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Il dragone, Taiwan e la fine occidentale

Gli occidentali sono divenuti così ignoranti su se stessi e sugli altri che spesso non capiscono più le basi del loro mestiere di imperialisti. Nonostante la profusione di denaro nel mantenere in piedi sistemi di intelligence giganteschi e reti di attivisti attivi o mantenuti in sonno pressoché in ogni Paese, c’è stato grande stupore nei giorni scorsi per la riuscita del test cinese sulla nuova arma ipersonica capace di colpire qualsiasi obiettivo sul pianeta senza che possa essere intercettata. Gli Usa non  hanno ancora queste armi e si sono fatti battere dai Russi che hanno agito con grande anticipo, ma non pensavano che anche i cinesi entrassero alla grande in questo settore. Sono stati trascinati in questo da un doppio pregiudizio, uno culturale e razziale, l’altro politico secondo cui un paese asiatico e comunista (sia pure nei termini in cui questa parola può essere coniugata col confucianesimo)  non può battere  capitalisti bianchi e per giunta anglosassoni. Eppure basterebbe vedere quanti nomi cinesi ci sono nella ricerca americana ( a parte quelli di ogni altra etnia) per rendersi conto di una situazione che si va ribaltando. E che per così dire il liberismo non è proprio un sistema che produce intelligenza, ma una profonda stupidità sociale.

Certo il disastro ha vecchie radici, risale a quando quando gli Usa si sono ritirati da diversi  trattati sulla limitazione delle armi nucleari nella convinzione che la Russia non avrebbe potuto mai più competere con gli States, mentre con la Cina non ci si è nemmeno degnati di fare patti in questo senso, nemmeno quando esistevano buoni rapporti, fatti salvi  i vari trattati di non proliferazione nucleare che non hanno mai contato una minchia per nessuno e sono soltanto carburante per una buona volontà puramente ipotetica, ma soprattutto per impedire nuovi arrivi nel club nucleare.  E adesso arriva la realtà: ossia che le molte, provocazioni hanno indotto la Cina a ricostruire e ad aumentare il proprio arsenale nucleare, dotandolo di mezzi per poterlo usare con estrema efficienza. Naturalmente l’appassiona domanda dei giornali cretini è che cosa vuole farne la Cina del nuovi arsenali? Esattamente quello che ne fanno gli Usa ( gli unici per peraltro hanno effettivamente usato armi atomiche) o la Russia o gli altri membri palesi o occulti del club nucleare: se ne servono come deterrenza, ossia come garanzia di reciproca distruzione nel caso qualcuno attaccasse.

Non è cosa da poco per Washington che ormai dagli anni ’90 ha coltivato la strategia del first strike, ovvero del primo colpo, visto che la Russia era militarmente agonizzante e la Cina sembrava troppo primitiva  per contare qualcosa, dunque si poteva azzardare di colpire per primi senza subire una totale distruzione. Ma adesso Washington si ritrova in una posizione invertita nella quale gli avversari hanno armi più efficienti di quelle americane. Questa è la premessa per comprendere come in questo momento gli Usa  non siano disposti a morire per Taiwan, mentre fino a qualche tempo era disposti a far morire gli altri per l’isola. E questo senza dire che la crisi che infuria negli states a causa della narrazione pandemica la quale ha rotto molti equilibri che forse non si era pensato rompesse , consiglierebbe una riappacificazione con la Cina di Xi che pure ha i suoi problemi. Tra l’altro solo una minoranza degli americani ritiene che sia giusto entrare in guerra per  Taiwan, mente gli abitanti dell’isola che sono cinesi a tutti gli effetti sono sempre più attratti da un ritorno nella casa comune non fosse altro perché potrebbero sviluppare ancora di più la propria economia senza i lacci e lacciuoli finora imposti da Washington, anche rinunciando a una democrazia farsa come quella che regna a Taipei dove il potere è in mano ai militari.

Sarebbe una situazione onorevole per tutti , Taiwan in cambio di una moratoria sulle armi ipersoniche e sul riarmo in generale,  prima che anche solo per caso possa scoccare una scintilla nel mar cinese meridionale dando fuoco  alle polveri atomiche o una qualunque altra formulazione accettabile da entrambe le parti. Ma Washington cedendo di fatto l’isola a Pechino perderebbe la residua credibilità nel pacifico, anzi sul tutto il pianeta e in pratica dissolverebbe gran parte della propria influenza. E quindi resiste in qualche modo facendo finta di non capire che Russia e Cina stanno costruendo un nuovo mondo  che va oltre quello occidentale ormai devastato  da un capitalismo senza più freno, dove enormi ricchezze e infinte povertà bruciano dentro la fine di un sistema.

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