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Draghi, il faro della peggio Italia

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Sarebbe davvero ora di abbattere gli idola dell’ideologia dominante e  fare piazza pulita dei suoi miti fondativi: concorrenza, meritocrazia, semplificazione, dei quali abbiamo imparato a nostre spese ma mai abbastanza, che sono funzionali a incrementare disuguaglianze e divisioni,  a generare gerarchie arbitrarie e conflitti cruenti mettendoci gli uni contro gli altri.

L’ultimo consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sulla concorrenza, inteso, ha proclamato inorgoglito Draghi anche nell’inedita veste di bagnino, ad avviare un processo di trasparenza punitiva del comportamento antisociale  di alcune categorie che da anni minano lo sviluppo del Paese per difendere miserabili privilegi, “mappando, ha minacciato, tutte le concessioni in essere, come quelle relative alle spiagge, alle acque minerali e termali, alle frequenze».

Tremano i tassisti, palpitano i farmacisti colpiti  negli affetti meno cari, quei medicinali generici che rappresentano una quota marginale dei profitti loro e delle case produttrici, si angustiano i notai dei quali viene limitata la possibilità di esercitare su tutto il territorio nazionale.

Respiro di sollievo invece per i gestori di discariche e per le imprese dell’import export dei rifiuti, brand di punta dalle cosche, grazie al blocco delle autorizzazioni per la realizzazione di nuovi inceneritori e giubilo dei padroncini degli stabilimenti balneari che possono godere di una indulgenza inattesa e insperata grazie al perpetuarsi della felice  condizione di illegalità ripetutamente contestata dalla Commissione europea e certificata praticamente da tutte le giurisdizioni italiane – dal Tar alla Corte costituzionale – e dalla Corte di Giustizia dell’Ue. 

Già in quel “mappare” citato dal presidente c’è tutta la portata politica e morale del provvedimento che ben lungi dal penalizzare comportamenti consolidati di soggetti strutturati che agiscono in regime di esclusiva, va a grattare il fondo del barile dei soliti noti, quelle lobby, pecore nere indagate senza gran risultato da Monti nella duplice veste di commissario e premier, che a cadenza regolare sono indicate come doveroso capro espiatorio per distrarre l’attenzione da potentati incontrastabili.

Non a caso si tratta di categorie economiche e commerciali la cui attività è alla portata di tutti, quelli   che si lagnano che a Natale non si trova il taxi o le vittime di liscia, gassata o…, per avviare un processo di vigilanza attiva delegato ai cittadini che sulla base del monitoraggio effettuato dalle autorità di sorveglianza: GdF? Agenzia delle entrate? Inps, Inail? potranno verificare quanto ciascun concessionario paghi per esercitare la sua attività, in modo da contribuire a denunciare e contrastare “la scarsa redditività per il governo (non per lo Stato, n.d.r.) della maggior parte delle licenze”.

Insomma, come informa con entusiasmo la stampa ufficiale,  veniamo incaricati di svolgere un’attività di controllo e a esprimere il parere in veste di “clienti”, non sulla qualità dei servizi dunque,  bensì sulla loro produttività e il loro contributo al bilancio pubblico, sul quale non abbiamo alcun titolo, essendo esclusi dal processo decisionale.

Immagino la soddisfazione generale per questa estensione della pratica della delazione a norma di legge, reintrodotta in occasione della pandemia, e con risultati ancora minori, vista l’assoluta assenza nel nostro Paese di soggetti e di una cultura che tuteli i cittadini prima ancora che i consumatori. e tanto per non dar luogo a equivoci, nei comparti davvero influenti, quelli che riguardano la nostra quotidianità, restano intatte le aree inviolabili, quelle soggette alla pratica negoziale, alla trattativa opaca Stato, o meglio Governo in carica, e Regioni ormai diffusa in tutti i settori, quella che ha fatto dell’urbanistica la pratica concertativa tra amministrazioni pubbliche e rendite, immobiliaristi, imprese del cemento e speculatori dove hanno il sopravvento i secondi.

Valgono, in perfetta coincidenza con i principi ispiratori della manovra di bilancio che prevede la cessione dei servizi a rilevanza economica dai Comuni al mercato e alcuni “laboratori” sperimentali regionali, l’Emilia Romagna ad esempio che ha affidato il servizio idrico ai privati fino al 2027,  le norme per incentivare il ricorso alle gare nel trasporto pubblico locale e regionale e nella gestione dell’acqua, in aperto contrasto con il pronunciamento referendario del 2011.

Che ogni azione dei satrapi si muova nella direzione delle liberalizzazioni e privatizzazioni non solo è evidente, ma viene rivendicata e  propagandata come doveroso atto di fede nella teocrazia del mercato  e deferente omaggio alla sua casta sacerdotale alloggiata nei templi di Bruxelles, anche a leggere il Pnrr,  quando sottolinea l’improcrastinabilità di adottare “specifiche norme finalizzate a imporre all’amministrazione una motivazione anticipata e rafforzata che dia conto del mancato ricorso al mercato” in nome dell’equivoco che dietro alla leggenda che così si potrebbero smantellare  monopoli troppo garantiti e le clientele, ha legittimato la consegna di settori di interesse generale a “soci” criminali,   come nel caso di  Autostrade, con gli 11 miliardi di utili per Benetton & soci, a fronte degli aumenti  delle tariffe, dei risparmi e della negligenza nella manutenzione, del dirottamento delle risorse per la sicurezza verso utili azionari della dinastia Benetton.

E come spettarsi che la stampa padronale, cioè tutta senza esclusione, non si compiaccia dei questo riavvio in grande stile dell’austerità che il governo Draghi dovrà attuare dal 2023 (quando il patto di Stabilità tornerà cogente), e che da un lato legittima i tagli ai settori pubblici,  l’affidamento dei servizi fondamentali a aziende private, la semplificazione nelle procedure di appalto che consente di sottrarsi alla sorveglianza della qualità dei materiali, dell’efficacia e dell’efficienza, oltre a autorizzare la contrazione del costo del lavoro che si tradurrà in riduzione orarie, salariali e contributive e, purtroppo, qualche morto in più, dall’altro penalizza cittadini, consumatori e utenti abbassando la qualità delle prestazioni e aumentando i costi delle tariffe, se questa visione aberrante della competitività interessa anche l’informazione.

Basta pensare alla greppia che il Governo ha messo a disposizione delle emittenti Tv e radiofoniche, Rai e competitor alla pari,  con i 50 mln di euro del 2020 seguiti da altri  20 mln per distribuire  mandare in onda   gli spot governativi sulla campagna vaccinale, in modo da fornire messaggi univoci affidati ai profeti e testimonial del “discorso unico”, attori, cuochi, influencer, festosamente posseduti dei demoni dello scientismo appreso su twitter.

C’è proprio un intreccio malefico tra i “valori” dell’ideologia dominante e in particolare tra quelli del Merito e quelli della Competitività, che deve tradursi in rivalità, concorrenza sleale, arrivismo, qualità che mettono in condizione di meritarsi un posto al sole. Così l’inclusione sociale, che non può prescindere da affiliazione, fidelizzazione e conformismo, è condizionata e discende direttamente  dall’inclusione nel mercato.

Mai come in questi quasi due anni questa visione si è imposta,  concependo la tutela della persona, dei suoi diritti e della sua persona,  come protezione del consumatore, del cliente delle strutture ospedaliere e dell’offerta farmaceutica che non è gratuita, proprio come i tamponi imposti ai disertori che pure hanno contribuito con le tasse al bilancio statale.

E difatti il green pass ha da subito dimostrato di essere una tessera a punti, che permette alla clientela affezionata in cambio del consumo di vaccini, une, due, tre dosi a crescere, di accedere alle premialità, quelle licenze elargite come concessioni, quelle merci, dal lavoro all’istruzione, dalla cultura all’assistenza, qui beni dei quali siamo stati via via espropriati.

 

 

 

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