Prima gli Usa di Biden hanno fatto di tutto per impedire che l’Europa nel suo complesso e i singoli Paesi che la compongono stabilissero solidi accordi con la Cina in nome della “solidarietà atlantica” , facendo di fatto saltare l’“accordo globale di investimento” (CAI), un accordo redditizio che avrebbe dato alle aziende europee un migliore accesso ai mercati cinesi rispetto a quello che hanno attualmente gli Stati Uniti. Poi hanno tradito con il nuovo accordo militare anticinese tra Gran Bretagna, Usa e Australia che non solo fa sapere quali sono le vere priorità statunitensi, ma che diche chiaramente che l’Europa ormai non conta nulla e deve soltanto adeguarsi a ciò che dice il padrone. Le spese di tutto questo le fa in termini economici immediati la Francia che aveva siglato con l’Australia un accordo per la costruzione di 12 sommergibili a propulsione nucleare per un valore di 43 miliardi dollari. E questo fa fallire i legami transatlantici con l’Europa, con il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian che afferma: “Questa decisione unilaterale, brutale e imprevedibile è molto simile a quella che stava facendo Trump”.

Del resto tutto questo era nelle cose ed è stato semplicemente nascosto da una narrazione fasulla e francamente, anzi americanamente  stupida secondo la quale il deterioramento dei rapporti tra Europa ed Ue era da addebitarsi all’America first di Trump e che dunque tutto sarebbe rientrato nella normalità con Biden. Però il problema non è questo o quel presidente, ma l’America stessa che fa esclusivamente i propri ossessivi interessi di potere planetario: adesso che il nuovo nemico è la Cina, l’Europa è costretta a far parte dello spettacolo di Washington, ma solo come comparsa che le prende da tutte le parti. La minimizzazione di Trump della Nato non era semplicemente dovuta alla sua natura erratica e imprevedibile, ma era un’espressione del cambiamento di interessi strategici degli Stati Uniti non più concentrati sull’Europa, cosa che è rimasta sottotraccia per 4 anni senza che i poteri europei lo comprendessero. E del resto a vederli e sentirli, la cosa non stupisce affatto, come non stupisce che troppo a lungo non si sia afferrato come  .Washington abbia una lunga storia di comportamenti in malafede nei confronti del continente, che l’America non è affatto il il “salvatore” dell’Europa, ma il suo sfruttatore e chi ha lavorato nel campo dei brevetti – tanto per dirne una- capirà immediatamente il senso del discorso.

Ad ogni modo la disdetta della commessa dei sottomarini non è per nulla marginale risoetto al significato di questa nuova alleanza anglosassone perché ci dice immediatamente che gli Usa intendono usare da presso la minaccia nucleare. Infatti i sottomarini francesi che gli australiani volevano comprare erano sì a propulsione nucleare, ma l’Australia non poteva armarli con armi atomiche che non possiede, almeno sulla carta e non potrebbe comprare ufficialmente dalla Francia. Se al contrario usasse sottomarini americani così come accade per i quattro Vanguard della Gran Bretagna che in realtà obbediscono al Pentagono rendendo un po’ ridicola la Global Britain di Johnson, la cosa potrebbe essere possibile con il sistema della doppia chiave: ufficialmente i sottomarini sarebbero australiani, ma di fatto verrebbero controllati dagli Usa. Questo è essenziale visto che comunque l’Australia ha un forte legame con la Cina con la quale ha il proprio maggior interscambio commerciale, tra l’altro raddoppiato dal 2016 al 2019. Dunque in un certo senso il Paese è “inaffidabile” per una mentalità padronale come quella di Washington perché potrebbe tentare di fare anche i propri interessi invece di quelli Usa: esattamente come per la Nato non siamo di fronte non a una vera e propria alleanza militare sia pure ad alta asimmetria, ma di fatto a una sorta di protettorato forzoso.

Tutto questo rende però evidente la differenza tra un progetto di pace e di crescita come quello cinese e l’improvvisazione armata degli Usa, ma soprattutto della sua elite nel tentativo di conservare un potere planetario che non è più nelle cose, non nella demografia, non nelle tecnologie, non nelle capacità di adattamento ai cambiamenti, men che meno nell’intelligenza Questo lo capiscono in molti, ma solo l’Europa non riesce ad afferrarlo.