Anna Lombroso per il Simplicissimus

All’inizio mi ero illusa che la campagna di linciaggio condotta contro i disubbidienti colpevoli di dubitare della passerella di virus-star, contro i miscredenti poco inclini all’atto di fede nei confronti delle autorità passando per la comunità scientifica, contro quelli che ragionevolmente si erano fatti due conti sul rapporto rischi-benefici e avevano scelto di non vaccinarsi avendo a poco a poco appreso che curarsi era possibile almeno nel 90% dei casi di infezione, avrebbe perso la sua virulenza.

Macchè proprio come nel caso dei Covid è stata introdotta una variante, il green pass, il patentino di antifascismo di chi denigra le piazze a meno che non siano popolate di sardine, il contrassegno di chi ritiene che sia doverosa la vessazione nei confronti di chi non sta commettendo nessun gesto illegale o illegittimo, visto che non esiste legge dello Stato che obblighi al consumo e all’assunzione di un prodotto farmaceutico il cui effetto è limitato a contrastare effetti severi di una malattia, mentre non garantisce immunità né tantomeno ripara dal contagio, magari di altri parimenti vaccinati.

I patentati forti del marchio di riconoscimento di appartenenza a una maggioranza molto eloquente, dotata di superiore senso civico, si sentono rafforzati nella loro scelta che consente loro di godere di licenze diventate prioritarie dopo mesi di resilienza. E dunque la pratica discriminatrice si accompagna con più vigore con pretese punitive nei confronti dei nemici pubblici che obiettivamente non dovrebbero temere, tutelati come sono dalle difese e dalle garanzie dei vaccini e dai criteri di salvaguardia introdotti dal lasciapassare che sono favorevoli a estendere, grazie alla somministrazione forzata sotto ricatto a bambini, varie categorie di lavoratori, pena il licenziamento, anziani riottosi da andare a stanare per ricondurli alla ragione obnubilata dalla demenza che pare abbia un’incidenza particolare presso il target dei filosofi.

Così è sempre più frequente l’istanza, inizialmente bisbigliata ora gridata a gran voce, di imporre il pagamento delle spese mediche ai “no-vax” che incautamente venissero ricoverati o ricorressero alle prestazioni di medici di base.

Istanza francamente risibile: la maggior parte di noi se deve togliersi il dente del giudizio, sottrarsi a lunghe liste d’attesa per l’operazione di calcoli o di cataratta – e non parliamo di ben più gravi patologie – si rivolge da tempo alle strutture private o è costretto a accedere alle sorti progressive del welfare aziendale, senza dire che pare universalmente accertato che l’esperienza ha insegnato che a fronte di diagnosi e terapie sbagliate, tachipirina e vigile attesa, per guarire dal morbo è meglio starsene a casa, evitare il nosocomio, rifuggire dal lazzaretto.

Ma si sa anatema, ostracismo, criminalizzazione, persecuzione seguono i canoni dell’irrazionalità più belluina, finora quindi ad applicare queste regole invocate dalla brava gente era stata la più ferina delle assessore regionali alla salute in quel laboratorio delle privatizzazioni arbitrarie e criminali che è la Lombardia.

Ma adesso apprendiamo di un nuovo effetto del green pass che illuminerà anche i più increduli sul suo  carattere e i suoi obiettivi: gli ospedali di Perugia e Terni esigono il lasciapassare.  Le direzioni fanno sapere che le nuove modalità «riguardano le aree di degenza e il pronto soccorso», e rivendicano che  l’intento è quello “di facilitare gli accessi di  familiari, caregiver e visitatori, che, se autorizzati dal medico di reparto e mostrando la certificazione potranno evitare di sottoporsi al tampone per test molecolare o antigenico, che resta invece obbligatorio per chi non è in possesso di Green Pass”.

A essere sospettosi, dopo che per mesi pazienti mascherati sono stati lasciati soli nei corridoi del pronto soccorsi, impedendo agli accompagnatori di assisterli di aiutare nell’anamnesi di anziani o pazienti gravi in stato di incoscienza, dopo che tanti una volta ricoverati  non hanno più potuto vedere i propri cari, tanti sono morti con Covid, ma di più senza Covid e ciononostante senza un ultimo saluto, non convince questa resipiscenza organizzativa con finalità umanitarie, se non quella di propagandare la virtù del lasciapassare.

A essere sospettosi, che a familiari e badanti venga imposto l’obbligo di esibire credenziali  profilattiche  sanitarie, pena sottoporsi a tamponi o l’allontanamento dal paziente, suona paradossale quando chi accompagna un poveretto che si ricovera ha l’onere di elencare i farmaci, ricostruire l’anamnesi, ricordare ricoveri e patologie pregresse, vista la proverbiale inefficienza dei sistemi informatici, accertata proprio in occasione delle vaccinazioni somministrate a soggetti a rischio, quando  ognuno di noi ha vissuto l’esperienza di dover portare al degente le medicine da casa,  oltre alle pantofole e al pigiama.

A essere sospettosi sembra un primo passo per dare risposta alla smania discriminatrice del popolo dei social, che reclama trattamenti disuguali per i renitenti colpevoli, anche in caso di cancro, incidente automobilistico, caduta dall’impalcatura, di occupare le terapie intensive doverosamente aperte in regime di esclusiva ai vaccinati, che esigono un posto in prima fila nel caso malaugurato di contagio come per altre patologie nel rispetto del loro status di bravi e coscienziosi cittadini.

Per rendere più sbrigative le pratiche burocratiche e amministrative, più che il green pass c’è da suggerire un tatuaggio più imperituro dell’immunità da vaccino.  Ma vuoi vedere che chi di stella gialla ferisce, finisce per doversela cucire addosso.