Anna Lombroso per il Simplicissimus

Annunciando i contenuti della Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, il presidente del Consiglio aveva già mesi fa anticipato  che in futuro la spesa per armamenti e tecnologie militari sarebbe cresciuta significativamente.

Pur impegnato a combattere il nemico interno, insidioso, sleale e subdolo, il Governo potenzia la sua strategia di offesa e difesa come ordina il guardiano del mondo, ormai in preda ai suoi deliri da senescenza e come pretende l’apparato nazionale della Difesa incoraggiato a chiedere sempre di più grazie al ruolo ricoperto da un suo addetto nella campagna vaccinale-bellica in corso, con il valore aggiunto di una comunicazione marziale e una propaganda epica.

Per il 2022 il governo ha infatti stanziato oltre 25, 82 miliardi di euro per le spese militari, dei quali almeno 8,3 miliardi sono destinati ai nuovi armamenti. Rispetto al 2021 si registra  un aumento di oltre un miliardo di euro, con un incremento  del 73,6% negli ultimi tre anni (+3,512 miliardi rispetto ai 4,767 miliardi del 2019).

A beneficiarne saranno Marina Militare e Carabinieri, incaricati anche, come è noto, di provvedere a scortare  navi commerciali minacciate dalla pirateria, la prima, e di svolgere mansioni di controllo del territorio per contrastare i sediziosi  disertori del vaccino, ma soprattutto le strutture dello Stato Maggiore e del Segretariato Generale della Difesa, con un miliardo e duecento milioni di euro in crescita “determinati da stanziamenti per il procurement di nuovi sistemi d’armamento”. Apparentemente si registra una lieve missione nei capitoli di spesa relativi alle missioni all’estero, alle quali però concorrono altre risorse.

Non spreco neppure una riga per ricordare quello che qualsiasi cittadino sa ma che viene liquidato come uno stantio prodotto dell’antipolitica e del populismo, con la conta di quanti reparti di terapia intensiva, quanti defibrillatori, quanti autobus e treni per pendolari, quante aule, quanti alloggi per terremotati, quanti interventi per sostenere l’edilizia popolare, quante azioni di risanamento e tutela del territorio si potrebbero realizzare con quelle risorse. Mentre invece veniamo tassati individualmente e collettivamente per dare il nostro contributo di paese satellite pronto a prestarsi in forma di scudo umano alla salvaguardia della tragica megalomania dell’Alleanza, decisa a trasformare la guerra fredda in conflitto bollente.

E difatti qualche giorno fa puntualmente Manlio Dinucci ha informato che  fra poco più di tre mesi  inizierà negli Usa la produzione su larga scala della nuova bomba nucleare B61-12, come annunciato dalla U.S. Department of Energy’s National Nuclear Security Administration.

Man mano che usciranno di fabbrica, le nuove bombe nucleari saranno consegnate alla US Air Force, che le installerà nelle basi in Italia e altri paesi europei al posto delle B61, da dove potranno essere lanciate agevolmente sia dal bombardiere stealth B-2A e dal futuro B-21, sia da caccia a duplice capacità convenzionale e nucleare, tra i quali si annoverano gli F-16C/D statunitensi schierati ad Aviano e i Tornado italiani PA-200 schierati a Ghedi.

Si tratta di una localizzazione che risponde all’esigenza di utilizzare basi più prossime alla Russia ed è a motivo di ciò che sia il sito di Aviano che quello di Ghedi, dove possono essere schierati 30 caccia italiani F-35A, pronti all’attacco sotto comando Usa con 60 bombe nucleari B61-12, sono stati ristrutturati recentemente allo scopo di ampliarli e renderli più efficienti e all’altezza delle basi francesi, olandesi e presto anche polacche.

Perché un aspetto significativo della nostra totale subalternità al guardiano dell’Occidente in declino consiste non solo nell’acquisto compulsivo di prodotti tarocchi, ma anche nell’offerta generosa del nostro territorio oggetto di una occupazione militare che si sottrae a leggi e controlli nazionali e che ha l’effetto non secondario di esporci in prima linea a ritorsioni.

In un sussulto di grandeur il bonapartino in miniatura dell’Eliseo aveva denunciato questi rischi, facendo ipotizzare una seppur cauta presa di distanza della Nato. Ma come un barboncino ben pettinato è tornato alla sua cuccia, come dimostrano le scarse informazioni uscite dai riti della firma del trattato franco italiano dalle quali si evince che non ci accontentiamo di essere servi dell’imperatore, mettendoci al servizio del vassallo di Parigi, contribuendo al suo programma di modernizzazione e aiutando il cugino a potenziare la propria forza nucleare strategica e i relativi sistemi militari spaziali.

In quell’occasione è stato ribadito  che Italia e Francia si impegnano a «rafforzare le capacità dell’Europa della Difesa, operando in tal modo per il consolidamento del pilastro europeo della Nato» con l’auspicio, tante volte sottolineato Draghi, della costruzione di «una vera difesa europea, che naturalmente deve essere complementare alla Nato, non sostitutiva: un’Europa più forte fa la Nato più forte».

E in quel contesto i due partner si impegnano a «facilitare il transito e lo stazionamento delle forze armate dell’altra Parte sul proprio territorio» e a coordinare la loro partecipazione a «missioni internazionali di gestione delle crisi», in particolare nel Mediterraneo, Sahel e Golfo di Guinea, grazie anche a  un forte potenziamento della partecipazione di forze speciali italiane – con blindati, aerei ed elicotteri da attacco – alla Task Force Takuba, che sotto comando francese opera in Mali e paesi limitrofi, ufficialmente per la «lotta al terrorismo», in realtà per controllare una delle zone più ricche di materie prime strategiche sfruttate da multinazionali statunitensi ed europee.

Ma se questo sforzo bellico trova ulteriore giustificazione e legittimazione in quella moderna forma di colonialismo denominata cooperazione allo sviluppo e concorso al rafforzamenti istituzionale di paesi dai quali affamati, assetati e perseguitati scappano malvisti e rifiutati da chi ha dichiarato loro guerra, le missioni militari che i nostri corpi conducono in Estonia, Lettonia non hanno altra motivazione se non quella di mostrare i denti per conto del padrone alla Russia.

Viene in mente una frase di Huxley a proposito della distopia annunciata e che si sta puntualmente materializzando: «nel frattempo, naturalmente, potrebbe scoppiare una guerra biologica e nucleare di vaste dimensioni, nel qual caso avremo incubi di altro genere e difficili da immaginare».

Possiamo smentirlo purtroppo, visto che l’ipotesi non è certo remota: si sa che una tirannia per consolidarsi non solo in virtù di minaccia, repressione, persecuzione dei dissidenti, conta anche sul consenso di chi le si affida cercando protezione da un nemico che lo stesso regime dispotico ha creato in modo da giustificare la sua guerra.

E difatti pare che non basti la campagna interna, i cecchini che sparano sui clienti dei supermercati e dei caffè, le milizie del giorno e della notte che scelgono a caso vittime esemplari e dimostrative, i padroni che conferiscono in trincee dove si muore  più che per il Covid quelli che si mostrano disponibili a qualsiasi rinuncia fino all’apoteosi del crumiraggio.

La loro Ricostruzione esige che si distrugga in firma epica e totale, in modo che dalle rovine, dai campi insanguinati, dalle città devastate si  manifesti il prodigio distopico del loro Grande Reset.