Anna Lombroso per il Simplicissimus

Proprio quando le nostre esistenze sono infiltrate, invase, soggette a controlli che offendono la dignità, la riservatezza e la privatezza delle persone, frugate per farne oggetto di pubblica ostensione e deplorazione generale, viene indicata come candidatura “non divisiva”, gradita a tutto l’arco costituzionale diventato ormai la platea notarile incaricata di timbrare le misure governative, quella di Elisabetta Belloni, direttore del Dis, l’organismo che coordina i Servizi segreti, l’Aisi e l’Aise, promosso al delicato incarico dopo una brillante carriera in diplomazia e, casualmente anche una donna.

Dico casualmente perché bisogna darle atto di non aver mai puntato sulle qualità di genere e nemmeno sull’istanza di valorizzazione delle virtù muliebri per una scalata al successo da “civil servant” rigorosamente asessuato, severo e intransigente, benché prima dell’ideologia del politicamente corretto si poteva definire un carattere femminile l’indole gregaria e una manifesta subalternità ai poteri dominanti.

Non si potrebbe interpretare diversamente infatti l’ascesa inarrestabile  in diplomazia  prima, in svariati servizi presso ambasciate e in strutture dedicate della cooperazione, fino al trampolino più ambito, quello che le è valso l’ultima promozione al Dis fortemente voluta da Draghi, l’incarico a capo di gabinetto del Ministro degli Esteri Gentiloni.

Per carità anche chi diffida di certi valori, unanimismo, moderatismo, convenzionalismo, non può non compiacersi che venga evitato l’allestimento sul Colle di una riedizione del Satyricon di Fellini o del Caligola di Vidal.

Mentre chi considera molto meno pittoresco ma ben più pericolosa l’ascesa del vile affarista promosso a golpista in guanti gialli, del sicario pronto a convertirsi in beccamorto,  lo teme in tutte le sue collocazioni e non può consolarsi della consegna di un ruolo non solo formale a una marionetta con la feluca in testa, freddamente ma tenacemente compiacente, la cui qualità più appariscente è un’algida discrezione, talmente salda da diventare una cifra professionale, quella del perfetto vigilante impermeabile a considerazioni di carattere sociale, dello spione freddo e inattaccabile dai virus della comprensione e della solidarietà rispetto alle “vite degli altri” come si conviene di questi tempi, nei quali si considera doveroso concederle in gestione alle autorità che decidono se siamo meritevoli di appartenenza al consorzio civile.

Il fatto è che uno vale l’altro in questa partita giocata da attori esterni alla nazione, sia politici (Europa, Nato) sia economici (istituzioni finanziarie, multinazionali, mercati), che vogliono il loro fantoccio impagliato a fare da spaventapasseri a garanzia dei diktat che condizionano l’elargizione del prestito e che officiano la morte non solo apparente della democrazia e dei vincoli imposti dall’appartenenza all’entità sovranazionale e all’impero d’Occidente nelle sue declinazioni commerciali e militari.

Alla stampa ufficiale è permesso stare in loggione a guardare giù e a riferirci gli umori che vengono a bella posta fatti filtrare per rinnovare la mesta illusione del dialogo democratico, attraverso una comunicazione affine alle cronache dei periodici di gossip da leggere dal parrucchiere solo se si è in possesso del super Green Pass.

Qualcuno crede ancora che potrebbe fare la differenza la proposta di una qualche gran borghese di una volta, un super partes allevato nello stesso brodo di coltura ma che saprebbe opporre qualche resistenza alla svendita totale e incondizionata del Paese, estraneo alla marmaglia partitica, accettabile per cultura, carriera, educazione, ai padroni, ma il cui mito sia meno consumato di quello del commissario liquidatore  che ha mostrato di voler strafare, mettendo in difficoltà gli stessi mandanti.

In realtà non c’è nessuno che possieda queste caratteristiche. Non perché serva un superuomo che mostri un minimo sindacale di terzietà, un leader che possieda un carisma ormai non richiesto dopo l’avvicendarsi di mediocri figurine di cartapesta, ma perché non c’è figura che circoli nel contesto istituzionale che non sia posseduta dai demoni dell’ideologia totalitaria che si è incistata nelle teste di chiunque abbia un minimo di potere e di influenza. Tutte le candidature espresse dal basso e che ingenuamente vengono presentate suscitano il benevolo dileggio perché non possono esibire le referenze di subalternità, il curriculum di soggezione, la tessera di appartenenza al partito unico del nuovo fascismo. Sono segnate dalla diversità –  l’unica che non piace al sistema, che la cerca, la stana, la criminalizza, la emargina in nome della fede nella teocrazia antifascista, green e emancipazionista della maggioranza –  quella che dubita, si interroga, critica e si oppone.