gerarchia oligarchica.
E difatti stavolta non è stata messa in scena nemmeno la commedia delle parti della moral suasion dell’indispensabile e irrinunciabile salvatore della patria, quella “sceneggiata” dai partiti, tranne M5s,che insieme ai governatori delle regioni, andarono in pellegrinaggio al Quirinale per pregare Napolitano di accettare la riconferma, con l’assenso di Pierluigi Bersani, Silvio Berlusconi, Mario Monti e dei governatori del Nord leghisti del Nord Maroni, Cota e Zaia.
Mi direte che quella volta si volle tenere in piedi la finzione democratica con il governo Letta, premiato un mese dopo la nomina da una fiducia al 45%, conferma allegorica della stabilità coattiva imposta da Napolitano e della governabilità guidata saldamente da Bruxelles.
Adesso grazie allo stato di eccezione non si pone più il problema di simulare i giochi di ruolo e delle parti in commedia. Siamo ormai al coronamento della conversione di una democrazia incompiuta e condizionata in una monarchia, della cui bara il re travicello è autorizzato in veste di cassamortaro a fissare gli ultimi chiodi, come vuole l’impero che lo ha incaricato di liquidare alla svelta la remota provincia, l’espressione geografica immeritevole di sovranità e autodeterminazione.
A completare il quadro è giunta la nomina in quasi contemporanea di Giuliano Amato alla Corte Costituzionale, pronto a mettere la sua “competenza” al servizio dell’oligarchia come terza irrinunciabile divinità della vergognosa trimurti strapaesana e come nume del milieu ideologico che ha portato alla svendita del Paese e alla soggezione totale ai comandi dell’Europa. Possiamo immaginare grazie al suo curriculum e all’impronta lasciata da quei 411 giorni di governo, dal prelievo forzoso nel quadro dell’applicazione dell’istituto del pareggio di bilancio, al suo prodigarsi per ottenere l’approvazione da parte della Commissione al programma di stabilità nazionale cosa ci aspetta dall’ex abate Mazzarino di Craxi, dall’occulto manovratore delle leggi ad personam per le televisioni di Berlusconi, anche lui a termine, tempo otto mesi prima della scadenza del suo mandato da giudice di nove anni.
Otto mesi nei quali contribuirà con saccente ferocia alla demolizione dell’edificio dei diritti, quelli costituzionali e quelli oggetto di leggi e conferme con pronunciamenti popolari a cominciare dall’interruzione di gravidanza, alla retrocessione della Carta a prodotto letterario oggetto di sproloqui di guitti, da tradire ad ogni occasione nella quale occorre smentire e abiurare ai suoi principi.
Il confronto tra volontà e necessità, si risolve sempre ormai con il ricorso a un principio superiore legittimato a fare a pezzi le regole ordinarie, trasformando ogni contesto in emergenza da risolvere con misure eccezionali, di “salute pubblica”, di ordine pubblico, quello perfetto senza critiche e contrasti, quello che regna nei cimiteri.