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La gatta sul virus che scotta

I coronavirus sono sempre stati diffusi non solo nell’uomo, ma anche negli animali domestici e da fattoria e, naturalmente, anche negli animali che vivono allo stato brado tanto che  SARS-CoV-2 e varianti sono stati rilevati in visoni, roditori di vario genere e diversi animali da zoo, tra cui puma, gorilla e leopardi delle nevi. In un articolo pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases, i ricercatori dell’Università di medicina veterinaria di Hannover hanno esaminato la diffusione della malattia nei gatti domestici in Europa dopo aver raccolto tra aprile e giugno 2020, 2000 campioni di siero da gatti viventi in Europa tra cui 333 in Italia: 25 campioni sono risultati positivi al coronavirus. Complessivamente, la sieroprevalenza (la proporzione di animali con anticorpi per SARS-CoV-2)  è stata del 4,2% in Germania, del 3,3% nel Regno Unito, del 4,2% in Italia e del 6,4% in Spagna. Poiché la maggior parte delle infezioni da COVID-19 nei gatti ( e del resto anche nell’uomo) è lieve o asintomatica e ci sono poche prove di infezione da gatto a uomo, è probabile che la malattia sia stata trasmessa per la prima volta dall’uomo ai gatti attraverso un evento zoonotico.

Ora tutto questo può sembrare appena una pura curiosità e invece dimostra due cose basilari: la prima è che il tentativo di eradicare del tutto il virus attraverso le vaccinazioni – il famoso Zero Covid – risulta  del tutto impossibile perché il virus è diffuso in tutto il mondo animale e dunque rimane comunque in circolo. Di fatto è possibile eradicare un virus o un batterio solo se questi colpiscono o abitano esclusivamente l’uomo e questo fa venire meno una delle giustificazioni chiave per il tentativo folle di imporre vaccinazioni universali. La seconda è che se i gatti e di fatto gli animali con cui molta parte della popolazione umana è in stretto contatto brulicano di coronavirus che mutano e passano facilmente da una specie all’altra, non è assolutamente strano che si sia diffuso uno di questi agenti patogeni addirittura da un pipistrello  che vive in una grotta nel sud est della Cina, tra l’altro lontana più di mille chilometri da Wuhan? Non è che quei virus sono diffusi perché c’è stato chi per anni ci ha “giocato”  nei lavoratori con il pretesto di trovare l’eventuale cura a un eventuale passaggio di un virus dai chirotteri all’uomo? O forse per altri e inconfessabili scopi? 

Questo fatto marginale illumina tutta l’incoerenza e la pretestuosità della narrazione che ci viene ammannita, ma ancora più sorprendente è che ricercatori che si trovano di fronte a questi risultati non si accorgano nemmeno di stare passeggiando nel mondo di Alice e non vedono nemmeno delle cose più evidenti. O forse fanno finta per non incorrere nelle ire di big Pharma. Alcuni ricercatori che hanno fatto la ricerca sui gatti suggeriscono infatti di interagire con questi felini mettendo la mascherina che peraltro dovrebbero portare anche i gatti. Ma dai! Quando si parla di crisi cognitiva si parla proprio di queste forme di idiozia.  

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