Anna Lombroso per il Simplicissimus

Quante volte in questi anni, non appena si scoprivano gli altarini di qualche personalità in vista, come se non bastasse l’umiliazione di essere stati presi per i fondelli da miserabili cialtroni,  ci toccava anche sentire le  lagnanze degli “investiti” dalla macchina del fango, la difesa della privacy oltraggiata, la pretesa di risarcimento elettorale oltre che economico per l’ingiuria subita.

Perché si sa che la tutela della reputazione vige in regime di esclusiva per quelli che dagli anni ’50 in poi si sono chiamati Vip, mentre la gente comune è necessariamente esposta a ogni sorta di violazione, oggi più che mai legittimate dalla convinzione che sia inevitabile l’applicazione della legge del contrappasso virtuale: vuoi esibirti sui social, vuoi le app per lo sconto al ristorante, vuoi la rintracciabilità e identificazione dei disertori no green pass e allora  l’effetto collaterale è che anche tu sei controllato e  ti esponi volontariamente ad essere sorvegliato, ridicolizzato, derubato.

E difatti mentre Renzi, più che mai sfrontato e impunito, tuonava e “adiva”  per l’accusa di finanziamento illecito, grazie al tracciamento di generosi bonifici, facendo ricorso alla paccottiglia complottista delle divinità del suo Pantheon da Craxi a Berlusconi, i povericristi percettori di reddito di cittadinanza hanno subito un crescendo di diffamazione, per via della rivelazione non sorprendente delle performance di alcune mele marce che hanno commesso frodi con la stessa spericolata rivendicazione di immunità del principe della Leopolda. A conferma che perfino lo stilema “mele marce” può essere usato in forma di monopolio dal ceto dirigente composto di frutti integri e immuni da qualsiasi verme, mentre noi straccioni saremmo antropologicamente esposti al contagio e alla putrefazione generalizzata.

Difatti come era prevedibile nessuno in alto ha preteso che l’indagine fosse estesa alle falle dei sistemi di controllo fiscale, che avevano permesso che fior di commercianti e professionisti accedessero all’aiuto di Stato, né più né meno di multinazionali, aziende delocalizzate, grandi imprese collezioniste di crimini e fallimenti.

Lo scandalo è stato quindi l’occasione per dare seguito alle preoccupazioni di una vasta platea di opinionisti e decisori, tra i quali lo stesso Renzi, che da tempo protestano per lo sconsiderato sperpero in pietas e compassionevole elemosina elargita a nullafacenti, diseducativo oltre che deleterio perché incrementa l’esercito dei fannulloni e dei parassiti.

E in men che non si dica ecco pronta la ragionevole riforma nel solco delle 528 condizioni dettate dall’Europa per concederci l’elemosina cravattara che dovremo rendere con lacrime, umiliazione, peggio dei pelandroni del reddito. A redigerla, la solita task force, presieduta dall’immancabile cartonato a figura intera  incaricato di fare da prestanome e paravento a qualche nuova iniquità, e incarnato stavolta dalla sociologa Saraceno, una lunga carriera con incursioni movimentiste e femministe mondate da una sostanziale condiscendenza nei confronti dei principi e valori dominanti, come è d’abitudine per questi intellettuali che limitano la condanna alla superficie, in modo da ridurre qualità e portata delle lotte in modo da oscurare quella di classe.

E difatti è spettato a lei spiegare i contenuti della proposta di doverosa revisione del sistema e mirata a rendere le regole e criteri  più stringenti e severi, irrigidendo i controlli per ostacolare le frodi, certo, ma anche al fine di dissuadere  giovani e donne che così si convincerebbero a entrare nel mercato dei part time, del cottimo, del caporalato, dei lavoretti stagionali.

E c’è da confidare nel successo di quella gamma di misure pensate per scoraggiare i già avviliti e umiliare i già mortificati: le 10 azioni prevedono infatti alcune concessioni elargite a soddisfazione della coscienza sporca progressista sotto il titolo di “meno paletti per gli immigrati”, quella a elevato contenuto satirico, come l’abolizione dell’obbligo di spendere  l’intero reddito entro il mese successivo alla percezione, “in modo da favorire il risparmio, in previsione di spese future”, una a dimostrazione di una generosa benevolenza permettendo addirittura “un cumulo parziale tra reddito da lavoro e sussidio”, in modo da non penalizzare chi accetta un’offerta “considerando il volume del reddito da lavoro solo per il 60%”. E poi  un’altra a beneficio dei nuclei familiari numerosi per i quali si propone l’abbassamento a 5400 euro della soglia di partenza ed un miglioramento della scala di equivalenza equiparando minori ed adulti, ma con una inevitabile ritorsione contro “i nuclei di una unità con la riduzione della soglia di partenza da 6000 a 5.400 euro”, a conferma della consolidata usanza tradizionale in vigore tra i padroni,  che se concedi qualcosa a un poveraccio, è un altro poveraccio a dover pagare.

Il fatto è, secondo la Commissione,  che la motivazione umanitaria che ha dato il via all’erogazione monetaria prima di provvedere a mettere in grado i servizi – centri per l’impiego, servizi sociali territoriali – di far fronte ai nuovi compiti loro assegnati, “ ha fortemente disallineato sostegno pecuniario,  iniziative volte all’ integrazione sociale e di accompagnamento al lavoro, e doverose  azioni controllo” cui andava aggiunta la corretta “individuazione” dei “veri” poveri, secondo indicatori severi che li distinguano, viene da pensare,  da malmostosi accattoni, grazie alla valutazione, per chi possiede i requisiti, delle risorse disponibili (reddito, ricchezza mobiliare e immobiliare) ai fini della determinazione dell’entità del sostegno.

Chissà se sono loro oggetto delle 89.956 revoche del beneficio avvenute nei primi 9 mesi dell’anno, o della decadenza del diritto per 243.845 nuclei che non possono usufruire dell’aiuto munifico il cui importo ammonta a 577,33 euro per il Reddito e 273,53 euro per la Pensione di Cittadinanza.

Anche l’elargizione di un aiuto micragnoso in un Paese dove le remunerazioni sono ferme a trent’anni fa, dove non esiste il salario minimo garantito, dove via via sono state cancellate conquiste e garanzie  e in vent’anni sono state licenziate almeno cinquanta norme che favoriscono la precarietà, dove si sta tornando a un sistema previdenziale feroce che condanna milioni di lavoratori, dove giovani e donne vivono l’ingresso nel mondo del lavoro come la soggezione a ricatti schiavistici, è diventata un problema di carattere “legale” e di ordine pubblico che impone prima di tutto di rendere la maglia dei controlli e i criteri e requisiti per accedervi più stretta e scoraggiante.

A cominciare dalla stretta prevista sulla risposta alle offerte di lavoro congrue, il cui rifiuto ripetuto fa scattare sanzioni e condiziona l’erogazione del reddito, senza che venga stabilito il volume o almeno un tetto per quella “congruità”, che torna alla ribalta ogni primavera, quando inizia la campagna di denigrazione condotta da datori di lavoro nei confronti dei bamboccioni indolenti che rifiutano laute offerte di 500 euro al mese, preferendo l’avvilente elemosina.

Il Fatto quotidiano proprio oggi segnala l’aleatoria arbitrarietà dei criteri cui si sarebbe ispirata finora la valutazione delle posizioni offerte dalle aziende, delegata ai navigator sulla base di indicazioni opache delle regioni, e come qualsiasi ipotesi di razionalizzare la materia in modo trasparente sia già annullata all’origine dalle modifiche in legge di bilancio, che  impongono l’obbligo ai beneficiari di recarsi ogni mese nei centri per l’impiego, pena lo stop al sussidio.

Intanto il primo risultato immediatamente valutabile degli interventi pensati per riformare il sistema è la retrocessione dei 2500 navigator a potenziali aspiranti al sussidio: la manovra di bilancio non proroga il loro incarico che scade a dicembre e al loro posto, ha dichiarato Brunetta, “ci penseranno le agenzie private”,  cui viene riconosciuta la provata competenza in materia di strategia anti-povertà.

Tutto congiura nel confermare che i poveri si meritano la loro condizione e la condanna a essere ricattati, intimoriti e umiliati, e  che possono  affrancarsi da quel destino di mortificazione e di accattonaggio solo scegliendo quello della schiavitù.