Come sempre le costruzioni di puro potere anche se si ammantano di ideali finiscono per cadere in profonde contraddizioni e alla fine mostrano la loro vera natura in una esplosione pirotecnica di ipocrisia . E’ quello che sta succedendo in Europa con la questione polacca che in realtà costituisce solo l’occasione o se si vuole il pretesto per Bruxelles di ribadire l’assoluta prevalenza del suo diritto e delle sue decisioni ancorché i trattati firmati da alcuni stati,  escludano talune materie, la giustizia per esempio come per l’appunto è successo con la Polonia. Ora in un momento nel quale i cittadini del continente sono praticamente stati fatti prigionieri, privati dei diritti fondamentali mentre in qualche stato come la Germania  i giudici che danno ragione alle loro istanze vengono ricattati, questa attenzione agli assetti della magistratura e alla sua autonomia in Polonia  mostra la doppiezza dell’Europa e ci fa intuire che lo scopo della querelle è quello di evitare che di fronte alla tempesta che ci aspetta qualche Paese cerchi di sfuggire alla morsa della Ue. E’ insomma una esibizione muscolare che ha ben poco a che vedere con la questione in sé, ma che però rischia di essere alla fine di mostrare tutte le debolezze reali della Ue.

Ma per spiegare ciò che intendo proverò a riassumere in poche righe la vicenda che spesso è trattata in maniera assolutamente partigiana e assolutamente fuorviante dalla grande stampa: tutto nasce  dalla riforma della giustizia varata dal governo del premier Mateusz Morawiecki e dal PiS, partito che al Parlamento europeo guida il gruppo dei Conservatori e riformisti (Ecr), ovvero la vecchia “casa” politica dei Tory britannici pro-Brexit il che in sostanza già fa intravedere a un movente politico più che giuridico – istituzionale. I giudici della Corte Ue, hanno giudicato incompatibile con l’ordinamento europeo  la riforma della giustizia  polacca che introduce un nuovo organo disciplinare  con il potere di sanzionare, destituire o trasferire contro la sua volontà qualsiasi giudice del Paese. E la nomina dei suoi componenti, con la riforma, è largamente in mano al potere politico. Che questo riduca l’autonomia della magistratura dal potere politico non c’è alcun dubbio, ma ciò che dobbiamo esaminare è se questo non accada in altri Paesi dell’Ue. E vediamo che invece accade eccome. Sappiamo che in Italia c’è il Consiglio superiore della magistratura, formato per un terzo da rappresentanti nominati dal parlamento dunque in qualche modo raccordati alla politica, ma l’Italia è anche il Paese dove la magistratura è più autonoma, almeno sulla carta. In Francia e in Germania  per esempio i pubblici ministeri che hanno una carriera a se stante, dipendono direttamente dal ministero della giustizia o addirittura dell’interno e dunque sono totalmente in mano al potere al potere politico e possono eventualmente indagare altri giudici. Questa è una maniera molto più diretta rispetto all’organo disciplinare polacco di sottomettere il  potere giudiziario al potere politico, anche se formalmente i magistrati giudicanti sono indipendenti. Questo per non dire che in tutti i Paesi del Nord Europa che aderiscono alla visione giuridica del common law i giudici vengono selezionati con il coinvolgimento di autorità politiche.

A questo va aggiunto il fatto paradossale che i giudici della Corte Ue che ha sede in Lussemburgo, sono tutti di nomina politica da parte dei governi membri, dunque riproducono ed esaltano al massimo grado le situazioni che condannano. Cosa questa da non prendere solo come apologo rappresentante l’ipocrisia del meccanismo europeo, perché si può legittimamente ritenere che le sentenze di questa corte abbiano più un valore politico che giuridico e che in virtù di questo ” peccato originale” potrebbero essere considerate invalide proprio alla luce delle concezioni di autonomia della giustizia nello stato di diritto che dovrebbero regnare nella Ue.

E’ chiaro che in Europa a nessuno importa davvero l’autonomia della magistratura e che anzi il potere giudiziario, in quanto riferito a un ordinamento in qualche modo autonomo dalla prassi economica è qualcosa di molto scomodo, ma si è voluta creare una questione “formale” per ribadire la totale caduta di sovranità degli stati laddove in realtà molti ordinamenti non prevedono cessioni, ma solo limitazioni della sovranità stessa con limiti invalicabili e che alle brutte questo potrebbe essere fatto valere dagli stati membri. Probabilmente Bruxelles pensava di avere la vittoria in tasca, ma ha sbagliato i calcoli perché  la Polonia non ha l’euro e dunque non è così facilmente ricattabile come altri e così l’Europa  così adesso si trova a dover ingoiare le parole della sentenza dei giudici costituzionali polacchi  “sono possibili le seguenti conseguenze: modifica della Costituzione, modifica della legge europea o uscita dall’Unione europea”. Il fatto stesso che queste parole siano state pronunciate è una chiara sconfitta per  Bruxelles, perché è la prima volta che viene lanciato un guanto di sfida di questa natura. Probabilmente l’Ue chiederà in cambio di qualche beneficio qualche modifica marginale al testo della riforma, tentando di far credere a una propria vittoria. Ma nessuno può sul serio pensare che questo non sia l’inizio della fine.