Anna Lombroso per il Simplicissimus

E pensare che tutto è accaduta quasi repentinamente, che non è stato un processo di accumulazione di percezioni, condizionamenti, reazioni.

Due anni fa gli italiani erano nell’ordine e secondo gli stereotipi in uso: indisciplinati, non rispettavano la fila alla posta, non facevano la raccolta differenziata. Possedevano uno strano senso della solidarietà, intermittente e molto personale, tanto che la manifestazione di coesione sociale più apprezzata era il lampeggio dei fari sulla superstrada per segnalare che più avanti sostava una macchina della polstrada.

Altrettanto arbitraria e discrezionale era l’idea di onestà, solitamente limitata all’astenersi dallo sfilare soldi dal portafogli del passeggero davanti sul filobus, “sospesa” nel caso di chi ruba gli accappatoi in albergo e che non aveva diritto di cittadinanza se  la si coniugava insieme a relativi reati di carattere intellettuale e morale, tradimenti, disinteresse per il bene comune, oltraggio della cosa pubblica, dissipazione di risorse collettivi per appagare  appetiti e interessi personali anche grazie alla promulgazione di leggi ad hoc. Tant’è vero che un movimento che aveva fatto di questo valore la sua bandiera è stato costretto per forza di cose ad ammainarla, in modo da non essere estromesso dall’agone politico le cui regole devono sottostare alla realpolitik e il cui slogan caro alla disincantata letteratura  romana recita “er più pulito c’ha la rogna”.

Perché su un punto la nazione un tempo mite, troppo lunga e perciò disunita, era rabbiosamente d’accordo e compatta: le autorità, le istituzioni, la politica, erano malate, vivevano ambiti remoti nei quali serpeggiava il malanimo nei confronti dei cittadini, compivano azioni che nel migliore dei casi denunciavano indifferenza per il bene collettivo, nel peggiore denunciavano odio e disprezzo.

Difatti un carattere ormai accertato dell’autobiografia nazionale era costituito dall’astensionismo, guardato con interesse da sociologi e polemisti che a seconda se premiava organizzazioni apprezzate o formazioni sgradite veniva considerato un attentato alla stabilità e alla desiderabile governabilità compiuto da un popolino riottoso e sterilmente ribelle, o una prova di maturità che ci allineava agli elettori di nazioni più adulte e poco inclini a appassionarsi per questi arcaici rituali.

Questi sentimenti di ripulsa e rivalsa che si traducevano in comportamenti trasgressivi legittimati per bisogno o per imitazione a scopo difensivo di chi stava in alto, autorizzato a agire fuori dalla legge  dei comuni mortali, sono stati per molto tempo diagnosticati come “antipolitica” e archiviati come vizi del populismo e del sovranismo, salvo farne buon uso proprio per incrementare quella distanza, per favorire la censura e la repressione delle manifestazioni di critica e opposizione allo status quo, per promuovere l’ascesa di una èlite oligarchica autoproclamatasi superiore.

Ebbene d’improvviso, come per una folgorazione collettiva, quella marmaglia tacciata di essere infantile, pigra, riottosa, che doveva essere poco blandita e molto punita, che era necessario mettere in riga con poca carota e molto bastone, è stata promossa a popolo sano moralmente in attesa di essere sano fisicamente, grazie alla sollecita erogazione di una grazia da ripetere con una certa frequenza,  a collettività coesa e responsabile in virtù della comune lotta che è caldamente invitata a condurre contro una minoranza ostile, sconsiderata e scriteriata priva di senso civico, egoista e ignorante, barbara e individualista.

La raccomandazione rivolta al pubblico è di individuarli e isolarli,  metterli al bando e penalizzarli in un crescendo fino alla criminalizzazione e alla punizione esemplare. Perché ormai sarebbe chiaro che si tratta di una minaccia contro la quale ogni arma è lecita, la delazione, l’estromissione dalle attività lavorative e da quelle sociali, l’ostracismo se si tratta di soggetti investiti di un incarico di tipo pedagogico o attinente alla cura e all’assistenza, il linciaggio se hanno l’audacia di esprimersi con le parole o la manifestazione di piazza.

Ogni giorno stampa, esternazioni delle autorità e i loro ripetitori in rete richiamano alla obbligatorietà di battersi contro la minaccia di un nuovo terrorismo annidato nelle pieghe riposte della società,  “influencer, medici e politici…. i cattivi maestri della galassia No Covid”, scrive la Repubblica invidiosa del colpaccio della televisione che ha ospitato l’illuminato ex sindacalista che non avendo potuto fisicamente indirizzare gli idranti contro molesti lavoratori che gli compromettevano il curriculum con le loro lagnose rivendicazioni, si accontenta di richiamare in servizio Bava Beccaris

Sentite qua: “il fiume carsico del complottismo italiano è tornato con prepotenza a galla: la battaglia contro il Green pass è il nuovo punto d’approdo, si può leggere, di chi ha  negato per mesi l’esistenza stessa del virus per come lo conosciamo, poi aver contestato l’obbligo di utilizzo delle mascherine, le chiusure degli esercizi commerciali e infine la bontà del vaccino”. Ma è ancora niente “per via delle analogie e spesso perfette sovrapposizioni tra gli attuali contestatori e le galassie no euro; con chi ha denunciato la fantomatica teoria gender; oppure il segretissimo eppure famoso (e inesistente) Piano Kalergi, leggenda veicolata per contrastare l’immigrazione”.

L’acuta diagnosi del columnist Gedi si spinge spericolatamente a collocare chi ha osato paragonare il lasciapassare a scopo di discriminazione con altre analoghe misure atte a colpire fasce di cittadini, a emarginarli e penalizzarli, nel solco “dell’antisemitismo dei Protocolli dei Savi di Sion, il piano di dominazione del mondo da parte degli ebrei”, in modo da perfezionare con la benedizione della autorità la manipolazione combinata della storia e della cronaca.

Ma fin qua non c’è da stupirsi, stiamo parlando di una cerchia che annovera banchieri e bancari, liquidatori e personalità distruttive selezionate da una superpotenza in declino che si dibatte tra servizi da rendere alle multinazionali del farmaco e del digitale e i deliri di un vegliardo dichiaratamente affetto da demenza, generali Nato che hanno fatto tesoro dell’esperienza maturata in Afghanistan, cronisti che per non sporcarsi la suola delle tods’ conoscono solo la moquette delle redazioni, una passerella di laureati in varie discipline scientifiche che dopo anni di frustrazioni, messi sotto padrone negli enti di ricerca privata, isolati in un sistema sanitario diventato una fabbrica di ricette, vivono finalmente il loro momento di gloria, il loro quarto d’ora di notorietà.

Quello che invece preoccupa è la gente che è stata fulminata dalla saetta della paura e dell’intimidazione, sorpresa dalla voluttà di potersela prendere con il vicino che corre al parco, con il familiare renitente, con il professore disertore e il medico eretico, grazie alla creazione di un nemico vicino, allo stesso livello, perfino in casa. E, infine, convertita al culto del potere e dell’Autorità, anche grazie a quei media che fino a poco tempo fa erano giustamente accusati di assoggettamento mercenario.

D’improvviso gli italiani hanno scoperto la fiducia nelle autorità, nei competenti, nei tecnici, gli stessi della corruzione, dei tagli alla sanità, dell’austerità applicata all’assistenza e ai servizi, gli stessi del Mose, del Ponte di Genova e delle regalie agli assassini della dinastia autostradale o di Taranto, gli stessi che da cinque anno lasciano i terremotati nelle casette provvisorie, quelli che comprano gli F35 ma non rinnovano la dotazione antiincendio.

E pare si siano convinti che lottando al loro fianco per aiutarli a consolidare il loro potere criminale, se ci si batte con loro per ritornare a quel prima che ha causato il danno, se ne riceverà beneficio immediato e nel lungo periodo, magari con la flebo infilata al braccio per reiterare la salvezza, perché la vera sorpresa di questo lungo anno e mezzo è che chi sta in alto lavora per il nostro bene.