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Nostalgia della Bellisario

Anna Lombroso per il Simplicissimus

C’è da rimpiangere le donne manager in giacca del tailleur con le spalle imbottite e l’intimo che occhieggiava dalla divisa d’ordinanza, quelle pennellate di rosa che ingentilivano il tempio di Panseca dove si celebrava la Milano da bere, ci toccherà rimpiangere Marisa Bellisario, Rina Brion, Federica Olivares, a vedere la top ten delle manager e imprenditrici di successo da  Chiara Ferragni,  all’Estetista Cinica o all’ancora più cinica, feroce e truce Lucia Morselli, che si divide tra Arcelor Mittal e Atlantia.

Perché è a loro che si ispira l’esecutivo, che con le risorse  del Next Generation Ue si propone di “incentivare la partecipazione delle donne al mondo delle imprese, supportando le loro competenze e creatività”. D’altra parte era partito lancia in resta come un principe azzurro (non quello di Biancaneve messo all’indice dal cancel cultur), come un ardito e ardente cavaliere della Camelot europea, il Presidente che  già nel discorso al Senato aveva rivendicato di avere le carte in regola per mettersi al servizio delle damigelle imprigionate in una cultura patriarcale che non permette loro di esprimere creatività e talento: “non ci sarà, aveva detto, una ripresa equa e sostenibile senza la valorizzazione delle donne nella società”, quelle donne che sono state in prima linea durante la pandemia, combinando la cura della famiglia con il lavoro agile e con il sostegno ai ragazzi alle prese con la Dad.

Eh si,  la “valorizzazione” delle quote rosa del capitale umano  è un fil rouge che corre lungo il Piano nazionale, alla pari con quella dell’altra minoranza da appoggiare nel processo emancipativo, i giovani, trattati le une come avanzi dell’Unione donne dell’Azione Cattolica o del Cif, gli altri come gli associati della Fuci da mobilitare perché facciano proselitismo in vista del Grande Reset all’italiana.

E difatti ai giovani si promesse un futuro di successo se si adatteranno al modello cui ispira la scuola di Bianchi e l’università, predisposte per sfornare superspecializzati che sappiano svolgere un’unica mansione ripetitiva o, se si parte equipaggiati di rendite o meriti dinastici, o un ceto manageriale di tagliatori di teste capace di tradurre in realtà la “soluzione finale” che premia il grande, il globalizzato, il digitale multinazionale, cancellando il medio e piccolo, l’impresa creativa che potrebbe realizzare talenti e vocazioni.

Alle donne invece saranno in futuro erogati asili nido privati, in appoggio al part time, al lavoro agile, alla precarietà diventata la nuova forma di emancipazione perché permette di scegliersi i modi e i tempi del cottimo conciliabile con la cura della famiglia. Anche in questo caso, però c’è un target che viene finanziato per emergere, in quanto possiede i titoli e i codici genetici per vivere a imitazione dell’uomo,  parodie viriliste in quanto equipaggiate di superiore arrivismo e più tenace spietatezza, quella che dovrebbe consentire di sfondare il tetto di cristallo e sostituire meccanicamente altrettanti stronzi maschi, altrettante sagome di cartore con minori attributi.

Con grande enfasi Corriere, Sole 24 e Vanity Fair hanno annunciato che il Ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha firmato il decreto interministeriale che rende operativo il Fondo Impresa Donna, il quale mira a rafforzare, come previsto dagli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, gli investimenti a sostegno dell’imprenditorialità femminile.

Secondo quanto riportato nella nota emessa dal Mise, l’obiettivo della misura è quello di incentivare la partecipazione delle donne al mondo delle imprese, supportando le loro competenze e la creatività necessarie ad avviare nuove attività imprenditoriali e la realizzazione di progetti innovativi, attraverso contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati. A questo fine è stato istituito il Fondo Impresa Donna con un finanziamento iniziale di 40 milioni di euro, ai quali si aggiungeranno ben 400 milioni stanziati dal Pnrr .

L’ipotesi che più rosea non si può, è che donne imprenditrici promuovano occupazione   contribuendo a raggiungere il traguardo indicato dal Pnrr di 380 mila posti in più per le donne.

Il fatto è che anche queste promettenti e rampanti donne in carriera riesumate dei vituperati anni ’80, ridicolizzati dal cinema e perfino dalla cucina degli chef che aborriscono il cocktail di scampi, per piacere al neoliberismo, devono essere oltre che più carogne, più servili, più disponibili a essere numeri due in attesa che i numeri 1 le facciano sedere sul sofà insieme al sultano, che si rincoglioniscano a tal punto da precipitare dalle scalette dell’Air Force One o si impappinino mentre resuscitano la guerra fredda.

Si direbbe che sia finita l’era delle donne potenti che dovevano indicare la strada per riprenderci la padronanza delle nostre vite, come si diceva nei piccoli gruppi. E francamente non mi dispiace che siano crollate giù dal pantheon le Clinton, le Merkel,  così come qualche profetessa di quelle denunciate da potenti combattenti di socialismi emergenti anche se tremendamente contestati che invitano a diffidare delle compagne femministe, Wasp,  progressiste e evolute che non spendono una parola per il salario minimo garantito o per parità di retribuzioni, considerate derive arcaiche e secondarie. A conferma che ha ragione Nancy Fraser quando dice che gran parte del movimento di pensiero femminista si è “culturalizzato”, gettando alle ortiche la critica sociale, stabilendo una indebita gerarchia di qualità che privilegia le battaglie per i diritti individuali rispetto a quelli sociali, allineandosi senza mezzi termini con l’ideologia dominante che penalizza e censura le aspettative, gli interessi e i bisogni della classi subalterne.

Il caso Italia, il susseguirsi di infamie e oltraggi perpetrati da donne ammesse alla stanze del potere, eredi di dinastie imprenditoriali, favorite di baronie accademiche dimostra che è obbligatorio non accontentarsi di regalie, concessioni, 8 marzi somministrati per intontirci con i miasmi di mimose stantie e di sogni usati e abusati.

 

 

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