Una delle cose che più mi ha rincuorato è stata la reazione dei portuali di Trieste all’arrivo di Gianluigi Paragone, ovvero un educato, ma deciso invito ad andarsene. Non è che abbia mai nutrito particolare antipatia o simpatia  nei confronti di Paragone anche se appariva come una voce fuori del coro, ovvero recitasse una parte di cui l’informazione Rai prima e La7 poi avevano bisogno per non apparire del tutto prone al potere politico e ai poteri a cui quest’ultimi è subalterno. Insomma una tipica figura da deuteragonista che spesso ricorre nella politica spettacolo e che egli ha mantenuto nel momento cui ha fatto il salto dalla televisione al Senato nella compagine dei Cinque stelle dopo aver militato a lungo nel leghismo che in qualche modo ne era l’antitesi. Insomma senza voler svalutare il coraggio e/o il calcolo di proseguire un certo atteggiamento “contro” che poi lo hanno portato ad essere scaricato dal M5S, senza nemmeno sottovalutare il valore di una presenza critica al tempo di un consenso di carattere totalitario, Paragone rappresenta più il problema che la soluzione.

E in effetti le sue posizioni così apparentemente nette e talvolta condivisibili, una fra tutte quella contro il green pass,  di fronte ai singoli input fanno però risaltare la quasi totale assenza di una visione politica complessiva e mostrano la filigrana per quanto variegata di un’adesione di fondo al sistema neo liberista, trasformatosi ormai in oligarchico. Quindi se ciò che accade è frutto di quel sistema non può essere efficacemente e coerentemente combattuto da chi non lo rifiuta e non gli oppone un altro modo di vedere le cose: ormai è finito il tempo di correttivi, pecette e illusioni, la battaglia tra libertà e tirannia non è mai stato così chiaro e così totalizzante. I portuali di Trieste hanno capito  che il green pass non serve a nulla contro il covid, ma è il covid a servire per il green pass, e una volta che avranno ceduto persino i diritti sul loro corpo, e non solo sul lavoro che esso può sviluppare come nel capitalismo classico, non ci sarà più limite a ciò che il potere potrà legittimamente fare e richiedere con la scusa di qualche emergenza, magari completamente inventata. Come potrebbero esistere dei diritti del lavoro quando non esiste più la sovranità sul proprio corpo e il diritto di respingere  un trattamento sanitario palesemente inutile (basta leggere i dati) e anzi pericoloso visto che dovunque la mortalità generale è aumentata da quando sono cominciate le campagne vaccinali?  Dunque a cosa servono le adesioni occasionali ed effimere? A cosa serve la politica politicante che alla fine per sopravvivere deve chiedere l’obolo del potere? A nulla perché il problema è che la la battaglia politica a cui stiamo assistendo travalica e di molto i limiti nei quali il parlamentarismo subalterno può operare, tanto più che esso è stato completamente esautorato e sembra persino felice e contento di questo.

Se nell’intero mondo ce la battiamo solo con l’Arabia Saudita quanto a durezza ingiustificata dei diktat, cosa che peraltro viene rilevata da tutta la stampa internazionale non è dovuto soltanto al vergognoso servilismo di vile affarista , non solo alla codardia degli informatori o di quella parte di quel generone italiota, casta tra le più stupide, miserabili e ignoranti sull’intero pianeta, che si illude dicendo di sì a ogni assurdità di conquistarsi un posto al sole, è anche dovuto al fallimento della politica che non è stata in grado di opporsi alla degenerazione della democrazia. E allora cosa se ne possono fare i portuali di Trieste del rappresentante di questa parte già sconfitta ancorché magari pentita? Ciò che occorre è una visione del tutto diversa che nasca dalle esigenze del basso e ricostruisca le fondamenta della democrazia, non qualche nuovo rassemblement raccogliticcio. Ed è questo che i portuali di Trieste hanno voluto dire pregando Paragone di andarsene. Ma dico Paragone come qualunque altro personaggio della finis reipublicae di qualunque parte o forse sarebbe meglio dire di nessuna parte.