Anna Lombroso per il Simplicissimus

Bisognerebbe stare in guardia e sospettare di chi si fregia della denominazione doc di “democratico” mettendolo nel nome, nel titolo, nello slogan: è ormai certo che deve nasconderne l’abuso e la contraffazione.

Magari qualcuno in passato, a differenza del Pd, era convinto che fosse un punto di partenza di una strada da percorrere in difesa di diritti, coesione sociale, libertà, trasparenza, ma è successo che una ideologia occupasse il pensiero, l’immaginario e la capacità di ragionare e scegliere di tutti, pensatori e intellettuali compresi, sgombrando il campo da ogni possibilità di formulare e determinare un’alternativa allo status quo e inducendo una pacata e remissiva accondiscendenza a comandi superiori.

Rivoltarsi nella tomba è la frase che viene spontanea a pensare a Marco Ramat, Franco Basaglia, Giulio Maccacaro, i fondatori di Magistratura Democratica, Psichiatria Democratica, Medicina Democratica, a leggere il compunto messaggio urbi et orbi (lo trovate qui: https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=12248 ) diramato dall’attuale vertice del movimento costituito da Maccacaro e che si richiamava alla Costituzione e allo Statuto dei Lavoratori per agire in difesa dei diritti alla salute, all’ambiente e alla sicurezza nei luoghi di lavoro, minacciati quando non cancellati da disuguaglianze, sfruttamento, rapine coloniali.

A lui dobbiamo il merito di aver portato in Italia i primi risultati degli studi epidemiologici, la definizione di criteri univoci per la sperimentazione clinica e per il rispetto dei diritti del malato ed in particolare del bambino malato, ma soprattutto una analisi dei rapporti tra scienza e potere, tra ricerca e industria, in modo da favorire la riappropriazione delle informazioni e dei dati e il controllo dal basso, per promuovere una medicina, una prevenzione e una cura “sociali”.

Sono passati 45 anni dal primo congresso fondativo. E si vede.

Indifferente alla verifica in corso che lockdown,  coprifuochi, delazioni, sanzioni, salvacondotti, non hanno sortito effetti sanitari, producendo invece un incremento delle disuguaglianze nell’accesso alle cure, discriminando tra lavoratori essenziali da esporre ai rischi e altri invece meritevoli di misure protettive,  conducendo una vera e propria selezione in vista di una soluzione finale volta a cancellare attività e ceti considerati parassitari, terziario, ristorazione, piccolo commercio, servizi,  per promuovere e sostenere il grande, le multinazionali, le imprese strutturate, la logistica,  la “dirigenza” dell’organizzazione pubblica un ragionevole comunicato di appoggio alla “filosofia” vaccinale che ha ispirato le scelte degli esecutivi consigliati da uno screening di esuberanti tecnici.

Certo, ammettono,  la vaccinazione “non può essere vista come una panacea assoluta che metta da parte le necessarie misure igieniche di protezione  personali e collettive”,   ma rappresenta, allo stato delle conoscenze, uno “strumento essenziale … per il contrasto della diffusione della pandemia da Covid 19 e, nel contempo, per ridurre la pressione sulle strutture sanitarie e permettere un graduale ritorno alle attività lavorative,  ludiche e culturali”. A motivo di ciò sempre per via della loro dimestichezza con la “democrazia” non ritengono che “le limitazioni introdotte mediante il green pass, siano di per sé in contrasto con i diritti costituzionali… Si tratta di trovare un compromesso accettabile tra la necessità di contenere la pandemia e non stressare le strutture sanitarie, così come fatto con le modalità di definizione dei “colori” regionali che sono state nel contempo rese meno rigorose“, interpretandole come il necessario esercizio di un potere coercitivo del governo – come si sa il Parlamento è stato scavalcato ancora una volta –   in presenza di una eccezionale emergenza e come se l’accettazione della discriminazione  di chi non vuole vaccinarsi non avesse lo stesso intento e la stessa qualità dei provvedimenti che colpiscono i  lavoratori che resistono ai licenziamenti o i cittadini che si battono per il territorio.

Sono passati 45 anni, è stato smantellato l’impianto di garanzie dello Statuto dei Lavoratori, è stato accettato l’infame ricatto che ha costretto cittadini e lavoratori e scegliere tra salario e salute emblematicamente rappresentato dall’Ilva di Taranto, la ricerca è stata consegnata nelle mani dell’industria e lo sarà sempre di più a leggere il programma di “investimenti” nel settore stilato dal governo per impiegare in nome dell’interesse generale la disponibilità offerta dai cravattari europei, si sono susseguiti tagli criminali alla sanità pubblica, alle risorse per la formazione e l’assunzione di personale, mentre si moltiplicava il sostegno al sistema ospedaliero privato, in modo da renderlo oggettivamente competitivo, i sindacati si sono spesi per il consolidamento del welfare aziendale che rafforza il ricorsa a fondi e assicurazioni alternativi allo stato sociale sempre più impoverito.

Così non stupisce che una corporazione che ha accettato umiliazioni professionali, remunerazioni avvilenti, turni massacranti delle intendenze e prestigiose carriere baronali, la retrocessione dei medici di famiglia a impiegati in forza a burocrazie amministrative e a piazzisti di prodotti e a promoter di una diagnostica in mano a una rete di aziende parassitarie con potere sostitutivo delle strutture pubbliche, firmi simbolicamente la resa incondizionata alla ideologia mercantile dominante, in cambio del riconoscimento di status di martiri e eroi, dell’allegorico medagliere attribuito per l’abnegazione e lo spirito di sacrificio alla pari con quello del generale della Nato che sovrintende alla somministrazione.

E’ proprio una abiura professionale quella della gran parte dei medici che hanno prese per buone le raccomandazioni persuasive a non rischiare entrando in contatto coi malati o, peggio ancora, prescrivendo azzardate terapie da seguire nel contesto domestico, che in cambio di un balzello disonorevole obbligano al vaccino i pazienti, ma è anche un tradimento morale di quelli che denunciano i colleghi eretici e  partecipano entusiasticamente dell’ostracismo rivolto ai dubbiosi, che approfittano della soluzione ottimale del vaccino per venir meno ai doveri della deontologia, che esigono però impunità e immunità in caso di effetti avversi.

Ed è anche una capitolazione sociale se preferiscono non sapere che in un anno e mezzo non è stato irrobustito il sistema ospedaliero “emergenziale”, che sono ancora le regioni criminali a spendere i pochi quattrini stanziati secondo il modello messo a punto dalla più vergognosa delle amministrazioni, quella lombarda, che in attesa del perfezionamento  della sua secessione, sparge finanziamenti iniqui alle strutture private, che il gruzzolo atteso dall’Europa non prevede allocazioni per il rafforzamento dei reparti specialistici, per l’assunzione di personale medico e paramedico, per la prevenzione e tantomeno per il potenziamento della medicina territoriale e di base.

C’è da preoccuparsi se quelli che dovrebbero essere i custodi della nostra salute si sono ridotti a speziali e dispensatori di elisir e panacee, di purganti per i disobbedienti in previsione dell’olio di ricino e di placebo morali per i dubbiosi da convincere con le mozioni congressuali che affidano la realizzazione di “un servizio universalistico, gratuito, partecipato che torni a fondarsi, in termini di priorità e investimenti, su prevenzione, cura e riabilitazione” a un’oligarchia feroce che pretende l’imbarazzo dei renitenti e dei “disertori”, per la destra in piazza, ma la vezzeggia al governo, sfilando nei corridoi del palazzo con generali, sacerdoti della medicina in forza alla farmaceutica d’impresa, industriali, banchieri e bancari, generali armati fino ai denti grazie all’eterno business della guerra.