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Imitazione di uno sciopero

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Esibiti come esemplari ormai rari, da tutelare e in via di estinzione, in qualità di interpreti di uno spot di Pubblicità Progresso hanno sfilato in piazza sfidando il disappunto del governo sotto le  le bandiere azzurre della Uil e rosse della Cgil, i protagonisti delle crisi aziendali degli ultimi mesi, Gkn, Caterpillar, Whirlpool, Embraco, AirItaly, e poi i pensionati, gli studenti di Rete della Conoscenza, Unione degli studenti e Link Coordinamento Universitario, lo stagista Marco, l’iraniano Ramin in Italia da 40 anni  e perfino Giuseppe il farmacista che  ha aderito alla protesta perché «ci sono troppe disuguaglianze nel Paese».

Ce lo racconta la Repubblica in un piè di pagine che offre la maggior parte dello spazio ai dati di  Confindustria: adesione tra le associate «ben al di sotto del 5%» e al suo presidente che cita Jannacci a sottolineare che se lui e il re Travicello non gioiscono quando un lavoratore perde il posto, è inspiegabile il tradimento dei collaborazionisti sindacali che non ammettono lo sforzo della controparte che ragionevolmente ha deciso, vista l’emergenza, di convertire la contrattazione in consultazione postuma.

Tutto concorsa nel dar ragione a chi ha interpretato la sedicente rottura come un atto della commedia dell’arte, con i combattenti che la sera prima all’osteria si mettono d’accordo, affilando le spade di cartone, ripetendo la parte da leggere sul gobbo di piazza del Popolo e nelle interviste ai giornaloni.

Ma mica vi aspettavate davvero che i due sindacati  scegliessero la trincea  della impugnazione della legge Fornero, diventata festosamente Fornero bis con il rientro tra i consigliori di mammasantissima della sua promoter, o si battessero contro gli sviluppi dello sblocco dei licenziamenti.  Pensavate che avrebbero trovato le parole d’ordine coagulanti il dissenso sul carovita, sulla campagna di privatizzazioni, a cominciare da quelle dei servizi pubblici. O credevate davvero che la “piattaforma” contenesse una protesta per gli assassinii sul posto di lavoro, o per i crimini contro la libertà di espressione e manifestazione, contro il ripetersi di atti di repressione poliziesca, o contro l’instaurazione di un’apartheid che ha scelto come teatro della discriminazione le fabbriche, gli uffici, le scuole?

Magari qualcuno ingenuamente aveva sperato che i dirigenti sindacali abiurassero i dogmi dell’Europa riformabile e manifestassero la loro opinione di parti in causa sul Pnrr che stanzia una pioggia di quattrini sulle imprese strutturate, consolidate, già forti e meglio connotate da rassicuranti presenze straniere che invogliano Cassa Depositi e Prestiti a fornire aiuti supplementari e  che già nel primo anno assegna oltre 1,7 miliardi, dei 14 stanziati, per il piano di incentivi alle imprese Transizione 4.0  più un miliardo e duecento milioni per il  rifinanziamento del fondo 394 per l’export gestito dalla Simest.

Quando al tempo stesso si riduce il budget per gli ammortizzatori, quello per il reddito di cittadinanza, quando le riforme, condizione obbligata per accedere ai fondi si allineano alle indicazioni date in ripetute occasioni  dalla Trilateral Commission che da  sempre raccomanda il contrasto  agli eccessi della democrazia, limitando le pretese del ‘demos’ e silenziandone i bisogni, grazie a un processo favorito dal susseguirsi di crisi, fino a quella sanitaria, che ha fornito il pretesto per la sospensione delle regole legittimando il ricorso  a  forme di governo arbitrarie e forzate.

Non si è avuta notizia se i due partner abbiano avviato una trattativa con i sindacati di base per assicurarsi una temporanea ed estemporanea alleanza,  non avremo i numeri della partecipazione, compresi quelli delle Questure che si sono già impegnate per direttamente per la reputazione della Cgil, certo è che questo sciopero al quale ci siamo sentiti costretti a partecipare ha l’amaro sapore di una pantomima, con i figuranti in abiti tradizionali, le tute blu o i giacconi dei pensionati distratti adi tornei di bocce, ugualmente legittimati alla protesta, ma usati come la claque dei talkshow controllata dall’applausometro.

In quelle piazze non c’erano gli invisibili, il nemico pubblico n.1, i no green pass vittime della discriminazione, il personale sanitario ancora una volta dimenticato dalla manovra e dal prestito del racket comunitario, rabbonito dall’omaggio quotidiano agli eroi in camice, i precari, i part time, le donne che dovrebbero sentirsi appagate dell’opportunità di dividersi tra pc e fornelli, come quelle che negli anni ’50 e ’60 si spartivano tra macchina da maglieria e campi, i rider, i dipendenti di Amazon che fanno la pipì in bottiglia e dormono in  camper.

Si, non c’erano i   lavoratori delle piattaforme digitali, non ancora raggiunti, chissà come mai, dalle notizia che la Commissione  ha approvato il pacchetto lavoro tra le cui misure portanti c’è il riconoscimento che la loro funzione è  lavoro subordinato a tutti gli effetti, interessando solo in Italia almeno un milione e mezzo di cittadini. Ma vedrete che diventeranno anche loro un target da intercettare per una sindacalizzazione che rappresenta la superficie, i ceti spendibili in una trattativa collaborazionista, i dotati del doppio patentino, tessera e supergreen pass, ambedue documento di identità del collaborazionismo.

 

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