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Assange, una condanna a morte per la nostra libertà

Anna Pulizzi per il Simplicissimus

La condanna a morte di Assange, una volta rinchiuso a vita in una gattabuia americana ma anche adesso mentre attende nell’anticamera di sicurezza britannica, costituisce l’oltraggio definitivo alla libertà di informazione, che siamo abituati a riconoscere come uno dei pilastri portanti della democrazia. Tale asserzione è tuttavia incompleta se si dimentica il fatto che quel pilastro non ha mai sostenuto altro che la facciata malamente dipinta di un sistema che si regge propagandando una presunta e illusoria superiorità morale e civile. Naturalmente nella vicenda Assange si evidenzia un accanimento brutale del potere e l’evidente intenzione intimidatoria verso chiunque si ostini ad interpretare il giornalismo come indagine e diffusione della verità, invece di farne il noioso trantràn dell’araldo prezzolato. Ma secondo alcuni tale belluino e terroristico modo di reagire alla divulgazione di notizie scomode rivelerebbe tutta la debolezza di un regime a cui finalmente cade la maschera mentre si appresta a seppellire un innocente. E qualcuno potrebbe quindi pensare che d’ora in avanti il madrigale su mondo libero e diritti umani e libertà d’espressione etc avrà sempre meno cantori.

Si possono tuttavia leggere questi eventi anche in termini assai più foschi. Julian Assange è un martire e coloro che lo perseguitano ne sono perfettamente coscienti, ma evidentemente la cosa non turba i loro sonni. Non è nemmeno l’unico nel suo genere, a dire il vero: Edward Snowden si è salvato per un pelo e si trova da otto anni in esilio in Russia, uno dei pochi posti in cui non vi è un governo disposto a venderlo ai suoi carnefici. Chelsea Manning è stata rinchiusa per sette anni in luoghi caratteristici del filone cinematografico horror-carcerario, mentre i notiziari si diffondevano più che altro sulla sua transizione di genere. Ma questa è solo la punta visibile di una realtà disumana fatta di lavori forzati, detenzione di innocenti, carceri private, esperimenti medici illegali, torture su minori e disabili, classici effetti collaterali della giustizia nella sua declinazione liberista. Tutto ciò non è un mistero ma finisce per ridursi ad un insieme di dettagli trascurabili in quanto trascurati dall’apparato di informazione, che pochi giorni fa esortava a festeggiare la liberazione di Patrick Zaki in Egitto nello stesso momento in cui veniva strangolata l’ultima flebile speranza per Assange.

Allora c’è da chiedersi se il sistema agisce in questo modo perché incattivito dalla vista della propria debolezza, come alcuni ottimisti ipotizzano, o se invece può permetterselo perché ha le spalle fin troppo larghe, perchè nei parlamenti occidentali non esistono soggetti politici che incarnano una volontà di alternativa strutturale all’attuale modello economico, né forze sociali che possano frenarne gli abusi. Sentiamo dire spesso che la ferocia è sintomo di vulnerabilità, mentre sappiamo bene che può essere anche manifestazione di chi non teme le conseguenze del proprio agire. Non penso che la disumanità dei lager derivasse da una vaga percezione di fragilità da parte del governo nazista ed è più probabile che vi fosse invece la volontà di esibire la sopraffazione nei suoi caratteri più assoluti. E così a naso mi viene da aggiungere che la storia secondo la quale la brutalità esprime sempre insicurezza è talvolta una sorta di autoconforto per chi non ha abbastanza mezzi per opporvisi. Allo stesso modo, dubito che il regime statunitense si accanisca contro Assange da oltre un decennio solo perché lo teme nelle vesti di uomo libero o per la necessità di terrorizzare i propri funzionari addetti al maneggio delle informazioni riservate. Certo anche l’aspetto deterrente ha la sua importanza, ma tutti quanti sappiamo che le rivelazioni di WikiLeaks hanno purtroppo avuto un impatto relativo e diciamo pure trascurabile sugli assetti politici, anche se ciò nulla può togliere al coraggio di chi ha rischiato la vita per fornire informazioni.

Grazie a costoro i popoli europei hanno saputo che le loro cancellerie erano e forse sono ancora regolarmente spiate dai servizi americani, ma ciò non ha influenzato le loro scelte elettorali e nemmeno ha indotto i governi interessati ad elevare qualcosa di più di qualche fugace reazione dal tono falsamente sdegnato. Si è altresì appreso che i soldati americani in guerra continuano a comportarsi come i loro padri in Vietnam (o se si preferisce come i loro trisnonni nel selvaggio west), che uccidono volentieri i civili e torturano gente presa a caso. Si è saputo delle trattative segrete per imporre trattati-capestro ai paesi vassalli e in particolare il Ttip, il Tisa e il Ttp. Si è saputo di operazioni segrete svolte ai danni di una lunga serie di paesi e che l’aggressione alla Siria era stata pianificata fin dal 2004. Se c’è stata indignazione a fronte di queste ed altre rivelazioni, essa non ha contribuito ad allentare nemmeno di un poco il livello di subordinazione tra l’ombelico dell’impero d’Occidente ed i suoi vassalli. Gli eventi degli ultimi decenni dimostrano invece che è avvenuto il contrario e mai come oggi le cancellerie europee sono state genuflesse e complici degli interessi e delle mire geopolitiche d’oltreoceano. La stessa detenzione di Assange per così lungo tempo in un paese che non può muovergli alcuna accusa sarebbe risultata un tempo problematica, oltre che surreale.

A voler essere giusti occorre anche chiedersi se le rivelazioni di WikiLeaks sulle e-mail private di Rodham-Clinton abbiano favorito in modo determinante la sua provvidenziale sconfitta alle presidenziali del 2016 o se essa sarebbe avvenuta ugualmente, ma in sostanza ci muoviamo oggi all’interno di un panorama molto diverso da quello della seconda metà del secolo scorso, quando rivelare le porcate o anche solo l’ipocrisia del potere poteva produrre conseguenze visibili sul piano politico. Nixon cadde in seguito a rivelazioni giornalistiche e nel ritiro degli americani dal Vietnam giocò un ruolo anche l’opinione pubblica americana. Quarant’anni dopo la senatrice Clinton può proporre seriamente di uccidere Assange mediante l’utilizzo di un drone e gioire in mondovisione la truculenta eliminazione di Gheddafi, quindi candidarsi alla presidenza e sfiorare la vittoria, tra l’altro ottenendo più voti del rivale.

Oggi questo sistema appare debole tanto quanto lo sembravano i fascismi europei negli anni Trenta, cioè durante il loro apogeo, quando non si intravedeva ancora nulla che potesse contrastarli se non l’immagine della loro natura distruttrice ed autodistruttiva. L’assassinio di Assange è iniziato tanto tempo fa, quando abbiamo iniziato a farci sottrarre il diritto al lavoro e quindi alla sopravvivenza, alla sicurezza e alla fiducia nel domani. Tutte cose che sembrano davvero lontane oggi che addirittura si baratta l’habeas corpus per una serata in pizzeria. A questa deriva che certamente finirà anche se sembra senza fine, il diritto alla verità non poteva certo sopravvivere.

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