Man mano che si avvicinavano le elezioni tedesche e dunque la fine dell’era Merkel, molti si sono domandati quale fosse il segreto che ha consentito a questo personaggio di detenere il potere e il consenso per oltre 15 anni, plasmando non solo la Germania, ma l’intera Europa in quello che è adesso, cioè una creatura deforme che farebbe orrore persino ai suoi padri fondatori.  Ma per quanto si possa scavare e arzigogolare non c’è  alcun segreto da scoprire e il segreto è proprio questo: Merkel è stata il perfetto interprete della post democrazia,  un personaggio che ha espresso l’assenza pneumatica di concezioni politiche frammista invece a una ipertrofia del pragmatismo. Merkel è l’uomo, anzi la donna che si trova a suo perfetto agio nella supposta fine della storia, quella che non si interroga affatto sulla sulla società e sul suo miglioramento, sull’uguaglianza, sui diritti, che non ha una speranza da perseguire perché non ha una prospettiva, che non ha dubbi perché il futuro possibile è già presente: tutto è già dato e l’unico problema è come uscire di volta in volta dal labirinto dei singoli problemi, come azzeccare la mossa giusta sulla scacchiera del consenso. In questo senso la Merkel è stato il leader ideale della contemporaneità e non un caso che abbia deciso di ritirarsi dalla prima linea anche se di certo troverà prestigiose poltrone ad accoglierla, proprio nel momento in cui la storia si è rimessa in moto dopo essersi incagliata nella caduta del muro, considerato di solito come un nuovo inizio, ma che era invece l’inizio di una lunga fine.

L’intera vita della Merkel testimonia di questo vista che la sua intricata e contraddittoria storia familiare tutt’ora rimasta  per molti versi enigmatica e piena di ombre. l’ha portata per mano fino al crollo delle idee comuniste e alla loro sostituzione con  gli stili di vita occidentali. In realtà la sua è una vicenda che sembra demolire tutti i cliché sul mondo comunista e sulla Germania orientale: nasce facendo il cammino inverso a quello che la propaganda occidentale degli anni ’50 diceva e che oggi è diventata tout court storia; a pochi mesi dalla sua nascita la sua famiglia si trasferisce da Amburgo nella Germania Orientale con tutto che il padre era un pastore luterano e dunque avrebbe dovuto essere inviso al regime di Pankow. Ciononostante la famiglia era insolitamente agiata per il periodo e per il luogo tanto da possedere due automobili che sebbene non fossero merce cos’ rara nell’ Europa dell’Est come oggi si favoleggia, denunciavano comunque uno status di favore, visto che all’epoca due auto in famiglia erano un lusso anche nell’Europa occidentale. .La stessa futura cancelliera divenne membro in vista della gioventù universitaria comunista e la sera della caduta del muro preferì andarsene in birreria. Qualcosa che forse oggi suona familiare a testimonianza delle tensioni politiche delle nuove generazioni.

Si è spesso mormorato di una vicinanza quanto meno familiare alla Stasi senza uno straccio di documento, così come senza uno straccio di documento la si è assolta da ogni ombra, ma il fatto saliente è che da tutto questo si può dedurre semmai una certa passività politica della Merkel, comunista senza problemi nella Ddr, ordoliberista senza se e senza ma dopo la caduta del muro. Più importante è invece la sua ascesa, dovuta certamente all’intelligenza pragmatica del personaggio, ma soprattutto e ancora una volta al contesto: al cancelliere Kohl impegnato nella riunificazione faceva gioco questa abile e testarda “ragazza” dell’est che rappresentava una parte di popolazione che dopo i primi tempi di euforia cominciava ad accorgersi di essere in serie B e ne favorì una rapidissima carriera facendola divenire uno dei personaggi di riferimento nel più importante Paese dell’Europa, per giunta impegnato nella riunificazione nazionale. Ma da quel ruolo e da quel contesto – ordoliberismo e questione nazionale – Angela Merkel non si è più allontanata in ragione della sua stessa natura di impolitica e ha dato un potente appoggio alla Ue del tradimento sociale. Con lei rinasce la sindrome di accerchiamento della Germania, la sensazione che tutti cerchino di sfruttarla proprio mentre è lei a farlo nei confronti degli altri. Lo ha riconosciuto lo stesso Kohl poco prima di morire: “Sta rovinando la mia Europa”.

Alla fine però il risultato più eclatante di tutto questo è stato di isolare la Germania, invece di farne un motore di emancipazione del continente, di isolarla dal resto dell’Europa a causa della rigidità dei precetti che ha voluto imporre  e del lucro economico che ha fatto sulla moneta unica in compagnia della finanza internazionale, isolata dalla Russia per obbedire agli Usa contro i propri stessi interessi, in via di isolamento dagli Usa per non aver ubbidito a sufficienza e punita con diversi siluri inviati a Deutsche Bank e alla Volkswagen. E infine autrice di uno stato di polizia che rivaleggia con la follia australiana. Semplicemente la Merkel non è in grado di andare oltre e di formulare una politica autonoma dal contesto nel quale si è affermata. E ora non lascia successori, ma solo pallidi imitatori per i quali si può sin da ora formulare una prognosi politicamente infausta qualunque siano i risultati delle elezioni.