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Divisi, calpesti e derisi

Anna Pulizzi per il Simplicissimus

Ai tempi della mia giovinezza le elezioni amministrative e regionali erano un appuntamento a cui partecipavano negli stessi giorni tutti gli italiani, mentre oggi si fanno a spizzico un po’ qua e un po’ là in una nebulosa di appuntamenti, il che non è certo il motivo principale per cui gli elettori restano a casa ma in tal senso un po’ aiuta.

Questa volta qui nel nostro paesello non si votava, ma nel paesone più importante a breve distanza invece sì e lì conosco persone che non sapevano nemmeno che era arrivato il giorno delle crocette
Non dico che costoro avrebbero prestato più attenzione in circostanze diverse e sono anche portata a pensare che non abbiamo perso nulla, ma è chiaro che una consultazione che avviene contemporaneamente in tutto il paese gode di una copertura mediatica diversa e magari alcuni sarebbero più inclini a partecipare. Ma ripeto, anche questa volta la vittoria dell’astensionismo, risultata schiacciante, ha ben altri motivi su cui i politologi (ma forse addirittura gli antropologi) continueranno a dibattere a lungo.
Mi interessa invece sottolineare scelte strategiche che non riguardano nemmeno di striscio cose appariscenti come le giunte comunali ed i sindaci ma caratterizzano quello strato di vita perlopiù unicellulare che con un po’ di ottimismo può chiamarsi sinistra d’alternativa, il plancton politico che conserva nella propria memoria l’idea di cambiamenti sociali a livello strutturale e non solo cosmetico.
E qui bisogna armarsi di microscopio per leggere le cifre molto piccole. Dunque, ecco alcuni recentissimi esempi, partendo dalla capitale.
A Roma si sono presentate con propri simboli la lista di PaP (Potere al Popolo), la lista ‘Roma ti riguarda’ comprendente Rifondazione e altre cose nascoste all’indagine per via del principio di indeterminazione di Heisenberg, il Pc (quello di Rizzo), il Pci (frutto di complessa palingenesi, scissioni e reincarnazioni) e il Pcl (quello trotzkista di Ferrando).
Tutti insieme totalizzano qualcosa meno del 2%.
A Milano invece va meglio e si sfiora il 2,7%. Qui Rifondazione si è autoinscatolata nella lista civico-ambientalista ‘Milano in comune’, ma sulla scheda c’erano anche i simboli di PaP, del Pc, del Pci e del Pcl.
A Torino le liste ‘Sinistra in comune’ che comprende Rifondazione, Sinistra anticapitalista (altra costola del trotzkismo da non confondere col Pcl sennò si arrabbiano), DeMa (pensavate anche voi che non esistesse più, eh!), più altri gruppi tra cui PaP, che però non compare nel simbolo. Però a parte ci sono anche le liste del Pc e del Pcl. La somma fa 3,2%
Infine Ravenna, dove c’era la lista di Rifondazione (così, magicamente, col proprio nome), quello di PaP e quello del Pc, ovunque allergico ad accorpamenti anche provvisori. Il totale ammonta quasi al 2,3%.
Ora, d’accordo che anche la somma di questi valori non permette la conquista di un solo posto a sedere in un qualsiasi consiglio comunale; d’accordo che quand’anche per fantapolitica si arrivasse primi in uno dei 7904 comuni italiani non cambierebbe nulla perché si è ovunque soggetti al pilota automatico neoliberista e qualunque politica decente dovrebbe essere preceduta dallo stato insurrezionale; d’accordo che in ognuno dei soggetti in questione si predilige una diversa analisi della storia del socialismo; d’accordo che nessun leader corpuscolare vuole perdere il proprio podio e trova più bello comandare all’inferno che servire in paradiso…
Però.
Si può anche dire senza timore di sbagliare che tutti coloro che nonostante le sceneggiate di regime sul ‘voto utile’ scelgono uno di questi piccoli testimoni del sol dell’avvenire, in fondo vorrebbero vivere nel medesimo modello di società, che è antitetico a quello presente.
Si può dire che una falce e martello unica invece di una sfilza di sue declinazioni al photoshop fornirebbe alla proposta politica elementi di credibilità e affidabilità, più di quanto riesca a fare la sensazione di un incessante sbriciolamento.
Si può dire che benché dal parlamento in giù fino ai consigli locali la sovranità popolare sia ormai il rotolo di carta morbida appeso nei cessi del ceto possidente, essere presenti da qualche parte in percentuali con numero intero significa perlomeno evitare di scomparire dalla percezione collettiva.
Si può dire infine che se anche in una colonia come la nostra il risultato elettorale è aria fritta, non lo sono affatto la visibilità, la capacità di organizzazione e di iniziativa, tutte cose che non si ottengono certo con l’atomizzazione e le reciproche accuse di eresia.
Si ulula alla luna, naturalmente. La rivoluzione più improbabile è quella che si dovrebbe fare nel campo del buonsenso.
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